Introduzione – Anatomia dell’incertezza: il futuro nella voce dei demografi italiani
Carolina Facioni: Professor Rosina, in un suo recentissimo libro lei ha trattato il tema dei NEET: ovvero, dei giovani che non studiano, non lavorano, non svolgono comunque attività di formazione (anche non strutturata). Una condizione di stallo che non può essere trascurata. Vorrei che descrivesse per noi il fenomeno dei NEET: a che punto, nella storia europea e italiana, si inizia a constatarne l’esistenza; quali ne siano, a suo avviso, le principali cause. Peraltro, vorrei che, proprio in un’ottica di “futuri possibili”, ne illustrasse ai lettori le possibili conseguenze, in assenza di attenzione da parte della società – e delle policy che la esprimono.
Alessandro Rosina: L’acronimo NEET nasce alla fine del secolo scorso in Gran Bretagna. L’intensità del fenomeno e l’attenzione sono andate crescendo nel corso di questo secolo, diventando una preoccupazione estesa a tutta Europa e al resto del mondo sviluppato. Tanto che i Report Eurostat e Ocse usano l’indicatore dei Neet ormai sistematicamente come una delle principali misure di monitoraggio del mercato del lavoro e del rischio di esclusione sociale. Facendo una ricerca con Google si trovano una trentina di voci che nel 2000 citavano in rete l’acronimo, oggi non passa giorno che non esca in Rete un nuovo contenuto sui NEET. La crisi ha poi fatto esplodere ulteriormente il fenomeno. In tutta Europa gli under-30 che si trovano in tale condizione sono saliti a oltre 15 milioni. Secondo i dati più recenti (Istat, “Noi Italia” 2015), sono circa 2,3 milioni tra gli under-30. Nessun altro paese in Europa ne ha, in valore assoluto, così tanti. Sono l’equivalente di una regione italiana di media grandezza. In termini relativi si trova in tale condizione il 25% di chi ha tra i 15 e i 29 anni, ma il dato era già elevato prima delle crisi (19%). Come documentano varie ricerche, le ricadute negative sono di vario tipo: minori entrate fiscali, costi maggiori per prestazioni sociali, malessere sociale. Il costo sociale, stimato dall’Eurofound, è pari all’1,2 percento del Pil europeo, si sale a valori attorno al 2 percento in Italia. Ci sono poi però anche costi individuali, sia materiali che psicologici, di difficile quantificazione
F.: Nel suo libro lei cerca di delineare delle possibili vie d’uscita, delle strade per la soluzione di una condizione di vita – intollerabile nel suo essere priva di futuro – per i NEET. Vuole parlarcene?