Il mondo di oggi sta conoscendo due crisi contemporanee che coinvolgono, in qualche modo, la diade kantiana del cielo stellato e della legge morale.
Tutti oggi usano la parola “pianeta” per indicare la Terra: si parla di risorse del pianeta, salvare il pianeta, il pianeta non basta più e così via. Ma un pianeta, in base all’etimologia della parola, è una luce in cielo! La rivoluzione copernicana inizialmente consistette solo nel togliere la Terra dal centro dell’universo, ma poté affermarsi pienamente solo quando si riconobbe che i corpi celesti non differiscono da essa per la materia che li compone. Così oggi per noi è scontato che la Terra è un pianeta, tanto che anzi è l’unico pianeta di cui parliamo. È ora che completiamo la rivoluzione ricordandoci che la Terra è un pianeta perché è una luce nel cielo degli altri!
Nello stesso tempo abbiamo perduto i riferimenti ideali. Ricordiamo come si sono evoluti gli obiettivi pratici della maggioranza della popolazione nel mondo più sviluppato economicamente. Nell’Ottocento si pensava che l’umanità stesse procedendo verso un meraviglioso futuro di benessere sempre crescente. Ed era vero: se confrontiamo le condizioni di vita del XIX secolo e ancora della prima parte del XX con quelle di oggi, ci accorgiamo di quanta strada è stata fatta. Guardiamoci intorno: la speranza di vita, almeno nei paesi sviluppati, è praticamente raddoppiata. Le condizioni in cui viviamo, di cui ci lamentiamo così spesso, apparirebbero meravigliose anche a una persona di medie condizioni di cent’anni fa.
Che cosa è accaduto dopo? Si è affermato un nuovo paradigma, quello del consumismo. È nata l’idea insomma che lo sviluppo economico potesse trovare un impulso decisivo se l’intera popolazione, e non solo una classe privilegiata, fosse stata coinvolta nel motore economico, diventando consumatrice di beni e di servizi. Il confronto tra il modello consumista e quello concorrente e contemporaneo, il modello socialista, si può riassumere in questa contrapposizione: gestire la scarsità o creare l’abbondanza. Lo scopo del consumismo era quello di far crescere tanto l’economia da far guadagnare tutti, a dispetto delle disuguaglianze. Il sistema socialista ha dovuto imporre a forza l’uguaglianza, trasformandosi in una feroce dittatura del partito sulla società.
Con la perdita del nemico nel mondo “occidentale” si è affermato un altro paradigma ancora: quello della finanza improduttiva. Fare denaro a tutti i costi, come in un grande gioco d’azzardo. Una volta perso l’incentivo a tenere buone le proprie popolazioni, il modo più facile per aumentare i profitti era quello di ridurre i costi decentrando la produzione, invece di aumentare i volumi attraverso la spinta consumistica. Parallelamente, paesi come la Cina intraprendevano la via classica dello sviluppo consumistico, ottenendo a loro volta una crescita accelerata che ha finora consentito ai loro leader di mantenere il consenso sociale, pagando naturalmente in modo ancora più pronunciato il prezzo che gli occidentali avevano già pagato: consumo di risorse e danni ambientali crescenti.
Entrambe le parti hanno sacrificato quello che per i marxisti era sovrastrutturale, ma è in realtà essenziale per la vita umana: gli scopi, gli ideali. Resta solo il denaro come unica misura di tutte le cose, e il potere fine a se stesso come obiettivo unico, sia per il mondo “occidentale” sia per le “potenze emergenti”. Ci sono, certo, gruppi di ispirazione religiosa o ambientalista che reagiscono a tutto questo, ma finora lo hanno fatto in modo appunto reazionario, tentando di restaurare un mondo che non può semplicemente più esistere su una Terra con 7 miliardi di abitanti.
Ricominciamo dunque da zero: qual è il fine in cui tutti gli uomini possono riconoscersi? La ricerca della felicità e l’evitamento della sofferenza. L’economia è importante, ma è solo un mezzo: il fine è semplicemente la felicità. E perché questo fine sia etico deve essere universale, valido per tutti e non per una persona o una minoranza. Il comportamento etico differisce da quello che non lo è appunto per questo: una regola che va bene per me e male per gli altri non è una regola, è una ricetta personale. Una regola deve essere universale, oppure non ha natura morale.
Dobbiamo chiederci dunque se sia possibile conseguire il benessere per tutti, e non per una minoranza, rispetto alla maggioranza che viene sfruttata come un mezzo per la felicità altrui. Come avviene ora e come propongono tanti populismi di destra nel mondo.
Ora, se cerchiamo il benessere per tutti, è evidente che le risorse della Terra non sono sufficienti. Già ora, in termini biologici, consumiamo più delle risorse che la Terra è in grado di rigenerare. Stiamo insomma rubando alle generazioni future. E ricordiamo che i termini biologici sono i primi da considerare, perché per prima cosa dobbiamo mangiare, bere, respirare ed eliminare i rifiuti. Le alternative che abbiamo di fronte sono solo due: limitare la crescita in tutti i possibili suoi aspetti (ricchezza, benessere, uso di risorse, numero di persone al mondo); oppure crescere al di fuori della Terra. Si tratta della nuova forma del vecchio dilemma: crescita o uguaglianza forzata.
Come si può fare dunque? La ricerca pura e semplice del profitto deve essere piegata verso un fine più alto – in tutti i sensi. È del tutto evidente che il mondo dei politici di professione, che sia democratico o meno, si compone di persone egoiste, dall’io smisurato e dalle scarse capacità di gestione della cosa pubblica. Questo perché inevitabilmente prevalgono quelli che sono abili nel raggiungere il potere, non nell’esercitarlo. La soluzione sono gli imprenditori autentici, quelli che non mirano al profitto ma prima di tutto al realizzare cose, come i loro predecessori di due e tre secoli fa. Occorre che tutti quanti torniamo a perseguire il fine del fare le cose belle e utili, nel migliore dei modi.
L’imprenditore è responsabile della propria azienda, e come tale deve amministrarla in modo che produca utili e non vada in fallimento; ma è anche responsabile di coloro che lavorano per lui, ai quali deve assicurare condizioni di lavoro soddisfacenti e retribuzioni adeguate; ed è inoltre responsabile di ciò che produce: deve trattarsi di qualcosa di utile e non di nocivo per le persone e per l’ambiente. Ridurre l’imprenditore ad uno che fa rendere un capitale è completamente sbagliato ed è quello che ha bloccato l’economia mondiale in una sequenza di bolle speculative.
Nel mondo di lingua inglese vi sono imprenditori che stanno deliberatamente intraprendendo la via delle stelle: Elon Musk, Jeff Bezos, Richard Branson, Robert Bigelow e altri sono imprenditori nel senso che intendo. Né santi né geni, semplicemente imprenditori veri. Abili nell’accumulare capitale, ma soprattutto nel creare iniziative utili in generale, non soltanto indirizzate al profitto. Ci sono in Italia imprenditori veri disposti a guardare verso le stelle?