Città bibliche
Sfogliamo la Bibbia, il libro che più di ogni altro ha influenzato la cultura occidentale. Secondo la Genesi, libro che introduce i vari fatti narrati a seguire, l’intera società a cui apparteniamo avrebbe avuto origine dalla caducità dei prodotti dell’uomo. Infatti, le prime città di cui parlano i testi sono degni di attenzione unicamente per la loro caduta, più che la loro ascesa. Un “peccato originale” che segnerà in maniera indelebile gli studi urbani al momento della loro formazione, una volta superata la positività della visione pagana. Non è un caso che, nel tentativo di introdurre la strada che condurrà la città moderna ad una rinnovata crisi, Leonardo Lippolis (2009) abbia cura di riportare un lungo brano tratto dalla Genesi riguardante il mito della Torre di Babele, ovvero il tentativo di ricostruire, contro la volontà di Dio, l’asse tra cielo e terra spezzato dai primi uomini. Da sempre simbolo dell’arroganza dell’uomo, usato assieme Sodoma come metafora della città da rinnegare, la Torre di Babele sarà presto assunta a emblema dell’umana diversità, espressione di quel magma informe di cui la civiltà è formata. Nella Bibbia Concordata, Antico Testamento, al capitolo 11 del libro della Genesi, “La torre di Babele”, leggiamo infatti:
Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!” (Gen 11,4-7)
La punizione che il Signore impartì a quel sol popolo, unito da un sol linguaggio, non fu la distruzione della Torre, la quale crollò a causa del suo abbandono, ma il dissolvimento di quell’unità in una moltitudine che si disperse in breve tempo. Una moltitudine accampata attorno all’enorme cantiere, costretta in breve ad essere profuga, interrompendo ogni attività edificatoria.
Paradossalmente, l’inizio della civiltà occidentale coincise con la creazione del primo, maestoso esodo di un popolo di profughi. Tra i figli di Babilonia vi saranno anche i fondatori di Sodoma, da sempre emblema della peccaminosità e della lussuria. Una lussuria che ha avuto, secondo il parere degli archeologi, sede nel bacino mediterraneo. Tra le varie interpretazioni, infatti, una particolarmente affascinante per i significati che il mito può offrire alla contemporaneità vede la città del peccato inalzarsi proprio in Italia. Fondata nell’VIII secolo a.C., Sibari diventò una delle città più importante della regione, facendo guadagnare ai propri abitanti la fama di persone amanti del lusso. La dedizione alle mollezze di una vita raffinata segnerà l’immaginario collettivo tanto da spingere i greci a coniare il termine sibarita come sinonimo di amante del lusso. Un lusso che si vedeva già nelle fortificazioni murarie, che trasformò la città in una vera e propria gated community: Sibari dominava su un piccolo regno formato da circa venticinque villaggi divisi in quattro tribù, culturalmente e tecnologicamente meno avanzate, divise dalla capitale da un muro destinato presto a crollare: la capitale non era particolarmente amata dalla periferia da mancò all’obbligo di una difesa efficace nel momento del bisogno. Ça va sans dire, l’inclinazione alle mollezze non aiutò Sibari a difendersi da sola.
Vittima dello scarso interesse verso il suo regno, per alcuni studiosi Sibari si accosterebbe in maniera quasi letterale alla Sodoma biblica, o almeno per la causa della sua rovina. Secondo John Boswell (1989), infatti, il crollo di Sodoma fu la conseguenza dell’inospitalità dei suoi abitanti, peccato non tollerato dal Signore, che così decise di punirli.
Prendendo spunto dall’interpretazione ebraica della città di Sodoma, Boswell nota che in altri punti della Bibbia Sodoma viene citata quale esempio di inospitalità, come ad esempio nel libro di Ezechiele:
«Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sodoma: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane e in una grande indolenza, ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero» (Ezechiele 16,49).
Infatti, la versione ebraica del racconto narra che i cittadini di Sodoma chiedono che gli Angeli inviati dal Signore vengano consegnati all’urbe per essere “conosciuti”, e non “abusati”, come invece propone il traduttore cristiano. D’altronde, l’invio di spie travestite da viandanti o da mendicanti era particolarmente diffusa all’epoca, dando al racconto di Sodoma un sapore diverso, esortando il lettore a non diffidare dello straniero, ma anzi aprirsi alla tolleranza.