Da Alvin Toffler, Lo choc del futuro, Sperling&Kupfer, Varese, 1988.
Trecentocinquant’anni dopo la sua morte, gli scienziati continuano a trovare prove che convalidano la concisa intuizione di Cervantes per quanto concerne la psicologia dell’adattamento: «Pre-avvisato, pre-armato». Per quanto la cosa possa sembrare lapalissiana, nella maggior parte delle situazioni è possibile aiutare gli individui ad adattarsi meglio semplicemente fornendo loro in anticipo informazioni su quanto li aspetta. Studi delle reazioni degli astronauti, di famiglie trasferite e di operai dell’industria conducono quasi tutti a questa conclusione. «L’informazione preventiva», scrive lo psicologo Hugh Bowen «consente… un mutamento drammatico del rendimento»[1]. Sia che si tratti di guidare un’automobile in una strada affollata, di pilotare un aereo, di risolvere puzzle intellettuali, di suonare il violoncello o di appianare difficoltà nei rapporti con il prossimo, il rendimento migliora quando l’individuo sa che cosa deve aspettarsi dopo. La valutazione mentale dei dati preventivi relativi a qualsiasi cosa riduce, probabilmente, la quantità di valutazione e il tempo di reazione durante l’effettivo periodo di adattamento. Fu Freud, se non erro, a dire: «Il pensiero è la prova dell’azione».
Ancor più importante, comunque, di qualsiasi specifica informazione preventiva, è l’abitudine di precorrere i fatti. Questa capacità condizionata di guardare avanti nel tempo ha un compito-chiave nell’adattamento. Invero, una delle ragioni nascoste di un adattamento riuscito può benissimo consistere nel senso del futuro che ha l’individuo. Quelle persone tra noi che si mantengono al passo con il mutamento, che riescono ad adattarsi bene, sembrano avere un senso più spiccato e più sviluppato di quanto le aspetta degli individui che affrontano a stento i cambiamenti. Prevedere il futuro è diventata per loro un’abitudine. Il giocatore di specchi che prevede le mosse dell’avversario, il dirigente che pensa molto al di là del presente, lo studente che dà una rapida occhiata all’indice prima di cominciare a leggere il libro sembrano tutti cavarsela meglio.
Gli individui si diversificano in ampia misura per quanto concerne la quantità di riflessioni che dedicano al futuro, distinguendolo dal passato e dal presente. Taluni investono risorse di gran lunga maggiori di altri nel proiettarsi in avanti, nell’immaginare, analizzare e valutare le future possibilità e probabilità. Variano, inoltre, per quanto concerne la portata della loro lungimiranza. Taluni pensano abitualmente in termini di un “profondo futuro”; altri penetrano soltanto nella “superficie del futuro”. Abbiamo, per conseguenza, almeno due dimensioni di previsione del futuro: “quanto” e “sin dove”. Risulta che tra gli adolescenti normali lo sviluppo è accompagnato da quello che il sociologo Stephen L. Klineberg di Princeton definisce «un crescente interessamento a eventi lontani del futuro». Ciò fa pensare che persone di età diverse caratteristicamente dedichino quantità diverse di attenzione al futuro. Anche i loro “orizzonti del tempo” possono differire. Ma l’età non è il solo fattore a influenzare la nostra previsione del futuro. La influenza anche il condizionamento culturale, e una delle influenze culturali più importante delle altre è la celerità del mutamento nell’ambiente[2].
Ecco perché il senso che l’individuo ha del futuro riveste un’importanza così critica per quanto concerne la sua capacità di adattarsi. Quanto più è celere il ritmo della vita, tanto più rapidamente l’ambiente attuale scivola lontano da noi, e tanto più rapidamente le potenzialità del futuro si tramutano nelle realtà del presente. Mentre l’ambiente ribolle più in fretta, non soltanto siamo incalzati a dedicare maggiori risorse mentali alle riflessioni sul futuro, ma sentiamo altresì la necessità di estendere il nostro orizzonte del tempo, di sondare sempre più avanti. Il guidatore che percorre un’autostrada a 35 chilometri all’ora può svoltare più facilmente nel raccordo di uscita anche se il cartello che lo indica è molto vicino ad esso. Quanto maggiore è la sua velocità, tuttavia, tanto più indietro deve essere posto il cartello per dargli il tempo necessario di leggerlo e di reagire. Esattamente nello stesso modo, la generale accelerazione della vita ci costringe ad allungare il nostro orizzonte del tempo, se non vogliamo correre il rischio di essere colti di sorpresa e travolti dagli avvenimenti. Quanto più rapidamente muta l’ambiente, tanto più è necessaria una previsione del futuro.
Alcuni individui, naturalmente, si proiettano così lontano nel futuro e per così lunghi periodi, che le loro previsioni diventano fantasticherie di chi tenta di sfuggire alla realtà. Di gran lunga più numerosi, però, sono quegli individui le cui previsioni sono così esili e di così breve portata da far sì che il mutamento li sorprenda e li turbi di continuo. L’individuo adattabile sembra essere in grado di proiettarsi in avanti nel tempo nella “giusta” misura, di esaminare e valutare le diverse possibilità d’azione che si prospettano prima della necessità di una decisione ultima e di prendere in anticipo decisioni sperimentali. Gli studi di sociologi come Lloyd Warner negli Stati Uniti e Elliot Jacques in Inghilterra, ad esempio, hanno dimostrato quanto sia importante questo elemento del tempo per quanto concerne le decisioni che vanno prese nella conduzione aziendale[3]. All’uomo addetto alla catena di montaggio viene assegnato un compito che gli richiede di occuparsi soltanto di eventi vicinissimi a lui nel tempo. Gli uomini che fanno carriera nella gestione dell’azienda devono invece, ad ogni successiva promozione, interessarsi a eventi sempre più lontani nel futuro.
Il sociologo Benjamin D. Singer, della University of Western Ontario, specializzato in psichiatria sociale, è andato oltre. Stando a Singer, il futuro ha una influenza enorme, e in vasta misura inavvertita, sul comportamento nel presente. Egli sostiene, ad esempio, che «nell’Io del bambino c’è un parziale feedback da ciò che egli è verso quanto sta diventando». L’obiettivo verso il quale il bambino si sta muovendo è «l’immagine del proprio ruolo messa a fuoco nel futuro…», un’idea di quello che il bambino o la bambina vogliono essere in vari punti del futuro. Questa «immagine del ruolo messa a fuoco nel futuro», scrive Singer, «tende… ad organizzare l’andamento della vita al quale ci si aspetta che egli si attenga e a dargli un significato. Nei casi, invece, in cui si ha soltanto un ruolo futuro nebulosamente definito o funzionalmente inesistente, allora il significato che viene attribuito al comportamento apprezzato dalla società non esiste; gli studi divengono privi di significato, così come le norme della società della classe media e della disciplina imposta dai genitori». In parole più povere, Singer afferma che ogni individuo ha, nella propria mente, non soltanto un’immagine di se stesso nel presente, un’auto-immagine, ma una serie di immagini di se stesso così come desidera essere nel futuro. «Questo individuo del futuro fornisce una focalizzazione al bambino; è una calamita verso la quale egli si sente attratto; la struttura del presente, si potrebbe dire, è creata dal futuro»[4].
Vien fatto di pensare che l’istruzione, interessata allo sviluppo dell’individuo e al potenziamento dell’adattabilità, debba fare tutto ciò che è in suo potere per aiutare il fanciullo a sviluppare l’appropriato orientamento temporale, l’opportuna misura di previsione del futuro. Nulla potrebbe essere più pericolosamente falso. Si pensi, ad esempio, al contrasto tra il modo con il quale le scuole d’oggi trattano lo spazio e il tempo. Ogni allievo, virtualmente in ogni scuola, viene attentamente aiutato a situarsi nello spazio. Lo si obbliga a studiare la geografia. Carte geografiche e topografiche e mappamondi lo aiutano a individuare esattamente la propria posizione spaziale. Non soltanto lo situiamo nello spazio per quanto concerne la sua città, la sua regione e il suo paese, ma tentiamo addirittura di spiegargli il rapporto spaziale tra la Terra e il resto del sistema solare o l’universo. Quando si tratta di situare il bambino nel tempo, però, gli giochiamo un tiro crudele e debilitante. Egli viene immerso, per quanto è possibile, nel passato della sua nazione e in quello del mondo. Studia l’antica Grecia e l’antica Roma, l’ascesa del feudalesimo, la rivoluzione francese e così via. Gli vengono fatti conoscere gli episodi della Bibbia e gli vengono presentate le leggende patriottiche. Lo si infarcisce di interminabili resoconti di guerre, rivoluzioni e sollevazioni, ognuno dei quali debitamente accompagnato dalla propria datazione nel passato. A un certo momento gli vengono presentati anche gli “avvenimenti attuali”. Può darsi che gli si chieda di portare in aula un ritaglio di giornale, e un insegnante davvero intraprendente può arrivare al punto di invitarlo a seguire il telegiornale della sera. Gli si offre, in breve, un’esile scheggia del presente.
E poi il tempo si ferma. La scuola tace sul domani. «Non soltanto i nostri corsi di storia terminano all’anno nel quale vengono insegnati» scrisse una generazione fa il professor Ossip Flechtheim «ma la stessa situazione si ripete nello studio del governo e dell’economia, della psicologia e della biologia»[5]. Il tempo si ferma bruscamente mentre sta correndo. Lo studente viene focalizzato all’indietro, anziché in avanti. Il futuro, bandito in pratica dall’aula, è bandito anche dalla sua consapevolezza. È come se un futuro non esistesse.
Questa violenta distorsione del senso del tempo nello studente traspare da un esperimento rivelatore eseguito dallo psicologo John Condry, professore del Department of Human Development alla Cornell University[6]. Nel corso di studi distinti condotti a Cornell e alla UCLA, Condry distribuì a gruppi di studenti il paragrafo iniziale di un racconto. Questo paragrafo descriveva un immaginario “Professor Hoffman”, sua moglie e la loro figlia adottiva coreana. La figlia veniva trovata piangente, con i vestiti a brandelli, e un gruppo di altri bambini la stavano fissando. Gli studenti furono invitati a completare il loro racconto. Essi ignoravano di essere stati precedentemente suddivisi in due gruppi. Nel caso di un gruppo, il paragrafo iniziale era scritto al passato. I personaggi “avevano udito”, “avevano visto”, o “erano fuggiti”. Agli studenti fu chiesto: «Dite che cosa fecero il signor Hoffman e la signora, e che cosa dissero i bambini». Nel caso del secondo gruppo, il paragrafo era scritto interamente al futuro. Gli studenti furono invitati a dire «che cosa faranno il signor Hoffman e la signora e che cosa diranno i bambini». A parte questo spostamento di tempo, sia i paragrafi sia i compiti erano identici. I risultati dell’esperimento furono nettamente diversificati. Un gruppo concluse il racconto in modo relativamente ricco e interessante, popolandolo con molti personaggi e introducendo creativamente nuove situazioni e dialoghi. L’altro gruppo scrisse finali estremamente sommari, deboli, irreali e forzati. Il passato veniva concepito con ricchezza di fantasia; il futuro rimaneva vuoto. «È come se» commentò il professor Condry «trovassimo più facile parlare del passato che del futuro».
Se i nostri figli devono adattarsi con maggior successo al rapido mutamento, è necessario porre termine a questa distorsione del tempo. Dobbiamo sensibilizzarli alla possibilità e alla probabilità del domani. Dobbiamo accentuare il loro senso del futuro. La società dispone di molti ponti temporali incorporati che aiutano a collegare al passato la generazione attuale. Il nostro senso del passato viene sviluppato dai contatti con la generazione precedente, dalla conoscenza della storia, dal retaggio accumulato dell’arte, della musica e della letteratura, e dalla scienza che ci viene tramandata nel corso degli anni. È potenziato dal contatto immediato con gli oggetti che ci circondano, ognuno dei quali ha un punto di origine nel passato, ognuno dei quali ci fornisce una traccia di identificazione con il passato. Nessun ponte temporale di questo genere accresce il nostro senso del futuro. Non disponiamo di oggetti, amici, parenti, opere d’arte, musica o letteratura che abbiano origine nel futuro. Non disponiamo, per così dire, di alcun retaggio del futuro.
Ciò nonostante, esistono modi per far sì che la mente umana si proietti in avanti, oltre che all’indietro. Dobbiamo incominciare creando una più salda consapevolezza del futuro da parte del pubblico, e non soltanto con i fumetti di Buck Rogers, con film come Barbarella, o con articoli sulle meraviglie dei viaggi nello spazio o delle ricerche mediche. Tutto ciò costituisce un contributo, ma quel che occorre è una focalizzazione concentrata sulle implicazioni sociali e personali del futuro, e non soltanto sulle sue caratteristiche tecnologiche. Se l’individuo contemporaneo deve affrontare l’equivalente di millenni di mutamento nel compresso intervallo di tempo di una sola esistenza, deve avere nella propria mente immagini ragionevolmente precise (anche se approssimative) del futuro.
Gli uomini medioevali avevano un’immagine della vita nell’aldilà completa di vivide raffigurazioni mentali del paradiso e dell’inferno. Noi dobbiamo oggi propagare immagini dinamiche, non soprannaturali, di quella che sarà la vita temporale, dei suoi suoni, dei suoi sapori e dei suoi odori, e degli stati d’animo cui darà luogo, nel futuro che va rapidamente avvicinandosi. Per creare queste immagini, ammorbidendo così l’impatto dello choc del futuro, dobbiamo combinare rendendo rispettabili le speculazioni sul futuro. Invece di deridere “il contemplatore della sfera di cristallo”, dobbiamo incoraggiare la gente, dalla fanciullezza in poi, a speculare liberamente, anche fantasiosamente, non soltanto su ciò che ha in serbo per noi la prossima settimana, ma su ciò che la prossima generazione ha in serbo per l’intero genere umano. Offriamo ai nostri figli corsi di storia; perché non dovremmo offrir loro anche corsi “di futuro”, corsi durante i quali le possibilità e le probabilità del futuro vengano esplorate sistematicamente, esattamente come esploriamo adesso il sistema sociale dei romani o il sorgere del castello feudale?
Robert Jungk, uno dei più eminenti filosofi europei del futuro, ha detto: «Al giorno d’oggi, l’accento viene posto quasi esclusivamente sulla necessità di imparare quanto è già accaduto e quanto è già stato fatto. Domani… almeno un terzo di tutte le lezioni e di tutti i compiti dovrebbe essere dedicato al lavoro scientifico, tecnico, artistico e filosofico in corso, dovrebbe prevedere le crisi e le possibili soluzioni future opposte a queste sfide»[7].
Non possiamo avvalerci, in questi corsi, di una letteratura del futuro, ma disponiamo di una letteratura sul futuro consistente non soltanto nelle grandi utopie ma anche nella fantascienza contemporanea. La fantascienza non è tenuta in grande considerazione come esercitazione letteraria, e forse merita questo disprezzo della critica. Ma se la consideriamo una sorta di sociologia del futuro, anziché una letteratura, la fantascienza ha un valore immenso come forza per ampliare la mente in vista della creazione dell’abitudine di prevedere il futuro. I nostri figli dovrebbero studiare Arthur C. Clarke, William Tenn, Robert Heinlein, Ray Bradbury, non perché questi scrittori possono parlar loro di navi spaziali e di macchine del tempo, ma, cosa molto più importante, perché possono accompagnare la mente dei giovani in una esplorazione immaginosa della giungla di problemi politici, sociali, psicologici ed etici cui essi si troveranno di fronte da adulti. La lettura della fantascienza dovrebbe essere d’obbligo nel primo corso sul futuro. Ma gli studenti non dovrebbero limitarsi a leggere. Sono stati escogitati vari giochi per educare i giovani e gli adulti sulle possibilità e probabilità dell’avvenire. Futuro, un gioco posto in vendita dalla Kaiser Aluminium and Chemical Corporation in occasione del suo ventesimo anno di attività, presenta ai giocatori numerose alternative tecnologiche e sociali dell’avvenire e li costringe a fare una scelta tra esse. Rivela in qual modo gli avvenimenti tecnologici e sociali siano collegati gli uni agli altri, incoraggia il giocatore a pensare in termini di probabilità, e, con qualche modifica, potrebbe contribuire a chiarire il ruolo dei valori nell’attività decisionale. A Cornell, il professor José Villegas, del Department of Design and Environmental Analysis, con la collaborazione di un gruppo di studenti, ha creato una serie di giochi concernenti l’edilizia e l’azione sociale nel futuro. Un altro gioco escogitato con la sua guida si propone di chiarire i modi con i quali la tecnologia e i valori si influenzeranno reciprocamente nel mondo di domani.
Nel caso dei bambini più piccoli, sono possibili altri esercizi. Per rendere più netta l’immagine del ruolo dell’individuo focalizzata nel futuro, gli allievi potranno essere invitati a scrivere le proprie “future autobiografie”, nelle quali si descriveranno a cinque, dieci o venti anni di distanza nel futuro. Discutendole in classe, paragonando le diverse supposizioni in esse contenute, sarà possibile identificare ed esaminare le contraddizioni nelle proiezioni del bambini. In un momento in cui l’Io viene frammentato in tanti Io successivi, questa tecnica può essere impiegata per dare all’individuo un senso di continuità. Se a ragazzi di quindici anni, ad esempio, venissero date le “future autobiografie” che scrissero all’età di dodici anni, essi potrebbero constatare in qual modo le loro immagini del futuro sarebbero state modificate dalla maturazione. Si potrebbe così aiutarli a capire in qual modo le loro possibilità sarebbero state foggiate dai propri valori e talenti, dalle proprie capacità e conoscenze. Agli studenti ai quali venisse chiesto di immaginarsi di lì a parecchi anni, si potrebbe ricordare che anche i loro fratelli, genitori e amici saranno più vecchi, e si potrebbe invitarli a immaginare le “altre persone importanti” nella loro vita, così come saranno nel futuro[8].
Esercizi di questo genere, collegati allo studio delle probabilità e ai metodi semplici di previsione che possono essere impiegati nella vita personale di ognuno di noi, possono delineare e modificare la concezione, sia personale sia sociale, che ha del futuro ciascun individuo. Possono creare un nuovo orientamento temporale individuale, una nuova sensibilità al domani che si paleserà utile anche nell’affrontare le esigenze del presente. Tra gli individui che hanno una capacità di adattamento molto elevata, tra gli uomini e le donne che davvero vivono nei loro tempi e reagiscono ai loro tempi, esiste una virtuale nostalgia del futuro. Non una accettazione acritica di tutti gli orrori potenziali del domani, non una cieca fede nel mutamento di per sé, ma una curiosità travolgente, l’impulso di sapere che cosa accadrà dopo.
Questo impulso può fare cose strane e meravigliose. In una sera d’inverno sentii un fremito di commozione diffondersi nell’aula ove era in corso una lezione, quando un uomo dai cappelli bianchi spiegò a un gruppo di estranei che cosa lo avesse indotto a venire ad assistere al mio corso sulla sociologia del futuro. Del gruppo facevano parte pianificatori, esponenti di importanti fondazioni, di case editrici e di centri di ricerche. Ognuno dei presenti aveva chiarito la ragione per la quale frequentava il corso. Infine, toccò all’ometto nell’angolo. Egli si espresse in un inglese incerto, ma eloquente. «Mi chiamo Charles Stein. Ho fatto il sarto per tutta la vita. Ho settantasette anni e voglio qualcosa che non ho mai avuto da giovane. Voglio delle soddisfacenti informazioni sul futuro. Voglio morire da uomo colto!». Il brusco silenzio che accolse questa semplice affermazione vibra ancora nelle orecchie dei presenti in quell’aula. Di fronte a tanta eloquenza, ogni corazzatura dei laureati, dei titolati e degli uomini di prestigio cadde. Mi auguro che il signor Stein sia ancora in vita, che si stia godendo il suo futuro e insegni agli altri come insegnò a noi quella sera.
Quando milioni di uomini condivideranno questa stessa passione per il futuro, avremo una società di gran lunga più preparata ad affrontare l’impatto del mutamento. Creare una simile curiosità e consapevolezza è un compito cardinale dell’istruzione…
Il verbo istruire deve essere coniugato al futuro.
[1] Vedi “A College of the City: An Alternative”, rapporto pubblicato dall’Educational Facilities Laboratories, Inc., marzo 1969.
[2] Lo sviluppo delle prospettive future è esaminato in “Changes in Outlook on the Future Between Childhood and Adolescence”, di Stephen L. Klineberg nel Journal of Personality and Social Psychology, vol. 7, n. 2, 1967, pag. 192.
[3] A proposito di Warner sul tempo, vedi W. Lloyd Warner, The Corporation in the Emergent American Society (New York: Harper & Row, 1962), pagg. 54-55; Jacques è citato in A.K. Rice, The Enterprise and Its Environment (Londra: Tavistock Publications, 1963), pagg. 231-233. Vedi inoltre “A Note on Timespan and Economic Theory”, di J.M.M. Hill, in Human Relations, vol. 11 n. 4, pag. 373.
[4] Il futuro come principio organizzatore è studiato in “The Future-Focused Role Image”, un saggio inedito di Benjamin D. Singer, Department of Sociology, University of Western Ontario.
[5] Il commento sull’assenza di prospettive future nel programma scolastico è tratto da “Teaching the Future”, di Ossip K. Flechtheim, in The Futurist, febbraio 1968, pag. 7.
[6] La descrizione dell’esperimento di Condry è basata su un colloquio con lo sperimentatore e sul materiale dei test. Il professor Condry si propone di pubblicare una relazione sull’esperimento. Vedi inoltre: “Time and Social Class”, di Lawrence L. Le Shan, in David C. Beardslee e Michael Wertheimer, Readings in Perception (Princeton, N.J.: Van Nostrand, 1958).
[7] La citazione di Jungk è tratta dal suo saggio “Technological Forecasting as a Tool of Social Strategy”, in Analysen und Prognosen, gennaio 1969, pag. 12.
[8] Per un resoconto affascinante di esperimenti con future autobiografie di malati di mente, vedi Nathan Israeli, Abnormal Personality and Time (New York: Science Press Printing Company, 1936),