Le trasformazioni in corso e quelle promesse dal progresso tecno-scientifico sono destinate a incidere su quello che è probabilmente l’aspetto più “sacro” della dimensione umana, la sua riproduzione. Dall’alba dei tempi la riproduzione sessuale non ha subito alcun tipo di cambiamento fino all’introduzione delle prime tecniche di parto cesareo agli albori dell’era moderna. A partire dal Novecento, l’introduzione di tecnologie mediche e genetiche ha completamente trasformato lo scenario della riproduzione e, seguendo i trend in corso, tutto lascia credere che nei prossimi decenni assisteremo a cambiamenti radicali nel modo di mettere al mondo la propria prole. Maurizio Balistreri, ricercatore di Filosofia morale all’Università di Torino, ce ne fornisce un quadro complessivo ed esaustivo nel suo ultimo libro Il futuro della riproduzione umana (ed. Fandango, in cui affianca alla discussione delle nuove tecniche possibili, incluse quelle più “fantascientifiche” (la clonazione o l’ectogenesi), un’ampia disamina delle conseguenze bioetiche.
Da sempre interessato a questi aspetti – in passato è stato presidente del Comitato di Bioetica del Politecnico Militare del Celio ed è attualmente responsabile della segreteria scientifica del Comitato di Bioetico d’Ateneo a Torino – Maurizio Balistreri ha già al suo attivo diversi volumi sugli aspetti più innovativi e controversi del progresso genetico: Etica e clonazione umana (Guerini e Associati, 2004), Superumani. Etica ed Enhancement (Espress Edizioni, 2011), La clonazione umana prima di Dolly (Mimesis, 2014). Dopo aver pubblicato un suo saggio sul numero 8 di FUTURI, torniamo a parlare con lui del futuro della riproduzione umana e delle sue conseguenze.
Partiamo dall’attualità: la notizia di un agnello nato prematuramente e cresciuto all’interno di un’incubatrice definita “utero artificiale” ha fatto il giro del mondo negli scorsi giorni. Comparato a un feto umano, parliamo della capacità, in linea di principio, di far crescere al di fuori dell’utero materno feti alla 22° o 24° settimana. Quanto siamo vicini all’utero artificiale?
L’utero artificiale è già una realtà in quanto possiamo mantenere in vita un embrione umano fuori del corpo umano dal momento del concepimento per le due settimane successive e possiamo salvare feti sempre più prematuri. Oggi un embrione ha bisogno del corpo umano soltanto per poco più di ventuno settimane. Se venissero investite maggiori risorse nella ricerca, forse l’intera gestazione potrebbe essere vicariata. Ci sono ragioni di giustizia che giustificano un maggiore investimento nella ricerca sull’utero artificiale. Con lo sviluppo dell’utero artificiale, la riproduzione umana non ricadrebbe più soltanto sulle donne. Inoltre, gli uomini raggiungerebbero la piena uguaglianza con le donne nell’ambito della riproduzione, in quanto potrebbero riprodursi come e quando vogliono e non dipenderebbero dall’altro sesso per avere un figlio. Nel frattempo, comunque, si potrebbe permettere alle donne che desiderassero farlo di donare, una volta morte, il loro corpo per permettere ad altre persone (donne e uomini) di avere un figlio con il loro utero. Ci sono stati già casi di donne cerebralmente morte che sono state collegate a tecnologie vicarianti importanti funzioni del corpo umano per fare in modo che la loro gravidanza potesse continuare fino alla nascita del bambino. Si potrebbe, pertanto, concepire un embrione in vitro e poi trasferirlo nel corpo delle donatrici.
In effetti le polemiche crescenti sulla maternità surrogata, che trasformerebbe la capacità riproduttiva delle donne in un merce di scambio, sono legate al fatto che, soprattutto nel caso di coppie gay che intendono avere figli, l’unica alternativa passa per il cosiddetto “utero in affitto”. In questo senso, anche nel tuo libro sembri sostenere l’idea che l’ectogenesi possa rivelarsi, in futuro, una soluzione.
Certo, come dicevo, l’utero artificiale potrebbe essere un’opportunità per tutti, non soltanto per le donne ma anche per gli uomini, non soltanto per single ma anche per coppie eterosessuali, gay e lesbiche. C’è da chiedersi se, con l’affermarsi dell’utero artificiale, la gravidanza nel corpo umano sia destinata a scomparire. Importanti scrittori di fantascienza hanno immaginato che nel futuro la gravidanza e il parto potrebbero essere considerati qualcosa di barbaro: un’esperienza che, in qualche modo, offende e snatura la nostra umanità. Se un giorno l’utero artificiale dovesse rivelarsi qualcosa di più sicuro e affidabile della gravidanza umana, le donne che scegliessero di avere una gravidanza e poi partorire potrebbero essere considerate irresponsabili, in quanto non si preoccupano di assicurare al bambino che nascerà le migliori condizioni di sviluppo. Ma la scelta di portare avanti una gravidanza nel proprio corpo potrebbe essere anche una scelta obbligata per quelle persone che non avranno risorse sufficienti per garantirsi l’accesso alle nuove tecnologie. In questo scenario, le persone che venissero al mondo dal corpo di donna potrebbero essere discriminate in quanto la loro nascita sarebbe il segno che provengono da strati sociali non particolarmente fortunati o abbienti.
C’è un’affermazione interessante e provocatoria del bioeticista John Harris che citi nel libro: “C’è da dubitare che la riproduzione sessuale naturale, con il suo rischio di malattie trasmesse sessualmente, la sua alta percentuale di anormalità nei bambini che con essa nascono, e la sua ampia inefficienza in termini di morte e distruzione degli embrioni, sarebbe mai stata approvata da organismi di regolamentazione se essa fosse stata inventata come una nuova tecnologia riproduttiva piuttosto che essere semplicemente il risultato della nostra evoluzione biologica”. Forse cadiamo nell’errore di sopravvalutare troppo la natura quando tracciamo la linea di demarcazione tra “naturale” – ossia buono – e “artificiale” – ossia cattivo?
Non abbiamo ancora perso l’abitudine di identificare naturale con buono. Per fortuna, però, siamo anche capaci di rendere “naturale” ciò che prima era soltanto “artificiale”. Questo significa che all’inizio facciamo fatica ad accettare le nuove tecnologie, ma poi prendiamo confidenza con la novità e scopriamo i suoi vantaggi. A quel punto ciò che prima era nuovo e assai poco naturale diventa qualcosa che fa parte della nostra umanità. Qualcosa di simile accadrà probabilmente anche con le nuove tecnologie riproduttive e probabilmente arriverà un giorno in cui, come suggerisce John Harris, la riproduzione assistita diventerà molto più vantaggiosa e desiderabile della riproduzione sessuale. Il sesso non sparirà, ma non sarà più legato alla riproduzione. Anche questo oggi ci sembra quasi inaccettabile, in quanto appare così profondamente innaturale. È possibile che le generazioni che verranno dopo di noi avranno un altro punto di vista e che non saranno turbate dal fatto che i bambini non nascano più con un rapporto sessuale e nella pancia di una donna.
La rivoluzione delle cellule staminali pluripotenti indotte promette in un prossimo futuro la fine dei problemi di infertilità, grazie alla possibilità di produrre spermatozoi in vitro partendo da una qualsiasi cellula somatica. È uno scenario realistico? Quali altre possibilità, nell’ambito della riproduzione umana, possono offrire le cellule staminali?
Il campo di ricerca sui gameti artificiali o in vitro è uno dei più promettenti e interessanti della medicina della riproduzione. Sarebbe una vera rivoluzione se un giorno fossimo in grado di derivare dalle nostre cellule somatiche (e quindi, ad esempio, dalle cellule della nostra mano, delle nostre gambe, delle nostre orecchie) sia spermatozoi che cellule uovo e poi usarle per avere un figlio con un intervento di fecondazione assistita. Ancora non siamo riusciti a produrre dalle cellule somatiche gameti umani maturi ed utilizzabili per la riproduzione. Con i topolini, però, già riusciamo a farlo e, perciò, forse un giorno lo faremo anche con le cellule umane. A quel punto, ogni persona potrebbe avere un figlio biologico in qualsiasi periodo della sua vita, in quanto, anche se non ha più spermatozoi e ovociti, potrebbe ottenerli facilmente dalle sue cellule somatiche.
Con lo sviluppo della tecnica di editing genetico Crispr, crescono le preoccupazioni relative a possibili finalità eugenetiche o a effetti collaterali sul lungo termine nel caso di applicazione degli interventi di ingegneria genetica alla parte trasmissibile del genoma. Si va verso una moratoria di questi interventi? Questi timori rischiano di rallentare la ricerca orientata alla prevenzione, grazie all’ingegneria genetica, di malattie genetiche trasmissibili?
Credo che le nuove tecniche di intervento sul genoma umano potrebbero aprire scenari che ancora facciamo fatica ad immaginare. Potremmo programmare il patrimonio genetico dei nostri figli mettendo insieme le sequenze e i geni che preferiamo o che pensiamo possano dar loro il migliore avvio alla vita e le migliori opportunità. Anche in questo caso si pongono questioni di giustizia importanti con le quali dovremo sempre più confrontarci. Ad esempio, questi interventi saranno accessibili a tutti o soltanto alle persone più ricche? Ci saranno cittadini di serie A, geneticamente potenziati, e cittadini di serie B, il cui genoma è il risultato del caso? Inoltre, gli interventi di ingegneria genetica saranno a discrezione delle persone che vogliono un figlio, o alcuni interventi saranno obbligatori perché ad esempio prevengono importanti malattie di origine genetica? Non abbiamo ragioni per rifiutare o per considerare immorali interventi sul genoma corretti o di potenziamento, in quanto si tratta di interventi che possono migliorare la qualità della vita e il benessere di chi nascerà.
Si moltiplicano negli ultimi mesi le notizie relative a casi di fecondazione assistita con tre genitori. Di cosa si tratta?
Si tratta di una tecnologia che permette di prevenire importanti anomalie genetiche a livello di DNA mitocondriale. Il codice genetico della cellula uovo prima o dopo la fecondazione viene trasferito in una cellula uovo precedentemente privata del suo DNA nucleare. In questo modo chi viene al mondo avrà un patrimonio genetico a cui hanno contribuito tre diverse persone: le persone, con i cui gameti è stato concepito l’embrione, e la donna che ha donato la cellula uovo. Il bambino che nasce però avrà soltanto due genitori. Perché la donatrice della cellula uovo non può essere considerata una seconda madre o un terzo genitore. Questi interventi faranno probabilmente da ponte ad interventi di ingegneria genetica sul DNA nucleare.
Al di là dell’applicazione di questa tecnica per esigenze di prevenzione da malattie ereditarie, si può immaginare un futuro in cui si ricorrerà alla fecondazione in vitro con tre o più genitori per scelte personali, per esempio in caso di relazioni poliamorose?
Diciamo che anche in questo caso ci troviamo davanti ad una nuova frontiera: perché dovremmo pensare che soltanto due persone dovrebbero contribuire al patrimonio genetico della persona che nasce? Oggi questa è a realtà: chi nasce riceve una parte del suo patrimonio genetico da una donna e una parte da un uomo. Domani con le nuove tecnologie chi nasce potrebbe ricevere il suo genoma anche da più di due persone. Persone che hanno relazioni poliamorose potrebbero essere interessate ad avere un figlio biologico insieme. Ma la scelta di avere un figlio insieme ad altre persone potrebbe essere legata anche a ragioni diverse: alla voglia, ad esempio, di avere più tempo per se o dalla difficoltà economica di crescere un figlio da soli.
Il dibattito bioetico in Italia è molto sviluppato, forse anche per le problematiche che emergono quando le nuove tecniche di riproduzione umana si scontrano con la morale cattolica. Si avverte però un certo ritardo rispetto al progresso scientifico, con dibattiti ancora orientati su tematiche che in altri paesi sono ormai acquisite e ancora poca discussione sulle nuove frontiere come quelle dell’editing genomico o delle cellule staminali. È così?
È proprio così: siamo indietro rispetto agli altri paesi europei non soltanto a livello di ricerca e di possibilità ma anche a livello di riflessione sui nuovi scenari che si stanno aprendo. Rispetto al passato, comunque, oggi le cose sono diverse: l’influenza del pensiero cattolico sulla riflessione bioetica italiana ormai è marginale. Chi si occupa di bioetica si confronta con la riflessione internazionale e non ha più come interlocutore la Chiesa cattolica.