Lo scorso 11 Aprile 2014 si è tenuto il primo BarCamp della storia a Palazzo Montecitorio, nella Sala del Mappamondo. Cos’è un BarCamp? È una rete internazionale di non-conferenze dove esperti, professionisti e singoli cittadini si riuniscono per discutere di un particolare tema. L’obiettivo del BarCamp alla Camera dei Deputati era quello di raccogliere idee, progetti e proposte che fossero finalizzate al miglioramento dell’Italia riguardo gli indicatori dell’Agenda Digitale Europea. In qualità di co-fondatore dell’Italian Institute for the Future e responsabile dell’osservatorio di ricerca Italia 2050, ho presentato in quell’occasione una proposta sul tema della Social Collaboration all’interno del gruppo di indicatori E-Business and E-Skills. Ma andiamo per ordine. Perché la Social Collaboration? I dati dello Scoreboard dell’Agenda Digitale Europea sono abbastanza evidenti: il 34% dei lavoratori italiani percepisce insufficienti le proprie competenze ICT per il mercato del lavoro (tra le percentuali più altre in Europa) e solo il 13% di questi ha adoperato strumenti digitali per la ricerca online o per l’invio di una domanda di lavoro (media EU 17%).
Il 67,2% delle imprese italiane ha un sito web contro la media Europea del 72,8% e solo il 4% delle imprese ha assunto o tentato di reclutare specialisti ICT nel 2012 e questo dato rappresenta la metà della media UE dell’8%. Inoltre nelle aziende italiane solo il 13% degli specialisti ICT svolge attività coerenti con il proprio profilo (media EU 19%). Un dato però sgombra la strada da qualsivoglia resistenza che non punti sulla formazione digitale: nei prossimi anni il 90% dei tutti i lavori che possiamo immaginare richiederanno competenze ICT.
Rispetto gli altri paesi, l’Italia si caratterizza per un numero minore di persone che accedono ad Internet ma, allo stesso tempo, le persone che vi accedono hanno delle competenze medio-alte, cosa che non accade per gli altri paesi europei. Quello che ne emerge non è un quadro totalmente sconsolante come spesso noi italiani immaginiamo, ma sicuramente c’è molto lavoro da fare.
Alla conclusione dei lavori del BarCamp è stato evidente come molte delle proposte vertessero proprio sulla capacità del governo italiano di promuovere, incentivare in modo strutturale una vera cultura digitale. Dalle scuole alle cooperative di comunità, dall’open data della pubblica amministrazione alle piccole media imprese il filo conduttore che univa tutti questi settori era la necessità di formare e aggiornare le competenze degli italiani in materia di ICT. Ma questo può bastare? La domanda che mi sono fatto prima di presentare la mia proposta al BarCamp era proprio questa. Può bastare formare i cittadini italiani per acquisire competenze di diverso livello ICT. Sicuramente questo risolverebbe diversi problemi e darebbe una spinta inimmaginabile al nostro paese in fatto di economia, cultura digitale e consapevolezza del futuro. Ma dal mio punto di vista tutto questo non basta. Oltre al saper usare uno strumento dal punto di vista tecnico-funzionale è necessario capire come questo strumento possa trasformare radicalmente il modo di fare impresa e non solo.
Questo è proprio uno degli assunti della Social Collaboration (chiamate anche Digital Collaboration) che, secondo la definizione datane da Wikipedia, «utilizza dispositivi digitali, dati open source e la tecnologia cloud per condividere conoscenze, gestire le informazioni e contribuire ai contenuti generati dagli utenti e dalle comunità di persone, indipendentemente dall’ora e dal luogo. Completamente diversa dalla collaborazione tradizionale, si connette una rete più ampia di partecipanti che possono realizzare molto di più di quanto farebbero da soli».
Nella nostra società sempre più connessa e digitale i comportamenti e le azioni dei singoli individui, di gruppi di persone o delle aziende sono sempre più influenzati dalla sfera sociale in cui queste entità operano. Spesso le grandi corporation interpretano e agiscono questa visione con specifici programmi di Corporate Social Responsability che però nascondono la mancanza delle organizzazioni di aprirsi realmente al contesto in cui operano e di trasformarsi in piattaforme abilitanti. La Social Collaboration viene spesso identificata con nuovi processi che possono essere messi in opera all’interno delle aziende per migliorarne la produttività e la qualità del lavoro, sia per i manager che per i lavoratori. Questi strumenti possono però (e credo che in un futuro molto prossimo dovranno essere utilizzati sopratutto per questo) capitalizzare la creatività, la conoscenza e le relazioni che l’azienda stessa crea con il proprio ecosistema. Nel suo ultimo libro The Zero Marginal Cost Society, Jeremy Rifkin oltre a declamare la morte del capitalismo propone un nuovo modello che chiama “The Collaborative Commons”. Uno degli assunti dell’economista statunitense è lo spostamento verso la produzione a costo marginale zero, quella produzione che ormai è ben strutturata nel settore dell’open software.
Ma cosa centra l’Agenda Digitale Europea, la Social Collaboration, Rifkin e la marginalità a costo zero con la sharing economy? In parte ho già iniziato a spiegarlo prima. Se l’Agenda Digitale pone tra gli obiettivi solo quello di formare alle competenze ICT senza rendersi conto che il modello capitalistico per come lo immaginiamo noi e per come Rifkin lo descrive è ormai fallito, rischiamo di aumentare il livello di skills ICT ma allo stesso tempo di porre questa formazione all’interno di un modello orami in decomposizione. Da qui l’idea, e la proposta avanzata al BarCamp, di adoperare i già ingenti finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (l’Italia è il secondo paese per numero di finanziamenti) per progetti formativi di Social Collaboration e allo stesso tempo per la creazione di piattaforme abilitanti di pratiche e approcci collaborativi dove poter aggregare anche domanda e offerta che richiedano l’uso collaborativo degli strumenti ICT.
Simone Cicero di OuiShare, commentando Rifkin, identifica col termine Collaborative Commons un più chiaro concetto di Commons Based Peer Production: «modelli di produzione partecipativa e collaborativa basati su beni comuni». Se la marginalità si erode sempre di più e ciò che crea valore è la collaborazione con il proprio ecosistema, le aziende del futuro sono e saranno sempre più spinte ad aprire la circolazione delle informazioni sia al proprio interno che verso l’esterno attraverso strumenti e approcci di Social Collaboration, cosa che aumenterà non solo la loro capacità di essere resilienti rispetto alle fluttuazioni del mercato ma allo stesso tempo di muoversi in modo coerente nel proprio ecosistema coinvolgendone tutte le componenti in processi di co-creazione.
Nella ricerca dell’Eurostat “Social Media – Statistics on the use by Enterprise” è ben evidenziato come gli strumenti di social networking vengano usati prevalentemente per due motivi. Il primo riguarda il posizionamento del brand sulla Rete, e quindi parliamo di mere strategie di webmarketing. Il secondo motivo, strettamente connesso con il primo, è l’utilizzo dei social media come canale di conversazione con il proprio target. Le statistiche precipitano velocemente se andiamo a guardare quanto questi strumenti sono utilizzati per fini co-creativi. Questo ci dimostra come, anche se tali strumenti sono utilizzati dalle aziende, e quindi vi è un alto livello di competenze ICT, ciò che realmente fa la differenza è l’uso che se ne fa.
Se nel futuro il modello sarà quello di produzione partecipativa e collaborativa basato su beni comuni proposto da Rifkin, dobbiamo ancora di più essere consapevoli dell’importanza di come la condivisione delle informazioni, degli oggetti diventa sempre di più fattore abilitante di un nuovo modello produttivo, sociale e culturale. La vera sfida non è competere al di là di quello che è l’ecosistema nel quale un individuo, un gruppo o un azienda si pone. Gli strumenti digitali restano attrezzi con specifiche caratteristiche, è solo la capacità dell’essere umano di adoperarli per immaginare e creare qualcosa di diverso che può e farà sicuramente la differenza. La partita per il futuro è ancora tutta da giocare.
Per approfondire:
- Stefano Besana, Emanuele Quintarelli, Social Collaboration Survey 2013, http://socialcollaborationsurvey.it.
- Rachel Botsman, What’s Mine is Yours, Harper Business, 2010.
- Simone Cicero, Perchè il Capitalismo è davvero morto, “CheFuturo!”, http://ly/1mwDI60
- Eurostat, Social Media – Statistics on the use by Enterprise.
- Vincenzo Luise, “La Social Collaboration per l’adattabilità digitale”, BarCamp Camera dei Deputati, http://www.slideshare.net/vincenzoluise54/barcamp-vincenzo-luise
- Marta Mainieri, Come i social media ci aiutano a lavorare e a vivere bene in tempo di crisi, Hoepli, 2013.
- Jeremy Rifkin ,The Zero Marginal Cost Society, Palgrave Macmillan, 2014.
- Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale. Come il “potere laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo, Mondadori, 2011.
- Scoreboard Agenda Digitale Europea, http://ec.europa.eu/digital-agenda/en/scoreboard