Viviamo in un tempo di grandi trasformazioni: dalla tecnologia, ai cambiamenti climatici, alla demografia, tutto sta riplasmando il mondo secondo nuovi equilibri e visioni. Una vera e propria rivoluzione che almeno sul piano tecnologico può rappresentare quello che definisco il “terzo balzo in avanti dell’umanità”, dopo la lontana rivoluzione neolitica e la più recente rivoluzione industriale. Le tecnologie che vanno sotto il nome di Industry 4.0 stanno aprendo opportunità inesplorate per il genere umano, permettendo di liberare dopo millenni le migliori capacità intellettive dell’umanità. La crescita della tecnologia sta infatti assumendo, grazie alle tecnologie ICT e alla grande capacità di immagazzinamento dati e loro elaborazione a costi e tempi molto bassi, uno sviluppo esponenziale. Questo implica una rivoluzione di senso in tutti i campi dell’umano, finanche della natura stessa dell’uomo.
Investire quindi in tecnologia, anticipare il cambiamento, puntare sulla formazione e sulle competenze delle persone non è una delle tante opzioni possibili e non è nemmeno rallentabile: è l’unica opzione con la quale fare i conti. Dentro questo vorticoso cambiamento il lavoro è l’epicentro di questa grande sfida, per la nostra generazione e per l’umanità.
Per il sindacato, in uno scenario di questa portata pensare di non rimettersi in discussione sarebbe miope oltre che sbagliato. Per questo oggi, se vogliamo cogliere il segno dei tempi, siamo chiamati a fare scelte radicali, rifondative e rigenerative dentro quello che definisco “ecosistema 4.0”.
Radicali perché i ritardi dell’autoriforma hanno reso vana la manutenzione ordinaria. Rifondative, perché su molti aspetti ci siamo allontanati dalle grandi intuizioni originarie. Rigeneratrici, perché ogni lavoratore, dal primo all’ultimo iscritto, deve sentire la “differenza” nei valori positivi, nella fiducia nel progresso, nella giustizia, come tratti distintivi a tutti i livelli dell’organizzazione. Bisogna tornare a essere un soggetto che metta insieme le persone, di tutte le generazioni, per promuovere giustizia. In questo senso il sindacato ha sempre rappresentato un grande luogo educativo e palestra di democrazia che crea consapevolezza, autonomia e protagonismo. Oggi fare il sindacalista significa ascoltare, studiare, scegliere le priorità accompagnate dalla capacità di fare proposte. Troppi sindacalisti vivono ancora con la mente nell’Italia in cui “hanno tutti ragione”, altri non si sono neanche sforzati di capire dove va il lavoro e già pensano a “nuove categorie giuridiche” in cui incasellare il lavoro nuovo. Un esercizio del tutto inutile, quanto dannoso per il lavoratore e per il lavoro. Le nuove direttrici in cui si dipana il lavoro del domani rimettono infatti in discussione i vecchi paradigmi del Novecento (spazio-lavoro-tempo) secondo un modello completamente nuovo in cui lo spazio e il tempo assumono nella dimensione lavorativa una loro autonomia e in cui le tecnologie aprono opportunità del tutto inedite, su cui il sindacato è chiamato a una grande sfida d’immaginazione e visione dell’esercizio della rappresentanza.
La rivoluzione digitale tocca la complessità del rapporto tra tecnologia, uomo e società; se la fabbrica del XX secolo conservava sul lavoro una dimensione collettiva, con una stretta correlazione tra spazio e tempo, oggi questo legame si sta affievolendo e ci sfida in maniera inedita sia sul piano organizzativo che della rappresentanza. Si tratta di tracciare una nuova pista mai battuta e solo chi avrà la capacità di saper scrivere su un foglio bianco, sgombro dai dogmi e dalle ideologie del passato, andando incontro al futuro, non resterà marginale rispetto ai cambiamenti in atto.
Quando parliamo di Industry 4.0 e organizzazioni 4.0 abbiamo a che fare con un immane cambiamento della società e con essa della realtà produttiva, industriale e organizzativa, ma non solo: la tecnologia non è né oggettiva né un mero strumento, ma un contesto. Ridefinisce legami, riconfigura rapporti. Scompone e ricompone ciò che chiamiamo “società”. Il degrado dell’essere in relazione nasce ben prima dell’avvento del digitale. Ora la speranza non può che rinascere dalla costruzione di una nuova dimensione, fatta di comunità plurali, rese unite e vitali da scelte individuali consapevoli. Una trasformazione che grazie al digitale imbocchi la strada di quella che Jennifer Nedelsky (2013) chiama “cultura della cura”. Grazie alla tecnologia è possibile liberare spazio e tempo del lavoro rispetto a quella che prima era una relazione rigida, rigenerare le nostre città secondo una dimensione di sostenibilità sociale e ambientale che favorisca la condivisione e i momenti di socialità e d’incontro.
Gli accordi di smart working fatti in questi anni rappresentano, in questo senso, solo una minima espressione del potenziale che la tecnologia può rappresentare sul piano della ritessitura della comunità umana, ma occorre un cambiamento di mentalità e culturale dove il sindacato ha un ruolo fondamentale: una trasformazione della qualità dell’impiego della tecnologia dentro cui ripensare la nostra comunità, il senso della famiglia e della qualità del tempo e dello stare insieme. Per questo a mio avviso la definizione migliore del lavoro del futuro è quella data da Papa Francesco, che ha definito il lavoro del futuro secondo quattro aggettivi: libero, creativo, partecipativo e solidale. Credo che rispecchi in pieno lo spirito che deve guidare la rappresentanza del futuro e con essa lo sviluppo di quello che sarà il “nuovo lavoro”.
Personalmente ritengo che, contrariamente a una certa vulgata, la tecnologia non cancelli posti di lavoro. Creare nuovi posti di lavoro nel futuro potrebbe addirittura, come scrive Yuval Noah Harari (2017), essere più semplice che formare il personale per occupare quelle posizioni lavorative. Secondo uno studio del World Economic Forum (2016), il 65% dei bambini che oggi sono alla scuola elementare farà da grande, cioè tra venti o trent’anni, un lavoro che oggi non esiste nemmeno. È già successo qualche anno fa: ad esempio, l’invenzione degli smartphone ha creato nuovi lavori ed economie che prima semplicemente non esistevano, come quelli messi in circolo dalle “app” o dalle piattaforme, trasformando il lavoro esistente e creando occupazione. Per questo formare le persone, ripensare i nostri modelli formativi e la nostra scuola in un nuovo panorama dove la formazione accompagni le persone in tutta la loro vita è fondamentale. Nella quarta rivoluzione, infatti, formazione e competenze rappresentano il “diritto al futuro”. Come metalmeccanici abbiamo dato un importante contributo in questo senso, inserendo il diritto soggettivo alla formazione nel nostro contratto: otto ore sono ancora poche, ma abbiamo aperto un varco culturale e di metodo, perché è proprio su questo fronte che si giocherà la partita del lavoro futuro.
Purtroppo siamo ancora lontani rispetto agli standard europei: l’Italia spende in formazione l’1% di PIL in meno della media Ue e la metà della Germania. La verità è che andrebbero fatti investimenti massicci che intervengano anche sul sistema scolastico, che deve essere di tipo duale. Il governo tedesco, ad esempio, ha lanciato a marzo del 2019 un nuovo patto digitale, un piano da 5 miliardi di euro che dovrebbe trasformare le 40 mila scuole del Paese in una fucina capace di dotare le nuove generazioni delle competenze necessarie per affrontare il futuro mercato del lavoro digitale. Già oggi in Italia su questo fronte siamo indietro: abbiamo uno skill mismatch, cioè un disallineamento tra competenze dei lavoratori e competenze domandate dai datori di lavoro, che sfiora il 40% e che va assolutamente colmato.
La digitalizzazione del lavoro sindacale, sia sul piano organizzativo che comunicativo e della rappresentanza, è ancora, in troppi ambiti, all’anno zero. Nonostante la tecnologia offra già oggi soluzioni straordinarie per informare e rimanere in contatto con i nostri iscritti (dai cloud all’Intranet, dai social network alle chat) e nonostante i nostri “big data” (banche dati, bilanci aziendali, Caaf, patronati, contrattazione, dati associativi, vertenze ecc.) offrano possibilità di analisi straordinarie, come sindacato non ne abbiamo colto ancora appieno le potenzialità; ma gli sviluppi sono illimitati. L’impatto disruptive sulle gerarchie, su funzioni e ruoli nelle organizzazioni è fortissimo. Non rimodellare le organizzazioni in modo intelligente e di rete, rende sempre più distanti i ruoli formali da quelli reali, le funzioni codificate dalla loro utilità. Serve coraggio, ma questa distonia è sempre più marcata.
L’aumento delle nuove diseguaglianze, l’azione disruptive del digitale, la narrazione negativa del futuro stanno erodendo le basi della legittimità del sistema costituito dall’incrocio tra economia di mercato, protezione sociale e democrazia rappresentativa. Si tratta di problemi di portata enorme, trovare le risposte non è facile. La trasformazione in atto va governata puntando sulla formazione e sulle competenze, facendo cioè ai lavoratori da bussola per orientarsi in un mondo del lavoro privo dei riferimenti di un tempo. Nella smart factory conteranno molto meno che in passato le gerarchie e molto di più le persone, servirà investire in tecnologia ma soprattutto sulle persone e sulla loro formazione. Cruciale in questo senso sarà il ruolo della contrattazione. La blockchain, intesa come infrastruttura di base delle nuove relazioni economico-sociali, grazie ai contratti intelligenti consentirà di gestire in modo innovativo abusi, errori o frodi, attraverso gli smart contract. In questo senso i dati sono una miniera inestimabile che dovremmo forse cominciare a pensare come asset pubblici e non solo a disposizione delle grandi piattaforme digitali.
Su questo fronte abbiamo aperto come Fim Cisl un progetto sperimentale con Alkemy per la tessera sindacale digitale, uno strumento innovativo che potrebbe aprire scenari inediti in termini di trasparenza e di rappresentanza. Una modalità del tutto nuova di concepire il tesseramento, che smaterializza la tessera ma ridefinisce un rapporto di prossimità e rappresentanza dando valore al dato. Valore che già in alcuni importanti contratti della settore metalmeccanico abbiamo cominciato a inserire, come ad esempio in Lamborghini, in cui la gestione dei big data rappresenta un elemento di contrattazione. Il nuovo spazio organizzativo per il sindacato futuro diventa quindi anche digitale e immaginare “app” ad hoc e lavorare su forme organizzative del tutto nuove è la sfida. Le decisioni che prenderemo nei prossimi anni condizioneranno il futuro: se la nostra generazione non riuscirà ad avere una visione complessiva del lavoro, il futuro sarà deciso a caso. Le relazioni umane sono decisive, danno senso e qualità anche agli interscambi digitali. Ma la loro qualità e il loro significato sono aspetti decisivi. Il digitale può essere un’ottima piattaforma da cui ritornare a essere organizzatori delle comunità sociali e del lavoro, ma bisogna rimettersi in discussione con grande coraggio e spirito di frontiera.
Bibliografia
- Harari Y.N., Homo Deus. Breve storia del futuro, Bompiani, Milano, 2017.
- Nedelsky J., Law’s Relations. A relational Theory of Self, Autonomy and Law, Oxford University Press, Londra, 2013.
- World Economic Forum, The Future of Jobs, gennaio 2016.