Negli ultimi 150 anni, da quando la moderna industria petrolifera è nata e si è progressivamente sviluppata, per ben cinque volte si è temuto di aver raggiunto il picco di produzione globale. Lungi dall’essere prossimi all’esaurimento delle scorte petrolifere mondiali, la cui estrazione, trasformazione e commercializzazione è influenzata per lo più da “variabili umane” (sviluppo tecnologico, politiche economiche dei singoli paesi importatori e/o esportatori, stabilità interna dei paesi produttori, vulnerabilità della filiera produttiva alle minacce derivanti da terrorismo, guerre civili, conflitti internazionali o mera corruzione), in questa prima parte del XXI secolo l’aumento sensibile del prezzo del petrolio sul mercato globale e le nuove scelte geopolitiche di quella che ad oggi è ancora la prima economia al mondo, nonché il primo importatore netto di combustibili fossili, ovvero gli Stati Uniti d’America, evidenziano come una rivoluzione tanto culturale quanto materiale sia effettivamente in atto in merito all’argomento “petrolio” come forma primaria di approvvigionamento energetico.
La domanda che sorge spontanea è: cosa comporterà sul piano economico uno sconvolgimento simile? Quali saranno gli scenari geopolitici che ne conseguiranno? Una prima analisi di scenario mostrerebbe come una zona “calda” quale il Medio Oriente dell’ultimo cinquantennio possa annotare importanti stravolgimenti strategici. In primis, l’innegabile vittoria diplomatica ottenuta dalla Russia in merito alla gestione della situazione siriana e l’apertura al dialogo USA-Iran, sono direttamente riconducibili alla nuovissima politica del laissez-faire statunitense sul grande scacchiere mediorientale. Un passo indietro politico-militare più che una “evacuazione”, ovviamente; gli interessi economici d’altronde sono ancora notevoli. Ad ogni modo, un tale “vuoto di potere” ha visto già due paesi quali Russia ed Arabia Saudita contendersi l’egemonia regionale, con la Turchia, l’Iran e la Cina “osserv-attori” molto interessati.
Non solo Medio Oriente. Il Caucaso è un ulteriore scacchiere di grande interesse tanto per le medie potenze regionali quanto per le grandi potenze e aspiranti tali sul piano globale. La forza della Russia è stata già dimostrata nell’agosto 2008, quando furono i fatti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del sud a tenere banco sulle prime pagine dei giornali internazionali in concomitanza con le Olimpiadi di Pechino. Olimpiadi che, nella loro ultima edizione universale, si sono disputate in Russia e per l’esattezza a Sochi, a dimostrazione che il Caucaso è il cortile di casa russo. L’incerta situazione siriana; le incognite saudita ed iraniana, antagoniste dirette in ottica religiosa, securitaria e di export energetico per uno “scontro inter-civiltà” in piena regola; l’Azerbaigian turcofono e sunnita in ascesa, rebus per Russia ed Iran e nuovo fornitore energetico potenziale per Bruxelles; l’operato cinese in Medio Oriente e Ucraina con lo stesso modus operandi adottato in Africa e sud-est asiatico, sono la conseguenza di questo riassetto politico-economico di quell’area geopoliticamente conosciuta come Heartland.
I potenti della Terra sono perfettamente a conoscenza del “futuro energetico” delle proprie società e dunque delle proprie economie. Come ha fatto notare Daniel Yergin (2012), da quando all’alba della Prima Guerra Mondiale Winston Churchill prese la storica decisione di passare dal carbone del Galles al petrolio dell’allora Persia come fonte di approvvigionamento energetico per i vascelli della Royal Navy, la sicurezza energetica si è rivelata essere questione di strategica e vitale importanza per l’Impero Britannico prima e per qualunque potenza avesse di lì in avanti deciso di giocare un ruolo predominante sui vari teatri (politico, economico, militare) del palcoscenico internazionale.
Sulla scorta di tali considerazioni va valutata la scelta statunitense di diversificare pesantemente il proprio approvvigionamento energetico sia in termini di partnership che di risorse, passando dalle trattative necessariamente politicizzate e rispondenti alle velleità di petromonarchi e petrodittatori di tutto il mondo, ad un approvvigionamento di olio e gas di scisto (shale oil/shale gas), direttamente dai vicini messicani e canadesi, decisamente più user-friendly.
Il prezzo in continua ascesa dei combustibili fossili e il progressivo deteriorarsi dell’ecologia della Terra sono i fattori trainanti che condizioneranno e limiteranno tutte le decisioni politiche ed economiche che i policy-makers saranno costretti a prendere nel prossimo cinquantennio. La questione fondamentale che ogni paese dovrebbe porsi è come far crescere un’economia globale sostenibile nei decenni del tramonto di un regime energetico i cui crescenti costi esternalizzati e svantaggi stanno cominciando a compensare in negativo quello che una volta era il suo vasto potenziale positivo. Stando alle parole di Jeremy Rifkin (2011), è ormai assodato che stiamo entrando in un periodo in cui i costi totali della nostra intossicazione da idrocarburi incominciano a funzionare come un fattore di rallentamento dell’economia mondiale, ma una terza rivoluzione industriale è prossima: i grandi momenti economici di svolta nella storia del mondo si sono sempre verificati quando nuovi regimi energetici hanno potuto convergere con nuovi regimi di comunicazione.
L’ultima grande rivoluzione delle comunicazioni si è manifestata negli anni ’90 e, per dirla con Thomas Friedman (2006), il mondo (o almeno una parte di esso) è risultato essere piatto. Forme di comunicazione elettrica di seconda generazione – personal computer, internet, world wide web, e le tecnologie di comunicazione wireless – hanno permesso l’interconnessione del sistema nervoso centrale di oltre un miliardo di persone sulla Terra alla velocità della luce, un appiattimento del globo terracqueo in piena regola. Ma, nonostante le nuove rivoluzioni di software e comunicazioni abbiano cominciato ad aumentare la produttività in ogni settore dell’economia ed abbiano iniziato a “riprogrammare” le forme di interazione sociale tipiche dell’homo sapiens, il loro vero potenziale è ancora lontano dall’essere raggiunto pienamente.
Anello di congiunzione delle due sopracitate rivoluzioni sono quei particolari elementi della tavola periodica che tanto interesse hanno suscitato nelle maggiori potenze economiche mondiali nonché nei principali paesi in via di sviluppo: le terre rare. Moderatamente abbondanti nella crosta terrestre ma non abbastanza concentrate da essere facilmente sfruttabili da un punto di vista economico, le terre rare (17 elementi, 15 dei quali rientrano nel gruppo chimico dei lantanidi, con l’aggiunta dell’ittrio e dello scandio), sono destinate a molteplici usi: nel settore automobilistico per la costruzione di convertitori catalitici e di batterie ricaricabili per modelli ibridi ed elettrici; come fosfori nei tv color e display ultrapiatti (ad es. telefoni cellulari, lettori dvd portatili, laptop); per importanti applicazioni nel settore militare, dai motori dei jet da combattimento alla difesa antimissilistica, dai satelliti in orbita geo-stazionaria al sistema di comunicazione.
Negli ultimi 15 anni, gli Stati Uniti, da produttori e dunque consumatori autosufficienti di tali elementi, sono divenuti importatori al 100%, primariamente approvvigionandosi dalle miniere cinesi, soprattutto a causa del costo contenuto di suddette operazioni. Tale politica low cost, sebbene abbia pagato alti dividendi nel breve periodo, sul medio-lungo termine ha messo diplomaticamente gli Stati Uniti con le spalle al muro; basti pensare all’aumento esponenziale della spesa americana per “terre rare”, dai 42 milioni di dollari del 2005 ai 129 milioni di dollari del 2010, un aumento netto di oltre il 200% a fronte di un declino del 42,6% delle quantità importate.
La crescita esponenziale dei prezzi, la altrettanto sensibile crescita di consumo prevista nel medio-lungo periodo di siffatti elementi, nonché la loro distribuzione geografica sul globo terracqueo (99% in territorio cinese), dovrebbero mettere in allerta tutti i decisori politici di oggi affinché non si valichi il punto di non ritorno, quella linea che una volta oltrepassata renderebbe vane tutte le negoziazioni economiche e diplomatiche determinando una congiuntura internazionale critica, che rischierebbe di lasciare incontrollate le tensioni scatenate.
Un nuovo regime energetico è all’orizzonte e, parallelamente, un nascente sistema di comunicazioni si sta sviluppando in fretta per veicolarne il cambiamento. Le rivoluzioni in questione, come ogni rivoluzione che si rispetti e soprattutto che si interseca nel contempo con altre rivoluzioni coeve, racchiudono un potenziale altamente esplosivo. Siamo sulla soglia di una nuova era, un’era la cui traiettoria sarà decisa dalla gargantuesca quantità di cambiamenti che la inaugureranno e dalla maniera in cui tali cambiamenti verranno percepiti ed assorbiti dalla politica e dall’economia internazionale. Inoltre, il modo in cui i decisori politici, gli attori economici e gli agenti sociali decideranno di cogliere singolarmente e collettivamente le opportunità del presente, le loro scelte miopi e guidate da interessi e profitti di breve termine a scapito di un più equilibrato progetto di lungo periodo, originerà distorsioni che sempre si celano insidiose dietro tali cambiamenti.
L’affannosa ricerca di un posto al sole è costantemente in atto; il paventato declino americano, il farraginoso quanto machiavellico progetto europeo, la rinascita russa, la primavera araba e l’affacciarsi di un paese come la Cina sul panorama mondiale sono tutti elementi che in questi anni e nei decenni a venire determineranno un vero e proprio restyling del mondo così come ad oggi appare dinanzi ai nostri occhi. Evoluzioni per mezzo di rivoluzioni le cui traiettorie, i cui strascichi non sono tuttavia scrutabili da questa distanza e ai quali si può solo approcciare passo dopo passo, ben coscienti che bisogna saper leggere le correnti e domare il flusso, perché tutto scorre.
Per approfondire:
- Friedman T., Il mondo è piatto. Breve storia del XXI secolo, Mondadori, 2006.
- Rifkin J., La terza rivoluzione industriale, Mondadori, 2011.
- Yergin D., The Quest. Energy, Security and the Remaking of the Modern World, Penguin, 2012.
- Yergin D., Ensuring Energy Security, in “Foreign Affairs”, marzo/aprile 2006.
- Zweig D. e Jianhai B., China’s Global Hunt for Energy, in “Foreign Affairs”, settembre/ottobre 2005.