Il bisogno di riflettere attorno al tema della crisi ambientale e delle implicazioni dell’ambivalente rapporto che da sempre lega l’Uomo alla natura non è forse mai stato così urgente come ora. La stessa situazione di emergenza pandemica da coronavirus –ancora in essere al momento in cui si scrive, pur trattandosi di una prima fase di convivenza con il virus – tradisce l’inadeguatezza degli strumenti di comprensione e interpretazione della realtà contemporanea ereditati dalla modernità. Da più parti è avvertita l’esigenza di ripensare la struttura alla base del processo di conoscenza, a partire dal dialogo tra i saperi, mondi culturali e disciplinari, in vista di un attraversamento delle “grandi narrazioni” (Lyotard, 2008) filosofiche occidentali. Nuove prospettive teoriche, nonché presupposti di un nuovo abitare in cui l’Uomo, la natura e gli altri esseri viventi convivano e dialoghino senza fratture, riassumono la richiesta verso cui tendere.
Il coronavirus, ad esempio, rappresenta un elemento naturale insidioso, invisibile e infettante, la cui pericolosità per la salute umana, incontrollabilità spazio-temporale e imprevedibilità degli effetti – che nella visione di Ulrich Beck lo connoterebbero come un fenomeno contemporaneo della “società mondiale del rischio” – ha generato una situazione inedita di incertezza (Beck, 2011). La paura che la catastrofe si manifesti nuovamente si lega all’incombere quotidiano della minaccia e alla sua “anticipazione”. La “rappresentazione mediatica della catastrofe” – per dirla con Beck – suggestiona l’immaginazione e la percezione del fenomeno (Beck, 2011). La dimensione invisibile del rischio di contagio diviene così visibile per l’opera divulgativa dei mezzi di comunicazione di massa, il cui ruolo è stato determinante nella edificazione dell’“immaginario della pandemia” (Camorrino, Savona, 2020).
La scienza moderna si scontra con i suoi limiti di comprensione e interpretazione dei fenomeni contemporanei sui quali cozzano i saperi e i pareri di esperti e contro-esperti (Giddens, 1994). In questo crogiolo di rappresentazioni, percezioni e informazioni, talvolta dissonanti tra loro, la “grande narrazione” scientifica (Lyotard, 2008) – nei termini della concezione “riflessiva” della modernità enunciata da Beck, Giddens e Lash (1999) – si frammenta al suo interno. Difatti, l’autorità di cui la scienza ha beneficiato per oltre tre secoli è indebolita dalla presenza di eventi “catastrofici” – parafrasando Beck (2011) – che minacciano la sopravvivenza dell’umanità. Questo stato di cose comporta dunque il ridimensionamento della promessa di “emancipazione universale” da parte dell’istituzione scientifica. Per tali ragioni nell’età contemporanea – secondo la visione di Jean François Lyotard (2008) – la scienza involve a “piccola narrazione” e non è più legittimata ad appagare la sete di conoscenze certe.
A questo punto, risulta particolarmente importante sottolineare che, di fronte ad una situazione inedita di incertezza e angoscia come quella generata dalla emergenza pandemica, gli individui vivono con estrema intensità una situazione di “coinvolgimento emotivo” (Elias, 1988). Lo stesso Elias annota puntualmente che la perdita di riferimenti e dispositivi di senso adatti ad inquadrare razionalmente l’esperienza ordinaria, ne sia l’effetto diretto. La dimensione invisibile ed eventuale del rischio e l’accentuarsi della difficoltà di comprensione di un fenomeno così complesso obbligano a rifugiarsi e a rintracciare altrove i “supporti psicologici” per affrontarle (Camorrino, 2018a). L’individuo si trova così costretto in una condizione di double bind che – nella visione di Elias (1988) – rivela la potenza del rapporto di interdipendenza tra l’inadeguatezza dell’uomo di guidare razionalmente se stesso e la natura, che invece non perde la grandezza della sua imprevedibilità e misteriosità. L’irruzione del virus sulla scena sociale contemporanea e le diverse configurazioni immaginali[1] con cui gli esseri umani attribuiscono significato alla natura, e in questo caso – nella convinzione di chi scrive – al fenomeno del coronavirus, incoraggiano la riflessione delle scienze sociali rispetto all’urgenza di un cambiamento di paradigma (Grassi, 2020). Non è infatti un caso che narrazioni eterogenee sul fenomeno si siano affacciate sulla scena pubblica e mediatica globali, aprendo il dibattito su interpretazioni spesso dissonanti in cui il virus compare a volte come oggetto naturale, talaltre come l’effetto del lungo processo di “antropizzazione della natura” – per dirla con Giddens (1999).
L’ecologia sembra essere oggi una nuova forma di conoscenza slacciata dai dogmi della tradizione culturale della civiltà occidentale. La struttura riduzionistico-razionalistica del sapere circoscriverebbe in tal senso la comprensione e l’interpretazione della complessità dei fenomeni (D’Andrea, 2014). Sulla scena contemporanea si affacciano nuove proposte del sapere che tengono conto del bisogno di interdisciplinarietà come strumento di comprensione adatto ad affrontare la complessità della realtà, integrando differenti modi del conoscere a quello logico-matematico tipico della logica razionalistica. Ma prima di affrontare tale questione – cui sarà dedicata l’ultima parte della riflessione – è importante fare cenno alla visione della corporeità nella nostra cultura, di cui l’immaginario moderno della natura è piena espressione.