Era il 1985 quando Donna J. Haraway pubblicava il Manifesto Cyborg (Haraway, 2018) dichiarando con toni altisonanti quanto l’Umano[1], così come fino a quel momento l’avevamo definito, fosse superato. Cosa significa però superare l’umano? L’umanità, interpretata da secoli dall’Uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci e dalla ragione cartesiana, è da qualche tempo sotto assedio. Secondo Gilbert Durand (1991) e Jean Baudrillard (1984), l’impostazione universalistica, insita nell’Umanesimo, ha costruito la logica binaria dell’identità e dell’alterità, restituendoci una rappresentazione di un uomo sostanzialmente separato dal resto dell’universo, se non addirittura un suo opposto (Marchesini, 2002). La logica sottesa all’universalismo è infatti quella che il sociologo francese Edgar Morin (2001) chiama aut/aut (o/o): lo spirito di separazione ed esclusione. Dividendo ciò che è umano da ciò che non lo è si è definito un Altro rimosso che di volta in volta è stato necessario soffocare: una razza, un genere, un orientamento politico (Baudrillard, 1984; Braidotti, 2014).
A partire dagli anni Sessanta e Settanta il femminismo e l’anticolonialismo hanno messo in discussione l’ideale umanistico, universale ed eurocentrico, laddove Michel Foucault annunciava la “Morte dell’Uomo” in Le parole e le cose (Foucault, 1998). L’era dei “post”, a volte stanche etichette colme di paure future, fa riecheggiare a ogni piè sospinto il «siamo tutti cyborg» di Haraway, alimentando le nostre ansie quotidiane. La temperie filosofica del “movimento” postumanista[2] non avrebbe mai preso vigore senza il lavoro di artisti di avanguardia come Stelarc e Orlan, di narratori come William Gibson, di autrici come Donna J. Haraway[3]. Il concetto di cyborg, derivante dalla cybernetics di Norbert Wiener, composto da cyber e organism, significa «organismo cibernetico e indica il miscuglio di carne e tecnologia che caratterizza il corpo modificato da innesti di hardware, protesi e altri impianti» (Wiener, 1968). Negli anni Ottanta e Novanta dominerà l’immaginario fantascientifico grazie alla narrativa cyberpunk di Gibson. Sarà però la californiana Donna Haraway a convertire il cyborg in un vero e proprio “controparadigma”: una cartografia immaginifica in grado di leggere i cedimenti delle dicotomie occidentali, ovvero il confine tra umano e animale, quello tra macchina e organismo e tra fisico e non fisico.
Complici la diffusione mediatica di lifting e liposuzioni e l’aumento delle biotecnologie, dell’ingegneria genetica e delle nanotecnologie, la fine del Novecento vede un exploit di fenomeni globali di standardizzazione estetica con tendenze a conformarsi a canoni estetici estremamente omologanti; accanto a questi si sviluppano forme opposte di resistenza attiva che professano una soggettività provocatoria con schieramenti di massa e forme di esibizionismo. L’uomo riscrive il proprio corpo e lo fa attraverso il «teriomorfismo» – tatuaggi, piercing estremo, makeup, moda, body art – o mediante il «macchinicomorfismo» – chip, nanotecnologie (Marchesini, 2002). La ridefinizione del corpo è in linea con la rivendicazione di un diritto soggettivo sullo stesso che si espleta con un aumento della titolarità della scelta. Il corpo diventa progressivamente sempre più “computazionale e tecnologico” attraverso una materialità artificiale e organi sostituibili tecnologicamente (La Guardia, 2008).
Allora pare lecito chiedersi: il Postumano è foriero di un nuovo mondo? Oppure in una prospettiva globale l’accesso alla tecnologia e gli interventi finalizzati all’alterazione biologica sono solo appannaggio di una minoranza, irrisoria in termini di scala, che detiene però un potere economico e comunicativo tale da riuscire a primeggiare nel mondo di Internet, sfruttando a suo favore il targeting[4] e l’inclusive marketing?[5] Per rispondere a queste domande si è scelto in questa sede l’eccesso e l’estremo: Neil Harbisson, rappresentante della cyborg art e fondatore della Cyborg Foundation (Cyborg Foundation, 2020). Le voci di giganti dell’immaginario come Gilbert Durand si intrecceranno con le intuizioni più recenti dei precursori del postumano, quali Rosi Braidotti e Roberto Marchesini. L’analisi della filosofia del Design yourself, principio fondante della cyborg art di Harbisson, permetterà di affrontare le questioni epistemologiche legate al rapporto tra l’Umano e l’Alter tecnologico nel contesto contemporaneo. Il cyborg è paradigma o controcorrente? Il caso Harbisson fungerà da palestra critica.