Nel contesto dello strategic decision-making e della teoria dell’anticipazione si propone il dilemma ontologico[1] qui denominato “Tragedy of the future commons”. Tale modello proietta il noto dilemma socio-epistemologico della Tragedy of the commons nell’incertezza ontologica[2] propria del futuro. L’incertezza, come si vedrà più avanti, aggiunge al conflitto quella connotazione morale necessaria per descrivere le scelte individuali (e le motivazioni che le supportano) che caratterizzano la contemporaneità (contemporaneità che si distingue dalle epoche precedenti per un alto grado di incertezza dovuto alla velocità con cui si susseguono i cambiamenti).
L’introduzione di questo strumento può aiutare nell’interpretazione dei cambiamenti in atto ma, soprattutto, si rivela particolarmente indicato per supportare le tecniche di previsione sociale. Si dimostrerà tale connubio attraverso l’analisi di un segnale debole che emerge nelle società occidentali: una volta tanto non un cambiamento nei comportamenti, già difficilmente individuabile per tempo, ma un cambiamento nelle motivazioni che giustificano i comportamenti.
Una decisione da effettuare in regime di rischio è più frequentemente giustificata da motivazioni utilitaristiche, orientata cioè all’efficienza redistributiva o al principio di uguaglianza. Ne è un esempio l’approccio moderno al contratto sociale: con l’aiuto della teoria dei giochi è possibile dimostrare come l’utilizzo delle mascherine durante la pandemia sia tanto più accettato individualmente quanto più evidente sia lo status quo che abilita indossarle. Eppure, indossare la mascherina è un disincentivo individuale: un costo per l’individuo. Il sacrificio altruistico che lo rende possibile è sufficientemente motivato dal desiderio di coordinazione ed efficienza sociale (do things right)? Quando, invece, si rende necessaria una certa consapevolezza morale degli individui affinché, per il bene della società, le scelte vengano giustificate da imperativi deontologici (do the right thing)? Il confine sembra essere tracciato dall’incombenza dell’incertezza ontologica.
Il valore della cooperazione per la democratizzazione dei futuri
L’imperativo categorico fa riferimento alla teoria morale Kantiana, l’esigenza di efficienza distributiva chiama in causa aspetti socio-economici. Vale la pena sottolineare che in un mondo regolato dalla competizione, la performance individuale non è sufficiente a stabilire la misura del risultato: anche in condizioni di perfetta meritocrazia, premi e punizioni sono elargiti in relazione alle performance degli altri giocatori. A maggior ragione considerando la meritocrazia una condizione asintotica alla quale una società complessa non riesce a giungere, il futuro dell’individuo non dipende esclusivamente dalle scelte che ha fatto, fa e farà (Milanovic, 2015).
Già questo limite normativo sarebbe sufficiente a dimostrare l’esigenza di una gestione anticipante e democratica dei futuri, ma per completezza si prenda ad esempio l’importanza della coordinazione durante la pandemia in atto. L’impreparazione ha fatto sì che la pandemia si sia rivelata un cambiamento inatteso verso una dittatura biologica. Cambiamento repentino e senza consenso delle norme sociali, delle regole e dell’uso delle abitazioni che abbiamo affinato nel corso di migliaia di anni. L’adattamento al nuovo, tra l’altro, non è stato incoraggiato da punizioni proporzionali ma imposto dalla certezza della penalità dell’infezione (Piccinni, 2021). Ebbene, secondo un recente studio di Harvard, con un efficiente coordinamento globale sarebbe stato possibile mantenere attivi fino al 58% dei voli internazionali con un livello di controllo dei contagi paragonabile a quello che abbiamo sperimentato con la chiusura dei confini (Le, 2021). La coordinazione disabilitante è quella che ha fatto convergere le policy nazionali verso la chiusura dei confini: gioco a somma zero. La coordinazione è condizione necessaria ma non sufficiente per la cooperazione che invece consente giochi a somma positiva (nell’esempio dei voli internazionali si fa riferimento ai benefici economici e sociali della mobilità).
Nella comunità scientifica sussiste ampio consenso circa la relazione tra la capacità di cooperazione dell’Homo sapiens e il suo successo evolutivo rispetto alle altre specie (Ostrom, 2000; Skyrms, 2004). Come specifica Yuval Noah Harari: «Il potere degli uomini non è determinato dal singolo individuo ma da una collettività, […] riusciamo a dominare il mondo perché cooperiamo meglio di qualsiasi altro animale sul pianeta» (Harari, 2017). Le istituzioni che hanno promosso la cooperazione sono aumentate stabilmente nel tempo, riflettendo un sensibile miglioramento della condizione umana (Pinker, 2011). Come per il passato e il presente, così per il futuro: lo human flourishing dipende dalla capacità di riconoscere i valori universali dell’uomo, come possono essere la sussistenza ottimale per la vita, la fiducia, la giustizia, la dignità, l’uguaglianza e, appunto, la cooperazione. Denis Goulet però mette in guardia: i valori, benché universali, sono validi solo al tempo in cui essi sono diffusamente accettati. I valori sono, infatti, frutto di evoluzione e processi emergenti. Accettiamo facilmente che i valori che hanno espresso le società del passato siano cambiati ma con altrettanta facilità cediamo alla presunzione di considerare i valori attuali come definitivi, perfetti, sufficienti per ulteriore progresso (Goulet, 1995).
Si rende necessaria, oggi più di ieri, una conversazione, una negoziazione, un tentativo di accordo sullo stato dei valori. L’urgenza è causata dall’accelerazione che stanno subendo i cambiamenti e dal conseguente rimescolamento dei valori. Ai fini di un’adeguata trattazione della cooperazione si ritiene utile argomentare più approfonditamente il ruolo dei valori. In particolare, sui valori, è utile specificare che:
- sono generati dalla scarsità[3] (Miller, 2021),
- orientano i comportamenti e sono criteri per la valutazione dei comportamenti (Poli, 2011),
- sono legati all’innovazione (Poli, 2019),
- anticipare[4] la loro variazione motiva l’azione (Fuller, 2018).
La scarsità delle risorse genera ambienti competitivi e produce valore, si pensi a quello di un bicchiere d’acqua nel deserto. Miller parte da uno scenario di abbondanza per spiegare questo concetto: l’Eden. Nel giardino di Adamo ed Eva, mela a parte, tutto è illimitato, tutto è concesso, dunque, l’unica cosa che ha un qualche tipo di valore intrinseco è la mela proibita. È la struttura stessa del sistema che pone gli unici due individui in una situazione di tensione reciproca e volge la loro attenzione nei confronti dell’unica risorsa non godibile. In uno scenario caratterizzato, invece, da una moltitudine di individui e dalla scarsità di risorse è più opportuno semplificare la geometria del sistema attorno alle comunità di pratica, insiemi di individui il cui comportamento è stabilizzato da valori condivisi.
Solo passando attraverso queste comunità un artefatto tecnologico può diventare innovazione, perché è la pratica sociale che determina l’uso, quindi il significato e il valore di una determinata tecnologia[5]. Più in generale, l’innovazione nasce quando cambiano le pratiche sociali. Le stesse istituzioni sono innovazioni sociali, nuove pratiche di adattamento, nuovi esperimenti di coesistenza con i dilemmi sociali. Con istituzioni qui si vogliono intendere proprio i set di regole, le norme e le credenze che hanno lo scopo di proteggere il bene comune attraverso il controllo delle tensioni tra la razionalità individuale e collettiva. Per questo motivo le istituzioni promuovono la cooperazione e, talvolta, puniscono la defezione[6].
Il sistema innovazione è, dunque, così composto: l’innovazione ridistribuisce le risorse cambiando i valori in gioco[7]. Il cambiamento dei valori detta nuovi comportamenti – o pratiche sociali – e il nuovo set competitivo esige nuove strategie, ovvero ulteriore innovazione. In altre parole, l’innovazione è nuovo significato condiviso (Tuomi, 2006).
L’ultima considerazione sui valori ha a che fare col futuro. I valori sono strettamente legati al futuro, si consideri ad esempio la sostenibilità, l’equità e la solidarietà tra generazioni (Scolozzi e Serpagli, 2017). Il futuro è la dimensione costitutiva dei valori etici (Poli, 2011). Questo è importante perché, come si vedrà in seguito, l’etica può considerarsi indispensabile per trasformare la coordinazione in cooperazione. Secondo Roberto Poli l’anticipazione è ciò che ci permette di «passare da una comprensione statica del futuro come qualcosa che è dato a una comprensione del futuro basata sui processi come qualcosa che può essere generato o consumato dalle nostre azioni» (Poli, 2019). Il cambiamento, così strettamente legato all’innovazione, non è, allora, qualcosa che debba essere necessariamente subito ma può essere anche pianificato.
La natura trasformazionale dell’anticipazione rende ancor più evidente l’accostamento dell’anticipazione con l’innovazione e i valori. L’anticipazione stabilizza o destabilizza le pratiche e le norme in funzione dei valori che si intendono preservare o far emergere (Rosen 2012; Fuller, 2018).
Attraverso la definizione dei futuri preferibili si avvia il processo normativo degli studi di futuri, il motivo stesso dell’azione anticipante. Inoltre, si noti che il cambiamento comportamentale dettato dall’anticipazione è utile per far fronte a problemi che non si sono ancora verificati e che, causa l’incertezza ontologica, non è affatto detto che si verificheranno in futuro. Questo comporta necessariamente che nel presente l’azione anticipante richieda un sacrificio in termini di efficienza. L’anticipazione ha un costo.
Giustificare tale costo è lo scopo di questo articolo.
La scarsità delle risorse comuni, tragedia | atto I
I greci conoscevano bene i limiti dell’essere umano e raccontavano la hybris, la rovina dei più arditi attraverso la tragedia. Nei miti, nelle narrazioni che si prefiggono di insegnare come l’uomo possa perdersi nelle, o uscire dalle, difficoltà, si riscontra la prima forma di esigenza di regole atte a definire come esseri indeterminati[8] possano convivere con la natura, sopravvivere nella natura. Il comportamento cooperativo tra gli individui è fondamentale per il successo di tali propositi ma anche per il successo delle relazioni personali e il buon funzionamento delle società.
I dilemmi sociali si verificano quando c’è disallineamento tra gli interessi del gruppo e gli incentivi dei singoli. Questo disallineamento, che può portare al sovrasfruttamento e al collasso delle risorse pubbliche, diventa cruciale al cospetto delle sfide globali come il cambiamento climatico. Una buona modellizzazione richiede un approccio sistemico nel contesto della teoria dell’anticipazione (Kineman e Poli, 2014; Scolozzi e Geneletti, 2017) oppure nel contesto della teoria dei giochi. Quest’ultimo è efficace nella descrizione di situazioni in cui comportamenti razionali[9] ed egoistici conducono a risultati più modesti di quelli che gli individui avrebbero ottenuto se avessero agito per la collettività.
La tragedy of the commons o “tragedia dei beni comuni” è un termine che è stato introdotto da Garrett James Hardin nel 1968. Lo stesso Hardin modellizza l’attrito tra gli interessi dell’individuo e della collettività attraverso il CC-PP Game, un “gioco” (nell’accezione che ne dà la teoria dei giochi) particolarmente adatto a studiare il problema dell’allocazione delle risorse. Il CC-PP Game si configura quando di una risorsa si possono privatizzare i profitti e delegare i costi alla società (Hardin, 1985).
Il gioco pone in competizione due individui[10], W e Z, solitamente chiamati giocatori, che partono da una condizione di sfruttamento di una risorsa. Generalmente questa è una risorsa naturale scarsa come può essere l’aria pulita, un fiume, un bacino acquifero sotterraneo.
Le strategie che possono adottare sono la cooperazione e la defezione, nel caso del CC-PP Game, in base alla volontà di preservare la risorsa o continuare a sfruttarla. Se entrambi i giocatori decidono di applicare una strategia parsimoniosa e lungimirante nei confronti della risorsa, questi entrano in una forma di status quo[11]. Un eventuale sbilanciamento determina il vantaggio competitivo del giocatore che sfrutta la risorsa più dell’altro.
I due giocatori non conoscono la strategia dell’altro fino al momento in cui effettuano la propria scelta. La paura che l’avversario possa decidere di perseguire l’obiettivo del vantaggio competitivo fa sì che i giocatori tendano a preferire la condizione di mutua defezione detta “corsa agli armamenti”[12] o “corsa alle armi”, alla sconfitta.
La matrice delle quattro possibilità che si delineano è composta dai pay-off (esito, compenso) dei rispettivi giocatori. Tali compensi (Figura 2.a e 2.b) determinano la struttura e, se si considerano giocatori perfettamente razionali, l’esito del gioco (l’esito potrebbe non essere scontato se i pay-off non sono costanti come si è considerato in questi modelli).
La teoria dei giochi ha il grande pregio di rendere subito evidente il prezzo della competizione: l’impossibilità da parte degli individui di poter scegliere arbitrariamente l’esito dei conflitti. Per quanto detto, la teoria dei giochi si è concentrata a lungo sullo studio degli equilibri, detti di Nash, ovvero condizioni strategiche stabili nelle quali nessun giocatore dimostra interesse a cambiare strategia. Diversamente da quanto avviene nel gioco più studiato in ambito economico, psicologico, sociologico e politologico, ossia il Dilemma del prigioniero (Figura 2.a), nel CC-PP Game (Figura 2.b) la competizione fa sì che i giocatori preferiscano lo status quo alla vittoria. Questo è importante perché nel Dilemma del prigioniero la strategia dominante è la defezione, mentre nel CC-PP Game esistono due equilibri di Nash in corrispondenza delle due strategie coordinate: Coopera-Coopera e Defeziona-Defeziona. Questi due equilibri sono di fatto due attrattori. Come passare dall’attrattore di mutua defezione a quello di mutua cooperazione è un tema trattato anche in filosofia, psicologia, sociologia e biologia comportamentale. Informazioni più complete e, più in generale, una migliore comunicazione aumentano le chance di cooperazione.
Un CC-PP Game è anche una “Caccia al cervo”, il gioco che trae ispirazione dal racconto di Jean-Jacques Rousseau contenuto nel libro: “Discorso sull’origine e i fondamenti delle diseguaglianze negli uomini”. Dal racconto si evince perché questo gioco è chiamato anche gioco della fiducia ed è considerato il prototipo del contratto sociale. Una sintesi del racconto è la seguente. Due cacciatori devono decidere se cacciare un cervo o una lepre. La decisione viene presa senza sapere l’esito della decisione altrui ed è irreversibile. Per catturare il cervo è necessaria cooperazione di entrambi i cacciatori, per cacciare la lepre no. Il cervo, equamente diviso, costituisce un premio individuale più cospicuo di quello corrispondente alla cattura della lepre.
La condizione migliore è senza dubbio quella in cui si verifica la cooperazione congiunta per la cattura del cervo; tuttavia, questa presuppone il rischio del tradimento del compagno di caccia e il conseguente “digiuno”. Il cacciatore che dovesse scegliere di defezionare (cacciare la lepre) non dovrebbe avere alcuna preferenza circa il comportamento dell’avversario, tuttavia la matrice dei pay-off può premiare leggermente il defezionante se l’avversario sceglie il cervo (comportamento non coordinato), forse perché, suggerisce Brian Skyrms, questo gli eviterebbe la competizione per la lepre (Skyrms, 2001).
La scelta razionale di un giocatore dipende da ciò che crede faccia l’avversario. Tale scelta si orienterà verso la cooperazione se il giocatore è attirato dal premio, mentre si orienterà verso la defezione se spaventato dal rischio. Si noti come per il Dilemma del prigioniero la mutua cooperazione più che un rischio rappresenti un costo (il giocatore rinuncia al pay-off maggiore che offre la defezione).
Secondo Skyrms, il riferimento al contratto sociale è più evidente se si considera la partecipazione e l’interazione di più di due persone. Il contratto sociale sussiste se tutti investono delle energie per renderlo possibile e mantenerlo. La defezione, tuttavia, non ha alcun rischio: lo stato di natura è anch’esso un equilibrio. Al più il defezionante può trovarsi in una condizione di free-riding, godendo dei benefici assicurati dalla messa in atto del contratto sociale senza pagarne i costi.
Sono stati condotti molti studi per verificare l’ipotesi che il comportamento cooperativo possa essere incentivato a prescindere dal costo (Dilemma del prigioniero) o dal rischio (Caccia al cervo) di tale strategia. La ripetizione del gioco, in particolare nel Dilemma del prigioniero, verifica questa ipotesi. Sia Hume che Hobbes percepiscono tale possibilità legata all’emergenza di fattori legati alla reciprocità e alla reputazione. Del resto, quando c’è sempre un futuro, come nei giochi ripetuti all’infinito, la minaccia credibile di ritorsioni getta “l’ombra del futuro” su ogni decisione. Questo può far superare il comportamento opportunistico e sostenere la cooperazione, risolvendo così la tensione tra incentivi all’individualismo e bene comune.
Giochi multicanale anticipanti e la tragedia dei /futuri comuni/
I giochi anticipanti sono qui definiti come quei giochi cooperativo-defezionanti in cui le scelte dei giocatori hanno conseguenze incerte. Il contesto è quello dei known unknowns: di un determinato evento sono chiari gli impatti ma non le probabilità con cui questo possa verificarsi.
Il dilemma, qui detto dilemma dell’anticipazione, si presenta quando è possibile delineare costi e benefici di un’azione anticipante ma gli individui sono incentivati a non attuarla. In questo senso, la differenza con la tragedy of the commons sta nel fatto che la risorsa in comune è il futuro stesso: la risorsa o non esiste ancora o esiste ed è messa in pericolo dall’eventuale verificarsi di un evento incerto. Inoltre, se la tragedy of the commons richiede una strategia di opt-out perché il modello mette in guardia sui pericoli del sovrasfruttamento, la tragedy of the future commons, al contrario, richiede una strategia di opt-in perché il pericolo risiede nella passività della consuetudine o nel rifiuto del sostenere i costi dell’azione anticipante.
La risposta a un evento è solitamente costosa e inefficiente mentre anticipare può dimostrarsi salvifico e consentire l’apertura a una molteplicità di futuri ma se la prima vive alla luce della certezza, l’altra è avvolta nella nebbia dell’incertezza. Questa dicotomia alimenta il dilemma dell’anticipazione. Gli scenari proposti dimostrano l’esigenza della mutua cooperazione per affrontare le sfide dell’incertezza ontologica del futuro.
Si supponga che un esercizio di futuri identifichi le vulnerabilità di un sistema. Gli stakeholder coinvolti nell’esercizio hanno tracciato il frame geografico e temporale del sistema in base ai valori che hanno condiviso e hanno concepito un’azione anticipante che mira a salvaguardare tali valori nell’eventualità in cui un evento incerto si verifichi.
La messa in opera dell’azione anticipante richiede risorse, ha un costo tale che un solo giocatore non possa provvedere a coprirlo per intero e, come spesso avviene nei sistemi complessi, interventi disallineati e indipendenti, non producono alcun beneficio[13]. L’azione disgiunta (un giocatore anticipa e uno non anticipa) prevede che nessuno dei due sia messo al riparo.
Ad esempio si pensi a due aziende concorrenti, X e Y, attive in una zona che potrebbe diventare zona a rischio alluvionale. Le aziende comprendono la loro comune vulnerabilità: il corso d’acqua che consente lo svolgimento della loro attività economica potrebbe un giorno diventare la causa di chiusura. Le aziende sono state avviate in un momento in cui tutte le precauzioni e i dispositivi di sicurezza sembravano sufficienti, del resto la zona non è tutt’ora inserita tra quelle a rischio, per cui le istituzioni non si sentono coinvolte e aiuti esterni sono esclusi. L’ipotesi, come accennato, è che interventi anticipanti disgiunti non siano sufficienti a mettere in sicurezza né una né l’altra azienda. Al tempo stesso, il costo dell’azione anticipante, qualora fosse sostenuto da un’azienda sola, è tale da sbilanciare il vantaggio competitivo.
Il gioco anticipante così immaginato può essere rappresentato dalla fig. 3:
Figura 3: Giochi multicanale anticipanti. La mutua cooperazione indica lo sviluppo dell’azione anticipante che consente la messa al riparo dall’evento incerto. Il costo di questa azione anticipante è stato considerato pari a (-2). Anche la defezione descrive un’azione anticipante ma mirata al vantaggio competitivo. Il costo di questa azione anticipante è pari a (0) (consuetudine) ma può tradursi in un vantaggio nel caso in cui l’avversario abbia deciso di cooperare (1). Nell’eventualità in cui l’evento incerto si verifichi i danni sono considerati ragionevolmente più alti del costo dell’azione anticipante cooperativa (-8). L’intervento anticipante cooperativo consentirebbe una sensibile riduzione degli impatti (-3). Anche nel caso in cui l’evento incerto si verifichi è stata considerata una lieve disparità tra le aziende se tra queste solo una decide il comportamento cooperativo. Si è ritenuto che possa aver vantaggio l’azienda che abbia scelto l’azione anticipante cooperativa per via della natura preparatoria (dipendenti informati e preparati all’eventualità) rispetto all’azienda che ha risparmiato i costi della messa in opera dell’azione anticipante.
Il verificarsi dell’evento naturale preso in considerazione è una condizione ontologicamente incerta: non si può ridurre in probabilità di rischio in grado di indicare su quale tra le due matrici rappresentate in fig. 3 sia più opportuno concentrarsi. Come si evince dai pay-off, prese singolarmente, nessuna delle due matrici A e B in figura presenta dilemmi. Conoscere le probabilità di un evento renderebbe, infatti, subito evidente quale comportamento adottare. Il dilemma nasce, semmai, dall’evidenza delle vulnerabilità che si scontra con l’incapacità di prevedere l’evento incerto, ovvero dall’inseparabilità delle due matrici.
Soluzioni al Dilemma dell’anticipazione
Come scegliere se e quando anticipare nel contesto dei known unknowns?
Flessibilità programmata e cicli di feedback di ordine superiore
Roberto Verganti, nel contesto del product development, ha indagato l’approccio aziendale all’incertezza. Nelle prime fasi di pianificazione l’incertezza è massima ed è il momento più difficile per anticipare. Con l’avanzamento del progetto e l’emersione dei problemi non anticipati, invece, è necessario reagire con risposte rapide e costose.
Il successo di un’azienda allora, è determinato dalla capacità di anticipare e di reagire all’impensabile, insieme. Questo richiede quella flessibilità programmata che Verganti analizza e spiega come «la capacità di incorporare la flessibilità nel processo di sviluppo grazie alle analisi intraprese all’inizio del progetto». L’identificazione precoce delle aree critiche e la pianificazione precoce delle misure di reazione attraverso il lavoro di squadra, la comunicazione, il pensiero sistemico e proattivo, permettono di “elasticizzare” il processo di sviluppo, conferendo una certa resilienza all’azienda (Verganti, 1999).
Principio di precauzione
L’assenza di prove non è prova di assenza ma spesso interpretiamo l’assenza di indizi come un indizio di assenza. Il problema è definire l’assenza di cosa, ad esempio benefici, danni o pericoli. Nell’ultimo caso, l’assenza di indizi di un possibile pericolo è indizio di assenza del pericolo? Il principio di precauzione può essere considerato uno strumento di gestione dell’incertezza prima ancora che del rischio. Il principio delinea una condotta cautelativa intesa come «anticipazione preventiva del rischio di fronte all’incertezza epistemologica del sapere scientifico» (Comitato Nazionale per la Bioetica, 2004). Tuttavia, benché in taluni casi esso possa essere correttamente associato al principio di responsabilità, in altri può giustificare la deleteria passività di politiche protezionistiche. La lungimiranza della decisione presa in virtù di questo principio va ricercata quindi caso per caso e in linea teorica rimane legata alle credenze.
In ambito climatico, il Rapporto Stern propone di rileggere il principio di precauzione in funzione delle esternalità che produce e muoversi in base agli impatti piuttosto che alle probabilità. Tra la politica del laissez-faire (qualcosa è sicuro finché non si dimostra il contrario) e della precauzione (nulla è sicuro finché non si dimostra il contrario) la tragedy of the future commons sembra risolversi più con la seconda.
Innovazione
Si consideri l’evento incerto della pioggia. Spesso, prendere l’ombrello prima di uscire si rivela l’azione anticipante più consona. Questo particolare tipo di anticipazione è ovviamente legato al progresso tecnologico del momento in cui ci troviamo a prendere la decisione. Ombrelli più leggeri, più economici, più pratici oppure altre soluzioni come k-way o abiti in tessuto idrorepellente indicano come l’innovazione faciliti la risoluzione del dilemma dell’anticipazione. Al limite, quando il costo dell’azione anticipante tende a zero (non necessariamente solo in termini economici ma anche legati ad aspetti sociali, pratici, stilistici, etc.), non sussiste più alcun motivo per non anticipare. Per usare una figura cara al filosofo Luciano Floridi: l’innovazione è ciò che allunga la coperta corta in un dilemma. È ciò che ci consente di accettare compromessi difficili, trasformando, talvolta, i dilemmi ontologici in epistemici.
Riduzione delle esternalità negative
Come accennato per il principio di precauzione, le esternalità negative, ovvero i costi sostenuti da terze parti dovuti a una mancata azione anticipante, possono essere calcolate. L’unico modo per ridurre le esternalità è inserire nel processo decisionale tutti gli stakeholders e procedere all’identificazione di valori condivisi in grado di tracciare il frame dell’esercizio di futuro. Vale la pena sottolineare la connotazione etica di questa soluzione che permette di salvaguardare i principi di sostenibilità e solidarietà nei confronti delle future generazioni attraverso la democratizzazione dei futuri.
Perché cooperare?
La risposta più ovvia, legata al presente come al futuro, la si evince facilmente con la teoria dei giochi: perché ne beneficia la collettività. I pay-off individuali sono più alti nelle condizioni di mutua cooperazione nella Caccia al cervo, giustificando pienamente il contratto sociale.
La perfetta razionalità e il contesto competitivo, che sono le premesse della teoria dei giochi, confermano l’inevitabilità di atteggiamenti egoistici. Eppure, modelli basati su tali premesse falliscono nel prevedere correttamente i comportamenti umani. È stata ampiamente documentata la tendenza umana ad assumere atteggiamenti prosociali (Capraro, 2013) anche quando non è affatto conveniente per l’individuo, in ottemperanza al principio di reciprocità che allarga i benefici sociali della kin selection alla collettività. I sapiens che si imbattono nel dilemma sociale fanno previsioni sugli sviluppi del gioco. È plausibile che in tali previsioni l’animale sociale si immagini più frequentemente parte di una coalizione piuttosto che un singolo agente. Non sono forse le aspettative sul comportamento altrui che caratterizzano le norme e, in ultima analisi, definiscono il nostro? Citando Dan Ariely: «I soldi sono la maniera più costosa per motivare le persone. Le norme sociali non solo sono più economiche ma spesso persino più efficaci» (Ariely, 2010).
Come visto in precedenza, la scelta cooperante nella Caccia al cervo è un rischio mentre nel Dilemma del prigioniero ha un costo. Questo lancia le basi per una riflessione più approfondita. Assodato che gli individui siano naturalmente portati a cooperare, è importante differenziare quando si è disposti a farlo per investimento (correndo un rischio) e quando si è disposti a farlo rinunciando a un vantaggio personale. Nel primo caso la spinta è puramente sociale. Per quanto detto sull’aspettativa di reciprocità, gli individui desiderano non tradire per non essere traditi tanto quanto poi effettivamente amano punire l’eventuale torto subito. Nel secondo caso questo atteggiamento non basta, il costo è un sacrificio e occorre supporre un delayed reward o un imperativo categorico che lo giustifichi. In questo l’essere umano si rende «ancor più unico» nel regno animale (Sapolsky, 2017).
Il primo caso è risolto da preferenze sociali distributive che salvaguardano l’uguaglianza o l’efficienza, il secondo, invece, è risolto dalla morale che impone di fare la scelta “giusta” (Capraro et al., 2019). La preferenza sociale è quella che ci fa desiderare un’allocazione delle risorse paritaria (equality). In questo senso, lo scenario catastrofico della tragedy of the commons può essere evitato anche senza dover ricorrere alla responsabilità morale nei confronti del bene comune. La tragedy of the future commons, invece, non si limita al rischio. Come visto ha un costo che, come nel Dilemma del prigioniero, per essere accettato deve trovare giustificazione morale laddove non sia sufficiente il desiderio di uguaglianza (equity[14]).
Il tramonto dell’Occidente come segnale debole di una dinamica più profonda
L’Occidente non è diverso dall’Oriente nella competizione e questo grazie all’economia globale. Che il comportamento cooperativo sia un vantaggio sociale che va incentivato è evidente anche alle nostre istituzioni. Ciò che inizia a cambiare è la motivazione che porta a scegliere il vantaggio collettivo a quello individuale. In condizioni di rischio, quando scegliamo la prosocialità lo facciamo col fine di ottenere efficienza distributiva (Capraro et al., 2019). E in condizioni di incertezza come ci comportiamo?
Già Heidegger considerava l’Abendland (Occidente) la “terra della sera” che noi europei calpestiamo, in declino, senza futuro. Per il filosofo, il pensiero calcolante della razionalità tecnica ed economica, chiudendo nell’efficienza della performance non lascia sbocchi. Senza esplorazione, del resto, non è possibile quell’apertura alla molteplicità dei futuri che permette di aspirare a un mondo migliore. Questo modus operandi dettato dalla tecnica o, per meglio dire, dalle tecnoscienze, è figlio di un solo desiderio umano: la sopravvivenza mediante la disponibilità di tutto ciò che occorre a garantirla (Galimberti, 2020). Il progresso è certificato, sotto molti punti di vista l’Occidente non è mai stato meglio (Pinker, 2001), ma a quale prezzo?
Garantirci la disponibilità delle risorse ha significato, nel corso della storia, convertire la tecnica da capacità estraente in accumulante. Il magazzino e la conservazione sono state tra le più grandi innovazioni umane perché ci hanno permesso di non dipendere più dalla disponibilità naturale delle cose. L’accumulo, che come tutte le innovazioni va a incidere sulla scarsità delle risorse, è però, soltanto un buffer sistemico: non cambia in maniera diretta i valori ma deforma, allarga il frame temporale che a sua volta è legato ai valori (dal bicchiere d’acqua nel deserto alla borraccia). Se lo scopo della tecnica è raggiungere più obiettivi possibile con l’impiego minimo dei mezzi allora l’approccio al problem-solving Occidentale non può prescindere dallo stoccaggio.
Accumulare risorse per “l’inverno” è un comportamento diffuso, giustificabile, moralmente accettato, ma può inasprire la competizione per risorse già evidentemente scarse, attivando i percorsi delle scelte tragiche. Si veda ad esempio gli scaffali vuoti nei supermercati nelle prime fasi della pandemia: la risposta occidentale all’inconsueto è stata tutt’altro che prosociale (Knoll, 2020). Lo stesso vale per il cambiamento climatico. La biosfera e l’econosfera sono strettamente collegate: il capitalismo industriale trainato dal petrolio ha migliorato i nostri standard di vita al costo della devastazione dell’ecosistema, del cambiamento climatico e di profonde ingiustizie sociali (Beinhocker, 2019).
L’economia ha distorto i valori chiedendone la ratio, la contropartita valida per lo scambio, e questo ha spinto l’Occidente e il mondo intero verso l’inconsistenza degli obiettivi quantitativi. Non c’è da stupirsi allora che l’individuo oggi non solo accetti di buon grado di essere misurato come funzionario di apparato ma che si auto-misuri, perché misurandosi può quantificare le performance e i progressi. È la società della performance perché è la performance che definisce l’identità e in base ad essa ci si distingue e si è riconosciuti. Si è passati dall’avere obiettivi qualitativi, che avevano un significato, ad avere obiettivi quantitativi, incrementali, privi di valore al di là di quello di scambio. Nella ricerca di controllo sulla natura, l’essere umano si scopre controllato e l’ombra del futuro cui accennano Hume e Hobbes è diventata la gabbia in cui la misura dei nostri comportamenti ci costringe.
L’impoverimento del tessuto morale occidentale si è persino accentuato nel corso degli ultimi anni, da una parte grazie ad una più pervasiva sensazione di complicità che ci addossa un forte senso di responsabilità individuale nei confronti del declino ecologico e dello sfruttamento delle diseguaglianze e, dall’altra, grazie all’accettazione tacita della nostra inadeguatezza a rimediare. Ora come non mai serve una risposta coordinata e, almeno per quanto riguarda l’Occidente[15], qui sorge il secondo problema: la disaggregazione delle masse sociali spinta da un’innovazione tecnologica che si dimostra ancora una volta tutt’altro che amorale e trasparente ai valori umani.
In questo contesto, come può una società reclamare moralità? Ossimoro? L’Europa, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà, sta provando a farlo. Nell’aprile 2021, ad esempio, la Commissione Europea ha pubblicato la proposta per una regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale (AIA, 2021), nella quale sono evidenti gli intenti, ispirati all’ambizioso progetto politico di Ursula von der Leyen di saldare la forza dell’Europa attorno alla dignità della persona e ai valori quali sostenibilità e giustizia sociale.
Riguardo l’esempio in oggetto, l’Europa è in ritardo rispetto agli altri due grandi blocchi, Stati Uniti e Cina, e non ha speranze di raggiungere l’indipendenza tecnologica legata agli strumenti dell’Intelligenza Artificiale in tempi brevi. Al tempo stesso è la prima delle tre a produrre una proposta di regolamentazione così articolata e stringente.
Benché la proposta sia passata semplicemente per un primo tentativo di imporre la strategia economia del level playing field[16], pensare di recuperare il gap con i colossi concorrenti attraverso la regolamentazione della produzione e del mercato interno pare quantomeno contraddittorio (di fatto impedendo la produzione e l’utilizzo su territorio europeo di determinati prodotti che invece i concorrenti americani e cinesi possono produrre e commercializzare altrove).
L’Europa, di fatto, sacrifica la spinta economica promessa dalla strategia liberista del laissez-faire (tipicamente americana) mettendo in atto un’azione anticipante di proporzioni continentali, per salvaguardare i valori democraticamente selezionati dai 1215 stakeholder che hanno contribuito alla consultazione (AIA, 2021) dall’incertezza stavolta non solo tipica del futuro ma anche relativa agli effetti dell’utilizzo di agenti autonomi (e pertanto non prevedibili). Anche se mascherata da utilitaristica, una motivazione deontologica, come dimostrato dall’Europa, è pienamente giustificabile anche a livello continentale ma non basta.
Il futuro, nell’accezione più “bentoniana”[17] del termine, richiede il sacrificio dell’individualismo perché strategie lungimiranti e prosociali non possono che convergere nel momento in cui il concetto stesso di identità perde significato. La dilatazione del frame temporale va ad abbracciare valori più profondi, più condivisibili ed è qui, in questo futuro lontano, che l’etica può svincolarci dall’imperativo tecnico del “do things right” e riorientarci verso il più deontologico imperativo del “do the right thing”.
La condotta etica dello studio di futuri, nel rispetto del ruolo normativo del futuro, è giustificata, allora, da una consistente responsabilità morale ed epistemica che esige di adoperarsi per il bene comune in piena coscienza dei fatti, in nome degli obblighi che ci legano all’ambiente in cui viviamo e dovranno vivere le generazioni future. Che l’Europa sia da esempio. Al resto del mondo la responsabilità di adattarsi alla nostra presa di posizione e, auspicabilmente, affiancarsi e insieme attivare gli stessi processi nelle governance globali.
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Note
[1] Che implica conflitto tra due bisogni ai quali non è possibile assegnare una priorità.
[2] Ove non è possibile fare previsioni accurate. Diversamente dalle condizioni di incertezza epistemica o rischio, nell’incertezza ontologica non si hanno sufficienti dati per lavorare con la teoria delle probabilità.
[3] Si specifica scarsità delle risorse e non limitatezza. La prima è tale da costringere in quelle che Calabresi (2006 [1978]) chiama “scelte tragiche”. Sono tragiche quelle scelte che vanno prese nonostante i dilemmi morali nei confronti dell’allocazione delle risorse.
[4] Un sistema anticipante è un sistema che contiene un modello predittivo di sé stesso e/o del suo ambiente, che gli permette di cambiare stato in un istante in accordo con le previsioni del modello relative a un istante successivo (Rosen, 1985)
[5] Un insieme di tecniche che sono collegate tra loro in virtù di uno scopo comune, di un dominio o di caratteristiche funzionali formali (Brey, 2012).
[6] Il venire meno a un impegno (Treccani), nella teoria dei giochi la strategia di non cooperazione.
[7] ISO 56000:2020 definisce innovazione come “entità nuova o cambiata che crea o ridistribuisce valore”.
[8] «L’uomo è animale carente, caratterizzato da primitivismi e da una certa labilità degli istinti, in contrasto con quelli immediatamente adattivi dell’animale, è un essere non specializzato e sprovveduto sotto il profilo organico (p. 121). L’essere manchevole si definisce tuttavia attraverso la stampella culturale che lo conduce non solo a forme di condotta di vita che eliminano l’incertezza e la precarietà originarie del suo abitare, ma addirittura al dominio sul resto dell’ente. La cultura allora è un concetto antropo-biologico, e l’uomo allo stato di natura è in realtà un essere culturale» (p. 121) (Gehlen, 2010)
[9] Diverse obiezioni si potrebbero muovere sull’uso della parola “razionali” visto che sono ben documentati i vantaggi individuali di un atteggiamento prosociale in termini di reputazione e fiducia.
[10] Benché il modello preveda la partecipazione al gioco da parte di tutti gli individui necessari per definire una collettività, per gli scopi preposti è sufficiente mostrare l’interazione di soli due individui.
[11] La succitata Elenoir Ostrom ha dimostrato che tale scenario può verificarsi attraverso l’autoregolamentazione delle parti, senza quindi l’intervento di istituzioni e senza dover privatizzare la risorsa, argomentazioni che le sono valse il Premio Nobel in Economia nel 2009.
[12] Il termine “corsa agli armamenti” proviene dalla biologia evolutiva e indica un ciclo feedback rinforzante spiegato in termini di coevoluzione antagonistica.
[13] Tre concetti chiave spiegano situazioni in cui uno sforzo insufficiente può essere irrilevante o addirittura nocivo: la presenza di una soglia; l’esistenza di un ciclo rinforzante nella direzione nociva; l’influenza di diversi fattori causali non reciprocamente indipendenti. Gli esempi sono frequenti in biologia, medicina, dinamiche climatiche e anche sistemi fisici. Il bias cognitivo è indotto nell’uomo dal pregiudizio di modellare le dinamiche attraverso funzioni monotone continue di una sola variabile indipendente.
[14] Talvolta tradotta come parità o par condicio, l’equity ammette e protegge la diversità. Non prevede una distribuzione equa delle risorse ma una distribuzione equa della giustizia sociale che garantisca le stesse opportunità.
[15] In Cina, diversamente, si fa ampio uso degli strumenti digitali per scopi aggregativi, propagandistici e nazionalistici (si guardi il Great Firewall cinese e il social scoring system). Strumenti, questi, che migliorano grandemente la coordinazione e l’efficienza sociale ma al costo di alcuni diritti fondamentali della persona, tra cui la privacy, la libertà di espressione e di autodeterminazione.
[16] Imposizione di regole uguali per tutti atta a consentire un sano sviluppo concorrenziale.
[17] Fa riferimento al Bentoismo, corrente di pensiero che mira alla protezione dei valori a discapito della performance. https://bentoism.org/