Tracciare gli sviluppi futuri del settore culturale è un’operazione molto complessa e, probabilmente, poco utile se non fuorviante. Riferirsi alla cultura come “settore”, infatti, pone più problemi di quanti ne risolva se l’obiettivo è quello di comprendere le dinamiche di cambiamento in corso e i loro impatti nei prossimi anni. Negli ultimi vent’anni i tentativi di definire con chiarezza i confini del comparto, stabilendo chi era incluso e chi no, sono stati molteplici, e non è questa certamente la sede per provare a restituire una panoramica esaustiva e aggiornata[1]. L’eterogeneità dei soggetti che vi operano – per approccio, per modalità organizzative, per ambito culturale, per posizionamento sul mercato, ecc. – consiglia piuttosto una lettura meno a “volo d’uccello” e più focalizzata, invece, sui singoli cluster o comparti, di modo da ricostruirne le principali dinamiche emergenti, i meccanismi di adattamento/gestione conseguenti ai cambiamenti di scenario o all’arrivo di fattori imprevisti, le possibili linee di evoluzione futura.
Coerentemente con questo approccio, il presente contributo ha scelto di puntare l’attenzione su una specifica categoria di operatori culturali, particolarmente significativa per l’intero “settore”, ovvero quella relativa ai musei italiani, con l’obiettivo di fornire una rapida – e certamente non esaustiva – descrizione del modo in cui alcune macro-tendenze hanno impattato su tali istituzioni così come su quanto in profondità e con quale modalità ne hanno influenzato (e ne stanno condizionando tutt’ora) le scelte strategiche e operative. Non è superfluo ricordare che anche i musei costituiscono una categoria molto eterogenea che comprende tanto le grandi istituzioni statali (si pensi a Pompei o agli Uffizi) quanto migliaia di piccole realtà disseminate in quasi tutti i territori italiani. In linea generale, ci si riferisce a organizzazioni a carattere permanente che gestiscono spazi e collezioni di valore storico-culturale e artistico garantendo le condizioni minime di accesso al pubblico. La scelta dei musei non è casuale. Per una molteplicità di ragioni storiche, culturali ed economiche, questo tipo di istituzioni si distingue per una certa refrattarietà ad introdurre elementi di innovazione nei propri assetti organizzativi/gestionali e nei propri sistemi di offerta. Sull’altro fronte, si trovano invece i sostenitori intransigenti dell’economia della cultura, che considerano musei e monumenti principalmente come giacimenti o asset da sfruttare per lo sviluppo economico e occupazionale.
Tuttavia, di fronte a megatrend di portata planetaria che impattano su una molteplicità di dimensioni – sociali, culturali, economiche, politiche – con cui anche i musei si relazionano, anche questo atteggiamento di chiusura deve fare alla fine i conti con la realtà e decidersi a prendere le misure. La teoria consiglierebbe di procedere adottando strategie e approcci anticipanti, in modo da non farsi prendere alla sprovvista. La pratica, al contrario, rivela una generale incapacità a cogliere per tempo i segnali deboli e le forze di cambiamento, con il risultato di trovarsi in serie difficoltà o, comunque, in ritardo quando poi, anche a causa di fattori esterni e imprevisti, certe dinamiche subiscono accelerazioni violente rispetto alle quali ci si trova completamente impreparati. Per i musei italiani questo è avvenuto – e in parte sta ancora avvenendo – in relazione a due megatrend come 1) la transizione dall’analogico al digitale di un numero sempre più ampio di servizi e 2) il progressivo invecchiamento della popolazione italiana. Si tratta, con tutta evidenza, di tendenze ormai mature e sulla cui “evidenza” non ci sono margini di discussione. Non si può pensare, in altre parole, che gli operatori museali ne ignorassero l’esistenza. Eppure, come si cercherà di illustrare nei due approfondimenti di seguito riportati, la loro incidenza sulle politiche e sui piani di attività dei musei è avvenuta con un certo ritardo e, quando alla fine l’impatto c’è stato, il fattore scatenante è giunto dall’esterno, non previsto (e devastante), ovvero la Pandemia.