Vedi anche: Rischio esistenziale: genealogia di un’idea
Le tassonomie di Bostrom
In un paper del 2013 (“Existential Risk Prevention as Global Priority”), il filosofo di Oxford Nick Bostrom – tra i principali teorici dei rischi esistenziali – presentava una classificazione in quattro categorie a seconda del loro esito:
- Estinzione umana: l’esito è un’estinzione prematura dell’umanità, ossia precedente al raggiungimento della sua piena maturità tecnologica.
- Stagnazione permanente: l’umanità sopravvive ma non raggiunge la maturità tecnologica, a causa di un collasso della civiltà da cui non è in grado di riprendersi o da collassi ricorrenti.
- Realizzazione imperfetta: l’umanità raggiunge la maturità tecnologica ma conservando dei difetti intrinseci tali da minarne sul lungo periodo la sopravvivenza.
- Collasso successivo: dopo aver raggiunto una maturità tecnologica che sembra assicurare solide prospettive future, lo sviluppo successivo causa un irrimediabile collasso dell’umanità.
Questi quattro scenari non ci dicono molto, tuttavia, su quali sono i rischi che possono produrre tali esiti, sebbene sia evidente l’utilità di una classificazione dei rischi esistenziali in base all’esito che possono produrre. Solo alcuni di essi, infatti, hanno la capacità di minacciare l’esistenza stessa dell’umanità come specie, laddove altri possiedono un impatto più limitato al collasso dell’odierna civiltà tecnologica. Sempre secondo Bostrom (2002), i rischi esistenziali devono essere globali per quanto attiene alla loro portata (“scope”) ed estremi dal punto di vista dell’intensità. Altri studiosi suggeriscono di introdurre una terza componente, l’imprevedibilità, da cui l’uso invalso dell’espressione X-Risks o X-Events, dove la “X” rappresenta appunto la componente non prevedibile. Ricorre spesso, al riguardo, la citazione della famosa frase pronunciata nel 2002 dall’allora Segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld sulla tipologia di minacce: cose che sappiamo di sapere (“known knows”), cose che sappiamo di non sapere (“known unkowns”), e cose che non sappiamo di non sapere, i famigerati “unknown unknowns”. Sebbene Rumsfeld si riferisse con queste efficaci espressioni alla presenza o meno di armi di distruzioni di massa in Iraq (venendo largamente criticato e dileggiato per la risposta criptica ed evasiva, le cui conseguenze sono oggi ben note), questa classificazione risulta nondimeno molto utile anche per una definizione dei rischi esistenziali, laddove i più pericolosi sono proprio quelli che oggi non conosciamo e che potrebbero emergere dall’utilizzo improprio delle tecnologie, come in passato le armi nucleari, il DDT o i CFC.
Un’altra classificazione proposta sempre da Bostrom (2002) distingue i rischi esistenziali sempre in base agli esiti, ma focalizzandosi principalmente sul rischio di impedire l’affermazione di una postumanità, ossia un futuro stadio della civiltà in cui esseri umani migliorati tecnologicamente acquisirebbero un pieno e maturo controllo sul loro destino:
- Bangs (“esplosioni”): rischi che producono una rapida estinzione della vita intelligente sulla Terra a causa di incidenti o atti deliberati di distruzione. Es. un impiego improprio (deliberato o accidentale) di nanotecnologie, un olocausto nucleare, la scoperta di vivere in una simulazione che viene pertanto disattivata, una superintelligenza artificiale fuori controllo a causa di un’impropria programmazione, la diffusione di agenti biologici ingegnerizzati geneticamente, disastri prodotti da esperimenti di fisica estrema, pandemie estremamente contagiose, impatti di asteroidi o comete, riscaldamento globale fuori controllo.
- Crunches (“scricchiolii”): rischi che impediscono all’umanità di svilupparsi in una piena postumanità, ma la specie umana continua in qualche forma. Es. esaurimento delle risorse, distruzione ecologica, ascesa di un governo mondiale tirannico o un sistema sociale che blocca lo sviluppo tecnologico, “pressioni disgeniche” (causate cioè dalla riduzione del numero di persone intellettualmente dotate sul pianeta, a causa del fatto che queste ultime hanno una tendenza a fare pochi figli), arresto tecnologico.
- Shrieks (“stridori”): anche se la postumanità viene effettivamente raggiunta, non sembra tendere a un futuro desiderabile. In questo scenario rientrano i rischi relativi all’egemonia di una superintelligenza umana o artificiale fuori controllo, all’instaurazione di un regime mondiale totalitario, ma soprattutto rischi impossibili da prevedere, dal momento che la postumanità si situa oltre la cosiddetta “singolarità tecnologica”, ossia un punto oltre il quale è impossibile prevedere l’evoluzione tecnologica.
- Whimpers (“gemiti”): il raggiungimento dello stadio postumano si associa alla completa scomparsa dei valori umani fondamentali. A parte la possibilità di essere distrutti o schiavizzati da una civiltà extraterrestre, Bostrom prende qui in considerazione principalmente l’ipotesi filosofica che l’evoluzione verso la postumanità richieda l’erosione e successiva dismissione dei valori umani primari, per esempio a causa dell’esigenza evolutiva di colonizzare la galassia, che richiederebbe lo sviluppo di una civiltà aggressiva e autoritaria.
Rischi esistenziali endogeni
La vasta casistica di rischi esistenziali individuati negli ultimi anni dagli esperti può essere suddivisa in due macrocategorie: quella che comprende i rischi endogeni o “antropogenici”, cioè prodotti dalla civiltà umana nel corso del suo sviluppo, e i rischi esogeni, indipendenti dalla nostra volontà, derivanti da fenomeni naturali sia terrestri che extraterrestri.
Martin Rees elenca nel suo Il secolo finale (2003) i seguenti rischi esistenziali antropogenici:
- Guerra nucleare o casi di “megaterrorismo” nucleare.
- Biominacce: diffusione di agenti patogeni nell’ambiente, in particolare di virus ad alta mortalità per i quali non esistono più contromisure di rapido accesso, come il vaiolo o la peste, fino ai virus geneticamente ingegnerizzati per aumentare la loro contagiosità e mortalità.
- Errori di laboratorio: incidenti in laboratori di nanotecnologie, con conseguenti scenari come il gray goo, dove in poco tempo agenti nanotecnologici si riproducono al punto da occupare tutta la massa della Terra spazzando via le altre forme di vita, oppure incidenti durante esperimenti di fisica delle alte energie, come la produzione di buchi neri, vuoti quantistici, materia “strana” in grado di distruggere tutta la materia ordinaria.
- Impatto antropico sull’ambiente: rischi legati alla distruzione dell’ecosistema da parte dell’Uomo, in particolare estinzione delle specie viventi, sovrappopolazione, esaurimento delle risorse, cambiamento climatico, effetto serra.
John Casti affronta in Eventi X (2012) una serie di scenari che coinvolgono alcuni rischi non tali da minacciare l’esistenza della specie umana, ma sicuramente quella della civiltà tecnologica. In particolare, escludendo quelli già trattati da Rees, citiamo:
- Un’interruzione larga e diffusa di Internet, sia per l’intrinseca instabilità e vulnerabilità dell’infrastruttura tecnologica che sostiene il Web, sia per attacchi hacker intenzionali.
- Un’interruzione del sistema di rifornimento globale del cibo, a causa di agenti patogeni che distruggono le coltivazioni (come nel romanzo di John Christopher Morte dell’erba), o la moria delle api, o l’erosione del suolo, eventi meteorologici estremi, crescita insostenibile della popolazione, penuria idrica, tutti comunque legati alla crescita della civiltà tecnologica e non a causa meramente naturali.
- La disattivazione di tutte le apparecchiature elettroniche, a causa di un impulso elettromagnetico (EMP) prodotto dalla detonazione in atmosfera di armi nucleari o altri dispositivi in grado di generare grandi quantità di raggi gamma, i quali ionizzano l’atmosfera generando un potente campo elettromagnetico che, a contratto con la superficie terrestre, manda in tilt tutte le infrastrutture elettroniche e impedisce la conduzione di energia elettrica.
- Il crollo della globalizzazione, tale da generare un nuovo disordine mondiale che impedirebbe all’attuale civiltà estremamente interconnessa di funzionare; un simile crollo avverrebbe per l’insostenibilità dell’attuale processo di globalizzazione e/o per spinte centrifughe da parte dei rinascenti etnismi e nazionalismi.
- L’esaurimento dei combustibili fossili, con l’esplosione di nuovi conflitti per l’accaparramento delle risorse e il crollo della civiltà a uno stadio precedente la prima rivoluzione industriale.
- Un’interruzione della rete dell’energia elettrica e dell’acqua potabile, a causa di blackout causati dal collasso dell’infrastruttura di distribuzione dell’energia e dell’acqua potabile, sempre più vulnerabile a causa della crescente complessità sistemica.
- Deflazione globale e crollo dei mercati finanziari mondiali, anche in questo caso frutto di una crescente complessità degli strumenti finanziari, tali da non poter essere più gestiti in tutte le loro conseguenze da operatori umani; la crisi finanziaria del 2007-2008 sarebbe un’anticipazione di tale scenario.
In tempi recentissimi, le ricerche degli esperti di rischi esistenziali si sono concentrate su due tecnologie per la verità ancora in fase di sviluppo, ma di cui è già oggi possibile ipotizzare rischi per la società. La prima, che ricade nell’ambito delle biominacce, riguarda la nuova tecnica di editing genetico CRISPR-Cas9 e successive evoluzioni, che ha messo nelle mani dell’ingegneria genetica uno strumento straordinariamente facile ed efficace per la modifica del genoma delle specie viventi. Il dibattito della comunità scientifica si è concentrato in particolare sulla necessità di impedire editing alla cosiddetta “linea germinale” dell’essere umano, cioè a quella parte del genoma che viene ereditata dalla prole, per evitare che effetti collaterali imprevisti finiscano per compromettere l’esistenza delle generazioni future. Al riguardo si discute della necessità di una moratoria internazionale per impedire esperimenti di questo tipo, almeno fino a quando non saranno più chiare le conseguenze delle modifiche genetiche prodotte attraverso questa tecnica.
La seconda è invece l’intelligenza artificiale, nei confronti della quale recentemente personalità quali Stephen Hawking, Elon Musk, Steve Wozniak e Bill Gates – tutti provenienti dal mondo della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico – hanno espresso dubbi e preoccupazioni. Alla base ci sono, ancora una volta, le considerazioni poste da Bostrom nel suo libro Superintelligence (2014), che tratta lo scenario di un’intelligenza artificiale talmente avanzata da superare quella umana fino a rimpiazzare l’umanità come forma di vita dominante sul pianeta. Una superintelligenza, infatti, finirebbe per coltivare obiettivi propri, probabilmente molto distanti da quelli dei suoi programmatori, arrivando a distruggere la specie umana o perché la percepirebbe come una minaccia o un ostacolo alla propria esistenza, o come effetto del perseguimento dei propri fini, per esempio in seguito alla riconversione di tutta la materia della Terra in computronium, ossia in materia per eseguire i calcoli. Il 7% degli esperti di intelligenza artificiale intervistati da Bostrom e Cirkovic (2013) considera probabile che una futura superintelligenza artificiale sfugga al controllo umano.
Rischi esistenziali esogeni
Fino allo sviluppo delle armi nucleari, i rischi esistenziali per la vita sulla Terra sono sempre stati di natura esogena, frutto cioè di fenomeni naturali. Essi vanno distinti in rischi di tipo terrestre ed extraterrestre. Nel primo caso, possiamo sostenere di conoscere oggi pressoché tutti i pericoli che il nostro pianeta pone all’esistenza della specie umana, avendo una comprensione abbastanza completa della storia geologica del pianeta; da ciò emerge che l’unico fenomeno naturale che può assumere il rango di rischio esistenziale è l’eruzione di un supervulcano. Sappiamo che 70.000 anni fa circa si verificò una spaventosa eruzione nel nord dell’isola di Sumatra, da cui ha avuto origine il lago Toba. Al di là dei danni provocati su scala regionale dallo tsunami e dalla ricaduta di materiale piroclastico, le ceneri proiettate in atmosfera avrebbero bloccato la luce solare per oltre un anno. Secondo una teoria che prende sempre più piede tra gli studiosi, la supereruzione di Toba avrebbe spinto la specie umana sull’orlo dell’estinzione, riducendola a poche migliaia di individui, e provocando un collo di bottiglia genetico. Attualmente sono noti almeno due supervulcani attivi la cui eruzione potrebbe produrre uno scenario simile a quello di Toba: lo Yellowstone, negli Stati Uniti, e in misura minore (dato che l’ultima eruzione è molto recente in termini geologici) i Campi Flegrei in Italia.
Molto meno noti sono i rischi esistenziali di natura extraterrestre. Se solo a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso abbiamo iniziato a comprendere il collegamento tra impatti astronomici ed estinzioni di massa, solo molto più recentemente stiamo iniziando a comprendere i rischi per la vita sulla Terra prodotti da fenomeni astrofisici estremi come le supernove o i gamma-ray burst. Asteroidi e comete rappresentano il rischio esistenziale esogeno più noto. Come si è detto (cfr. 1.2), gli studiosi ritengono che il lasso di tempo trascorso dall’ultimo grande impatto, 66 milioni di anni fa, sia inusualmente lungo; pertanto un nuovo impatto potrebbe essere non molto lontano. La spettacolare collisione dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy su Giove nel 1994 ci ha permesso di osservare per la prima volta gli effetti di un impatto astronomico su un corpo celeste, con il rilascio di energie immani a seguito delle collisioni. Ciò ha sensibilmente aumentato la consapevolezza dei rischi, ancor di più dopo l’esplosione di una meteora nei cieli di Čeljabinsk, sugli Urali, nel 2013, le cui dimensioni non erano certo tali da comportare un rischio esistenziale, ma sufficienti a distruggere una grande città se non si fosse frantumata nell’atmosfera. La NASA in particolare è attivamente impegnata nel censimento e monitoraggio dei cosiddetti NEO – Near-Earth Objects – ossia oggetti astronomici la cui orbita può portarli in rotta di collisione con la Terra. Attualmente è allo studio un progetto per il lancio di una sonda capace di deviare un asteroide dalla sua rotta, al fine di testare tecnologie di difesa planetaria. È molto più difficile, invece, prevedere i rischi collegati alle comete, i cui periodi orbitali sono spesso così lunghi che per alcune di esse non sia ha memoria storica. Sebbene la cosiddetta “ipotesi Nemesis”, espressa per la prima volta nel 1984, secondo cui il Sole potrebbe avere una “compagna oscura” la cui orbita la porterebbe ogni tot milioni di anni sufficientemente all’interno del Sistema Solare da perturbare la Nube di Oort spingendo numerose comete verso il Sistema Solare interno, al punto da scatenare periodiche estinzioni di massa, sia stata da tempo abbandonata per mancanza di evidenze astronomiche, le recenti evidenze dell’esistenza di un nono pianeta (il “Pianeta X”) di massa piuttosto massiccia ben oltre l’orbita di Nettuno ha riportato in auge la teoria. In ogni modo il pianeta X – la cui esistenza non è stata ancora confermata – sarebbe situato molto più all’interno rispetto alla nube di Oort, per cui non potrebbe influenzarla in alcun modo; nondimeno potrebbe provocare perturbazioni nei numerosi oggetti transnettuniani della fascia di Kuiper, di cui gli astronomi stanno scoprendo solo recentemente la numerosità.
Solo abbastanza recentemente gli astrofisici hanno iniziato a prendere in considerazione i rischi costituiti dalle supernove, l’ultimo stadio di una stella di grande massa (superiore di almeno 1,4 a quella del nostro Sole) che al termine della sua vita termina il combustibile necessario per alimentare i processi di fusione nucleare ed espelle in modo violento gli strati più esterni, rilasciando in pochi istanti un’energia che può essere equivalente a quella di quattrocento miliardi di miliardi di miliardi di bombe termonucleari. Già in un testo classico sui rischi esistenziali, A Choice of Catastrophes (1979), Isaac Asimov metteva in guardia dagli effetti dell’esplosione di supernove entro un raggio di 100 anni luce dalla Terra, citando una stima di Carl Sagan secondo cui un tale avvenimento avverrebbe in media ogni 750 milioni di anni. Tale stima ha spinto diversi studiosi a indagare sulla possibile connessione tra supernove ed estinzioni di massa del passato. Nel 1995 i fisici John Ellis e David Schramm hanno per primi affrontato tale quesito in uno studio nel quale hanno rivisto la stima di Sagan sulla base delle nuove conoscenze della popolazione stellare della galassia, ritenendo che supernove con potenziali effetti sulla Terra esplodano in media ogni 70-240 milioni di anni. Gli effetti sulla biosfera consisterebbero nella distruzione dello strato di ozono atmosferico, con conseguente esposizione delle specie viventi ai raggi cosmici e ultravioletti, e in particolare nella distruzione del fitoplancton marino, che sul lungo periodo costringerebbe all’estinzione le specie viventi che se ne nutrono, con un effetto dominio sulla catena alimentare. In un articolo del 1999, Ellis e l’astronomo Brian Fields sostennero di aver individuato tracce di una passata esplosione di una supernova ravvicinata nei sedimenti dei fondali oceanici, dove è stata rinvenuta una significativa quantità di isotopo ferro-60, prodotto nelle stelle negli istanti immediatamente precedenti l’interruzione del processo di fusione nucleare. I due scienziati collegarono questa scoperta a un’estinzione minora avvenuta circa 3 milioni di anni fa, nel corso del Pliocene, per la quale le evidenze geologiche e biologiche indicano una forte riduzione di zooplancton e fitoplancton. Nel 2001 Jesus Maiz-Apellaniz dello Space Telescope Science Institute di Baltimora collegò questa estinzione alla nascita del gruppo stellare noto come “associazione Scorpius-Centaurus”, distante tra i 380 e i 470 anni luce, e formato da stelle molto giovani, con pochi milioni di anni di vita, probabilmente nate tutte da una stessa nebulosa residuo di una passata esplosione di supernova. La tesi è stata accolta con favore da Ellis e Fields, notando che per effetto del moto di recessione rispetto al Sole che caratterizza tali stelle, la supernova incriminata doveva essere più vicina a noi di circa 200 anni luce quando esplose tre milioni di anni fa.
Oggi gli scienziati concordano nel fatto che una supernova entro un raggio di 50 anni luce dalla Terra innescherebbe un’estinzione di massa, sebbene non sembra esistano candidate note all’interno di tale raggio. Come si è detto, supernove in una sorta di “zona arancione” che raggiunge almeno i 200 anni luce sono comunque sufficienti a provocare danni significativi alla biosfera. Pericoli maggiori, per quanto di gran lunga meno probabili, sono collegati a un fenomeno la cui scoperta risale solo alla fine degli anni Sessanta, i gamma-ray burst, i lampi gamma che sarebbero prodotti dalla caduta di corpi celesti molto massicci – nane bianche o stelle di neutroni – all’interno di buchi neri. Recentemente il fisico Adrian Melott e il suo gruppo di ricerca del centro Goddard della NASA hanno collegato l’estinzione del tardo Ordoviciano, la seconda più grande estinzione di massa della storia della vita sulla Terra, circa 440 milioni di anni fa, con un gamma-ray burst emesso ad appena 6000 anni luce dalla Terra. L’energia dei gamma-ray burst è enormemente superiore a quella delle supernove, per cui la “zona rossa” – l’area all’interno della quale un lampo gamma provocherebbe effetti letali sulla biosfera – è stimata tra i 6500 e i 10000 anni luce dalla Terra. I geologi coltivano un certo scetticismo nei confronti di questa recente moda di collegare le estinzioni di massa a fenomeni di tipo astrofisico, continuando a prediligere l’idea di concause, la maggior parte delle quali endogene. Tuttavia è vero che le ricerche sugli effetti dei fenomeni astrofisici estremi che avvengono nell’universo sulla vita biologica sono appena agli inizi. La tesi più recente e molto discussa è quella avanzata da Lisa Randall, fisica teorica nota per i suoi studi nella teoria delle stringhe e per i suoi libri di divulgazione, autrice nel 2015 del controverso testo Dark Matter and the Dinosaurs, nel quale collega l’estinzione del limite K-T all’esistenza della materia oscura. Anche se il nome deriva dal suo non emettere radiazione elettromagnetica, la materia oscura ha una massa e produce pertanto effetti gravitazionali. I cosmologi ritengono che parte di questa materia oscura sia concentrata sul piano galattico: poiché il Sistema Solare attraversa il piano della Via Lattea ogni 30 milioni di anni circa, e lo attraversava anche 66 milioni di anni fa, Randall ritiene che effetti gravitazionali prodotti dalla materia oscura avrebbero influenzato la nube di Oort, spingendo verso l’interno del Sistema Solare comete e asteroidi, tra cui quello che avrebbe impattato la Terra uccidendo i dinosauri e molte altre specie viventi all’epoca. La tesi, che ha ottenuto grande risonanza mediatica, è stata tuttavia contestata da diversi astrofisici, secondo cui l’ipotesi di “cluster” di materia oscura sul piano galattico non è consistente con le osservazioni. Con Randall torna così in auge ancora una volta l’ipotesi Nemesis, che vorrebbe dar conto della presunta periodicità delle estinzioni con intervalli tra i 30 e i 35 milioni di anni.
Per approfondire:
- Asimov Isaac, A Choice of Catastrophes, 1979; ed. it. Catastrofi a scelta, Mondadori, 1989.
- Casti John, X-Events. The Collapse of Everything, 2012; ed. it. Eventi X, il Saggiatore, 2012.
- Ellis J. e Schramm D.N., Could a nearby supernova explosion have caused a mass extinction?, in “Proceedings of the National Academy of Sciences” vol. 92, gennaio 1995.
- Fields B.D. e Ellis J., On deep-ocean 60Fe as a fossil of a near-earth supernova, in “New Astronomy” vol. 4 n. 6, settembre 1999.
- Melott A.L. et al., Did a gamma-ray burst initiate the late Ordovician mass extinction?, in “International Journal of Astrobiology”, vol. 3 n. 1, gennaio 2004.Rees Martin, Our Final Hour, 2003; ed. it. Il secolo finale, Mondadori, 2004.
- Randall Lisa, Dark Matter and the Dinosaurs, 2015; tr. it. L’Universo invisibile. Dalla scomparsa dei dinosauri alla materia oscura, le imprevedibili connessioni del nostro mondo, il Saggiatore, 2016.