Mai come in questi ultimi decenni la demografia è stata una disciplina preziosa, per chi si occupi di studi di previsione. Illuminante, in questo senso, la frase (non priva di ironia) di un arguto collega statistico, colta tempo fa durante una conversazione: «Tra le tante discipline, la Demografia è l’unica che consenta davvero di fare previsioni – e di farne perfino di esatte!». Ora, il motivo che giustifica tale “affidabilità” delle previsioni demografiche è, al tempo stesso, semplice e complesso. Semplice, in quanto la demografia, studiando la popolazione, il suo modificarsi (nella struttura, nella composizione) nel tempo, può contare, in genere, su dati molto robusti. Per semplificare (molto) il perché sia così, possiamo affermare che, per provocare un cambiamento drastico nella struttura di una popolazione, occorrono eventi a carattere eccezionale, sul genere di quelli che – nei tempi in cui i progressi scientifici e tecnologici non permettevano all’umanità di opporvi alcuna resistenza – il professor Antonio Golini, nelle sue lezioni, definiva a noi studenti “I Cavalieri dell’Apocalisse”: ovvero carestie, epidemie, guerre. Elementi che, per centinaia e centinaia di anni nella storia umana, periodicamente (ogni settanta anni circa) hanno dimezzato la popolazione esistente, che poi, inesorabilmente, ricominciava a crescere, per dimezzarsi nuovamente alla successiva “batosta demografica”. In termini più complicati, c’è una sorta di inerzia matematica, nelle dinamiche della popolazione, tale da rendere possibile la creazione di scenari assolutamente plausibili. Creazione di scenari, ragionamento sugli scenari, che sono parte integrante, inscindibile, sia della demografia che dei Futures Studies.
Tant’è che, quando ancora non avevo idea di quanto gli studi di previsione avrebbero avuto peso nella mia formazione, ricordo di aver sentito, per la prima volta, parlare di scenari, in termini scientifici, proprio durante le lezioni di demografia del professor Golini. A rinforzare la mia profonda convinzione di un link inscindibile tra le due discipline, una lunga conversazione che ho recentemente avuto con Eleonora Barbieri Masini, studiosa di riferimento a livello mondiale per gli studi di previsione. Alla mia domanda su quale fosse, a suo avviso, il ruolo della demografia dentro l’approccio multi e transdisciplinare dei Futures Studies, la sua risposta è stata inequivocabile: «Un ruolo importantissimo, direi fondamentale. L’elemento demografico, lo stato delle cose a livello demografico, in un contesto di analisi, è la prima cosa che occorre conoscere. Questo, sia in termini di previsione sociale, che nel più ampio ambito dei Futures Studies». Un approccio da lei tradotto nelle numerose (e intense) esperienze di ricerca sul campo: quelle condotte in Cina, negli anni della politica del figlio unico (a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta); come pure nelle ricerche svolte in numerosi Paesi africani negli anni Ottanta. L’importanza del contributo demografico si è peraltro espressa, in tutte le sue potenzialità positive, in una notissima ricerca da lei coordinata (tra gli anni Ottanta e Novanta), in otto Paesi allora in via di sviluppo. Patrocinato dall’Università delle Nazioni Unite di Tokyo, una fondamentale parte dello Household, Gender, and Age Project (Masini, Stratigos, 1991), i cui risultati portarono alle politiche di empowerment dell’imprenditoria femminile nei Paesi in via di sviluppo – e che impegnò lei ed il gruppo di ricerca per oltre un decennio – si basava sul life-course approach, approccio multidisciplinare in cui l’elemento demografico gioca un ruolo chiave.
Il rapporto tra demografia e Futures Studies si va arricchendo, nel corso degli anni, di sempre nuovi elementi di complessità. Le nuove dinamiche, demografiche e non solo, del XX e XXI secolo, hanno portato e stanno portando, sia pure non ovunque (né con la stessa intensità), importanti cambiamenti, di cui non è, a oggi, semplice valutare le possibili implicazioni e ricadute. Sotto gli occhi di noi italiani sono, in particolare, gli effetti delle due transizioni demografiche (con la prima, si è drasticamente ridotta la mortalità; la seconda ha portato al controllo delle nascite), che hanno cambiato il volto del nostro Paese: relativamente pochi giovani, in un’Italia con moltissimi anziani. È di pochissimi giorni fa la notizia che la persona più longeva del mondo sia proprio un’italiana, la signora Emma Morano che, nata nel 1899, ha, a 116 anni, il privilegio di attraversare il terzo secolo. L’invecchiamento della popolazione riguarda, in diversa misura, soprattutto il mondo occidentale. Ben differente la situazione in ampie zone del mondo; basti pensare ai dati sulla speranza di vita di molti Paesi africani. Tuttavia, se un continente, un Paese, è povero (e bisogna capire perché è povero), se c’è dell’instabilità politica (fatto che si può collegare anche alla povertà, ma non solo ad essa), ci si debbono aspettare degli abbondanti flussi migratori in direzione dei paesi più ricchi. Occorre, peraltro, che l’opinione pubblica esca al più presto dall’ottica di certa propaganda xenofoba: le migrazioni non sono, infatti, necessariamente un male. Occorre capire come la causa di tali flussi sia “non solo” la povertà, ma questa povertà, in realtà, sia spesso causata da tante instabilità socio-economiche (finanziarie?) e socio-politiche, sulla responsabilità delle quali l’Europa (e l’Occidente in genere) dovrebbero interrogarsi seriamente, volendo davvero cercare una soluzione ai molti problemi che attualmente si pongono: la regolazione dei flussi migratori, la necessità di rivedere normative, e via dicendo.
Quanto detto dovrebbe farci ulteriormente riflettere su ulteriori aspetti. Per esempio, che capire i cambiamenti demografici significa (anche) capire gli effetti (e le potenzialità inespresse; come pure, il cattivo uso) dei progressi scientifici, la presenza o no di welfare, l’importanza delle reti di aiuto, le dinamiche politiche ed economiche, il dialogo tra culture diverse, la necessità di stabilire normative chiare ove necessario. E come i cambiamenti in atto comporteranno nuovi ruoli per uomini e donne, una nuova visione del loro posto nel mondo. Perché la conoscenza non serve a nulla, se non ci aiuta a migliorare la società. Per questo, in quest’ottica, ho chiesto a quattro dei più importanti demografi italiani di regalare ai lettori il loro sguardo su alcuni importanti temi al centro dei loro studi. Lascio quindi la parola a Viviana Egidi e ad Antonio Golini (dell’Università “La Sapienza” di Roma); a Salvatore Strozza, dell’Università “Federico II” di Napoli; ad Alessandro Rosina, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il loro sguardo aiuterà ad illuminare i lettori sui “futuri” dell’Italia e del mondo.
Viviana Egidi: uno sguardo diverso sull’invecchiamento attraverso nuovi strumenti
Antonio Golini: lo sguardo demografico su un mondo da ri-immaginare
Salvatore Strozza: i migranti come risorsa e ricchezza per i paesi che li accolgono
Alessandro Rosina: essere giovani in Italia, un presente e un futuro difficile
Conclusioni: tre domande sul nostro futuro demografico e sociale