Tratto da Passato e futuro, SIAD Edizioni, Milano, 1979 (Science Past Science Future, 1975)
In ogni momento e in ogni condizione, si può considerare il futuro da un punto di vista pessimistico e da uno ottimistico. Non è mai possibile, dopo tutto, prevedere il futuro con sicurezza; si può solo fare una stima, e tale stima coprirà una gamma di possibilità. Questa gamma sarà sempre più ampia quanto più il futuro è lontano, e a un certo punto essa diviene così estesa che le nostre previsioni potranno avere come solo limite le leggi della natura. La gamma sarà ancora più vasta se ci occuperemo di fenomeno ancora meno compresi (come la psicologia umana, per esempio, in confronto alla fisica atomica), finché diventerà talmente vasta da rendere inutile qualsiasi previsione.
Se però ci limitiamo a un futuro moderatamente vicino e a fenomeni relativamente ben compresi, ci troveremo davanti a una gamma di possibilità non eccessivamente estesa. Abbiamo quindi la libertà di collocarci in qualunque punto di tale gamma, ed è possibile proporre una previsione pessimistica se scegliamo un estremo della gamma, oppure con una ottimistica se optiamo per l’estremo opposto.
È, per esempio, particolarmente facile essere pessimisti circa il nostro futuro. Dobbiamo semplicemente ipotizzare che la popolazione umana continuerà a crescere; che le rivalità fra gli stati persisteranno a porre il benessere di un gruppo X davanti a quello del mondo intero; che i pregiudizi razziali e sessuali non cesseranno di produrre odio e alienazione; che le cupidigie personali ed economiche continueranno a rovinare la terra per un profitto privato a breve scadenza; in breve dobbiamo semplicemente assumere che le cose persistano ad andare come sono andate finora per altri trent’anni, e potremo con una certa sicurezza prevedere la distruzione della nostra civiltà tecnologica. Ho il sospetto che le probabilità che ciò possa accadere siano maggiori del 50 per cento; di quanto maggiori, non lo so.
Ma le cose non devono continuare in questo modo. Infatti esse cambiano, e anche in modo sorprendentemente veloce. Immagiamoci, per esempio, nell’anno 1954. Si era in America all’apice dell’era compiaciuta di Eisenhower e della guerra fredda sostenuta dal segretario di stato Dulles. Gli Stati Uniti si trovavano allora nel momento di maggiore sicurezza in se stessi e di razzismo più acuto. Ci saremmo immagini, a quell’epoca, che nei due decenni seguenti, la contraccezione sarebbe divenuta socialmente accettabile; che una pillola per il controllo delle nascite avrebbe portato alla rivoluzione sessuale; che l’aborto sarebbe divenuto legale in molti paesi; che la “guerra fredda” sarebbe passata di moda, e che l’ineffabile Richard Nixon, specializzatosi, negli anni precedenti, nella retorica patriottica, avrebbe, come presidente, portato a una più stretta amicizia con l’Unione Sovietica e con quella che egli stesso prese a chiamare la Repubblica Popolare di Cina? Secondo me nel 1954, sarebbe stato più facile prevedere, ed essere creduti, che l’uomo sarebbe arrivato sulla Luna in quindici anni, piuttosto che una qualsiasi delle situazioni elencate qui sopra.
Perché tutte queste cose si sono avverate? Non c’è alcun mistero. Il regolare aumento della popolazione e il continuo declino delle risorse ha posto l’umanità davanti alla scelta fra la distruzione o il controllo delle nascite e il governo mondiale. I cambiamenti avvenuti negli scorsi vent’anni sono stati nella direzione del controllo della popolazione e del governo mondiale e furono più o meno inevitabili se eravamo disposti a guardare in faccia al futuro. Questi mutamenti sono stati finora relativamente piccoli e provvisori, e ben lungi dall’essere sufficienti a prevenire il disastro. Penso, però, che si possa supporre che l’umanità continuerà a muoversi nella direzione del controllo della popolazione e del governo mondiale poiché, di anno in anno, la prospettiva della catastrofe e la velocità con cui si appressa imprimeranno sull’umanità un orrore sempre maggiore. La questione non è se l’umanità si muoverà in questa direzione o meno (lo farà!), ma se ciò accadrà abbastanza in fretta. Sempre secondo me, la probabilità che ciò avvenga sono inferiori al 50 per cento; quanto inferiori, non lo posso dire (…).
Immaginiamo, allora, che il pianeta continua a muoversi nella direzione del controllo della popolazione e del governo mondiale e lo faccia abbastanza in fretta da evitare la catastrofe maggiore, subendo, al massimo, una catastrofe minore. Dopo una recente conferenza da me fatta alla University of Pittsburgh, mi venne chiesto cosa intendessi per “catastrofe minore”, e ho risposto: “Una da cui la civiltà possa risorgere”. Questa supposizione di un movimento con velocità sufficiente può avere scarse probabilità di avverarsi, ma forse ne possiede qualcuna. È possibile che, sotto la sfera del terrore crescente, saremo costretti, urlanti e recalcitranti, a sopravvivere. In tal caso, questa sarebbe la situazione dell’umanità all’inizio del ventunesimo secolo:
- La popolazione mondiale sarebbe di 7 miliardi, ma in tutto il pianeta delle misure eroiche e fruttuose riusciranno a mantenere costante tale cifra, e ogni sforzo verrà fatto per abbassare il numero delle nascite al punto che la popolazione riesca a diminuire fino alla meta ultima di forse non più di un miliardo di individui.
- Vi saranno terribili restrizioni nel cibo e nei materiali greggi in generale, ma misure eroiche e fruttuose in favore di una giusta distribuzione di quanto esiste e di metodi efficienti di riciclaggio minimizzeranno gli effetti più disastrosi di tali restrizioni.
- Esisteranno ancora unità politiche del tipo cui siamo familiari, ma ben poche decisioni di qualche importanza verranno prese al di fuori di conferenze internazionali. Sarà inoltre chiaro che nessuna nazione potrà permettersi il lusso di un’azione unilaterale, contraria alla volontà delle altre.
Se ciò avverrà, possiamo elaborare come corollari invitabili (inevitabili, almeno, finché l’umanità non sceglie la distruzione) un certo numero di conseguenze utopiche. Per esempio.
1. La fine della discriminazione sessuale
Lo stato di soggezione delle donne è la naturale conseguenza del loro ruolo di macchine per fare figli. In un mondo con alta mortalità infantile e bassa durata media della vita, erano necessari molti bambini. E questo perché potessero sopravviverne pochi, e in un’economia agricola molti figli significavano molte mani per aiutare nel lavoro. I bambini erano inoltre necessari per mantenere i vecchi genitori in una società che altrimenti li avrebbe lasciati morire. Questo è il significato del biblico “Onora il padre e la madre”. Non si riferisce al fatto di alzarsi in piedi quanto entrano nella stanza. Significa mantenerli. Nel secolo ventunesimo, con un numero di nascite assai esiguo, e la mancanza di figli assai diffusa, mentre quelli che nascono sono più una responsabilità della società che dei loro genitori, il ruolo femminile di macchina per figli sarà in gran parte scomparso. In tal caso, cosa avrà da fare una donna? Dobbiamo supporre che verrà ancora relegata all’inferiorità economica e sociale; che dovrà accettare ancora il fatto che i compiti domestici sono quelli a lei più peculiari; che la passività è il suo ruolo nel sesso, negli affari, nel governo; che la sua funzione più elevata è quella di sostenere il proprio compagno in maniera assolutamente spassionata, e che deve impiegare tutte le sue doti fisiologiche (ma mai quelle intellettuali) anzitutto per conquistarlo e poi per fare buona impressione su di lui? Se fosse davvero questa la situazione, le donne sarebbero condannate a una vita così vuota che solo l’avere bambini e allevarli potrebbe riempirla. Vi sarebbe quindi un’enorme tendenza a desiderare bambini in ogni condizione. Per mantenere il numero delle nascite sufficientemente basso, le donne devono essere indirizzate verso altre attività, e quale metodo sarebbe altrettanto naturale e valido quanto dichiararle persone a ogni effetto e permettere loro di avere accesso a tutti gli aspetti della vita umana su una base pari a quella degli uomini?
2. La fine del razzismo
Il razzismo è antico quanto l’umanità, poiché ogni piccola differenza contraddistingue chi non appartiene alla tribù e quindi deve essere deriso, se lo si può fare con sicurezza, o temuto, in caso contrario. Basta introdurre un nuovo bambino in un gruppo di coetanei, con abiti leggermente diversi o un accento un poco differente, e subito lo vedremo divenire una sorta di capro espiatorio (…). No! Se il ventunesimo secolo vorrà esistere, dovrà mantenersi senza razzismi. Potranno esistere fattori che renderanno questo più facile di quanti possiamo adesso considerare possibile. Se la civiltà tecnologica sopravvive fino al ventunesimo secolo, è del tutto evidente che la computerizzazione e l’automatismo della società continueranno a progredire, e tale progresso si volgerà contro il razzismo. A poco a poco, svilupperemo una società in cui il lavoro manuale e mentale non specializzato o semispecializzato verrà fatto dalle macchine, e quindi non esisterà più la pressione economica a mantenere un vasto numero di persone in condizioni di oppressione e di accettazione di un’inferiorità attentamente inculcata, affinché esse siano disposte a eseguire quei compiti poco gratificanti con retribuzioni ridotte. Naturalmente, la scomparsa di tale lavoro renderà ancora più necessario ridurre la popolazione, poiché vi sarà bisogno di meno persone per mandare avanti il mondo. Inoltre, i progressi nelle comunicazioni, l’uso di satelliti legati fra di loro e con la superficie terrestre da raggi laser in grado di contenere milioni di canali di comunicazione, ridurrà l’intero globo a una piccola comunità (il “villaggio globale” è il termine più frequentemente impiegato). Sebbene l’efficienza delle comunicazioni non sia garanzia di amore fraterno, rende almeno più facile la riappacificazione con qualcuno che non ci piace, in quanto possiamo almeno parlargli.
Il fatto che nel ventunesimo secolo sarà di gran lunga più semplice per tutti accedere a un’educazione e al magazzino d’informazioni accumulato dalla specie, eliminerà alcune delle più evidenti e fallaci differenze “intellettuali”. In un villaggio globale vi sarà anche una spinta sempre crescente verso un linguaggio comune. Non intendo necessariamente un esclusivo linguaggio comune, con l’eliminazione di tutte le ricche diversità di lingua e di cultura che adornano il nostro pianeta. Ciascun gruppo avrà un suo proprio linguaggio e i suoi costumi, ma conoscerà anche una lingua con cui potrà comunicare con tutti gli altri gruppi. Personalmente sono in favore dell’inglese come lingua comune, a causa della sua ricchezza di vocabolario e della sua diffusione senza eguale nel mondo, e anche perché sono un tremendo sciovinista linguistico. La piccolezza del mondo, la facilità delle comunicazioni, l’eguaglianza delle opportunità, e il linguaggio comune riusciranno a diminuire la sensazione di differenza e quindi contrasteranno il razzismo. Anche il semplice fatto di una popolazione in diminuzione in un secolo di continuo progresso scientifico, renderà il razzismo sempre più impopolare. Il graduale aumento della comprensione della genetica renderà chiaro che, dal punto di vista della sopravvivenza della specie, l’assetto migliore che potremo raggiungere è quello della diversità genetica (…). Col declino della popolazione umana, quindi, bisognerà preoccuparsi del fatto che non vadano perduti troppi tipi di geni. La gente vedrà in generale di buon occhio la diversità e sarà contenta che esistano altre persone diverse da sé nell’aspetto e nelle capacità, come prova vivente che il pool genetico dell’umanità è ancora ricco e vasto.
3. La fine della guerra
Attualmente abbiamo già raggiunto la fine della guerra, almeno finché i capi nazionali saranno guidati nelle loro decisioni da una mente sana. Che ciò accada, naturalmente, non è dato per scontato. Una guerra nucleare fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica è chiaramente un suicidio reciproco per quanto riguarda le due nazioni. Inoltre, ciò probabilmente distruggerebbe in generale anche la nostra civiltà tecnologizzata e, mediante le radiazioni prodotte, comprometterebbe seriamente l’abitabilità del pianeta nel complesso. Questo viene riconosciuto da tutti, così che dobbiamo chiederci se una guerra non nucleare sia possibile, e la risposta è “no!”. Il progresso della tecnologia ha reso la guerra un gioco di una tale potenza e svolto con mezzi di una tale sofisticazione che nessuno può permettersi il lusso di giocarlo ancora (…). La guerra più recente che riuscì a durare per anni, e che raggiungere una decisione ben definita senza troppo danneggiare i vincitori, fu, naturalmente, la seconda guerra mondiale. Da allora (trent’anni) vi furono due guerra che coinvolsero almeno una grande potenza direttamente e che durarono per anni: la guerra di Corea e quella del Vietnam. Entrambe queste guerre terminarono esattamente come furono iniziate. Gli Stati Uniti dovettero por fine a ciascuna di esse avendo a che fare con un nemico la cui estensione territoriale, la forza militare, e la natura politica non erano state mutate dallo sforzo americano. Tutto quanto possiamo dire è che l’altra parte non ha vinto in un modo vero e proprio. In ciascun caso il nemico avrebbe potuto essere spazzato via se fosse stata impiegata tutta la forza americana, ma in entrambi i casi non si osò farlo. Tutte le altre guerre combattute sul pianeta dal 1945 sono state su piccola scala, o assai brevi, o entrambe le cose. E in ogni caso, nessuna avrebbe potuto avvenire senza il sostegno dato a una parte o dall’altra da una delle grandi potenze. Attualmente, occorrono tutte le risorse che gli Stati Uniti riescono a risparmiare per sostenere una forza militare in tempo di pace, e nessun’altra nazione può fare di meglio. E con la diminuzione delle fonti di energia e delle risorse materiali, diventerà sempre più difficile permettersi tutte quelle uniformi e decorazioni dorate. Nel ventunesimo secolo, le nazioni del mondo saranno costrette a una cooperazione internazionale come il solo modo per risolvere e sconfiggere i problemi che ci tormentano, e gli eserciti saranno un costoso anacronismo, tranne, forse, sotto forma di forze organizzate di polizia e di lavoro (…).
4. L’estensione della durata di vita
Se la nostra civiltà tecnologica sopravvive fino al secolo ventunesimo, ciò significherà un continuo progresso della scienza medica. A poco a poco, le malattie degenerative e metaboliche verranno curate con successo. L’artrite, il cancro, e i disordini circolatori potranno unirsi alle varie malattie infettive come forme di poco conto. Come conseguenza, un numero sempre maggiore di persone raggiungerà i settant’anni prima di morire (già in alcuni paesi come la Scandinavia, metà degli uomini e poco più di metà delle donne riescono a farlo). La popolazione del ventunesimo secolo sarà composta, quindi, da una maggiore percentuale di anziani di quella esistente attualmente e (grazie al controllo delle nascite) da una percentuale considerevolmente minore di giovani. La gerontologia, lo studio medico dei fenomeni della vecchiaia, diventerà la più importante specialità medica a causa del gran numero di pazienti e del declino dell’importanza delle altre specialità.
Finora, tutti i progressi medici sono stati rivolti a rendere possibile invecchiare un numero sempre maggiore di persone. Non bisogna disprezzare questo fatto, naturalmente, e personalmente sono molto contento di tale progresso, dal momento che fra non molto passerò dalla tarda gioventù alla prima mezza età [Asimov aveva all’epoca 55 anni, N.d.R.]. Malgrado ciò, quando una persona raggiunge la settantina è vecchia, esattamente quanto lo sarebbe stata se fosse riuscita a superare il ben più difficile compito di vincere la gara con le malattie e la miseria e avesse raggiunto i settant’anni ai tempi d’Omero. Si dice talvolta che la vecchiaia non è altro che una nuova malattia, ma se è così, si tratta di una malattia diverse dalle altre, poiché è la sola che sembra inevitabile e ineludibile (…). Ma qualunque sia la causa della vecchiaia e per quanto possa essere programmata, tale tendenza non potrebbe essere rovesciata, col graduale aumento delle conoscenze, da parte dei biologi, degli intimi particolari della biofisica e biochimica cellulari, e la conseguente possibilità di manipolare questi particolari? Non sarebbe impossibile impedire l’invecchiamento per un certo tempo, oppure invertire il processo, e fare vivere la gente per due secoli invece di uno, permettendole di rimanere giovane per la maggior parte della vita? Non si potrebbe vivere ancora più a lungo? E non sarebbe possibile essere potenzialmente immortali, o almeno avere la possibilità di vivere finché non si sceglie volontariamente di morire? Forse! Può darsi che il secolo ventunesimo, se da un lato assiste alla regolare diminuzione della popolazione, possa anche vedere l’aumento continuo della durata della vita individuale, fatto che renderebbe necessario un ulteriore declino della natalità. Ma in questo caso, tale estensione della vita media e l’aggiunta sempre più lenta di nuovi bambini alla specie non rallenterebbero l’evoluzione umana e non porrebbero alla lontana in pericolo la sopravvivenza dell’uomo? Ma pure chi può affermare che l’evoluzione deve continuare solo mediante quel meccanismo che è stato impiegato per tutti i miliardi di anni di vita sulla terra? Finora, l’evoluzione è stata condotta solo mediante combinazioni e ricombinazioni casuali dei geni; mediante mutazioni genetiche casuali e nuove combinazioni; e attraverso un’eterna epidemia di morti casuali, al fine di rendere sicuro il continuo ricambio delle generazioni con le loro nuove combinazioni genetiche. Ora, dopo tre miliardi di anni, abbiamo sulla terra una specie che, per la prima volta, è potenzialmente in grado di dirigere la propria evoluzione in un modo non casuale (…).
5. L’espansione delle possibilità dell’uomo
Se immaginiamo il trionfo dell’ingegneria umana, possiamo, se adottiamo un punto di vista pessimistico, raffigurarci l’umanità come composta da un numero limitato di individui molto vecchi e stanchi, che per secoli non hanno un pensiero nuovo. Potremmo vedere l’umanità che evita la morte fisiologica solamente per trovare una nuova e infinitamente più orribile morte intellettuale. Anche se non prendessimo in considerazione l’ingegneria genetica e l’immortalità, e supponessimo che la morte rimanga a incombere sull’umanità, potremmo ancora caratterizzare il secolo ventunesimo come l’epoca delle persone di mezza età, poiché inevitabilmente vi saranno più persone anziane e meno giovani. Non sarebbe possibile che la generazione più anziana debba divenire in generale più ottusa, più conservatrice, meno originale e meno amante delle novità, di quanto sia adesso? (…)
Ciò di cui abbiamo bisogno è un orizzonte da oltrepassare, un limite da valicare. Naturalmente, vi saranno sempre orizzonti e limiti nel mondo intellettuale, e la grande battaglia contro l’ignoto non giungerà mai a termine. Ma questa è una lotta ideale, che non risveglia l’immaginazione dell’umanità nel suo complesso. A noi è necessario un qualcosa di fisico e di visibile, e sicuramente lo abbiamo. Quando l’ultimo orizzonte sulla terra si sarà ridotto a zero e l’ultimo limite si sarà annullato, rimane un universo inimmaginabilmente vasto oltre la terra. Nel secolo ventunesimo, l’esplorazione e la colonizzazione dello spazio diventeranno non solo una questione di curiosità scientifica ma anche cose necessarie per mantenere in vita la scintilla vitale dell’audacia nell’umanità. E adottando un tale esercizio per assicurarsi la sopravvivenza dello spirito dell’umanità, avremo da trarne anche altri vantaggi.
Sulla Luna, una colonia potrà sfruttare l’ambiente lunare (mancanza d’aria, temperature estreme, notevoli radiazioni) per raggiungere conoscenze e sviluppare tecniche industriali finissime che sarebbe difficile o impossibile ottenere sulla terra. Inoltre, una colonia lunare, per sopravvivere, dovrebbe raccogliersi in un ambiente ancora più restrittivo di quello della terra. La Luna potrebbe facilmente divenire la scuola della terra. E ancora solo per mezzo di una colonia lunare l’umanità potrà forse esplorare il resto dell’universo. La luna è facilmente raggiungibile: è solo a tre giorni di distanza anche con la primitiva tecnologia spaziale di oggi. Per raggiungere, invece, un corpo celeste all’interno del sistema solare al di là della Luna saranno necessari periodi varianti da alcuni mesi a decenni; mentre le stelle, anche più vicine, comporterebbero viaggi di decenni o secoli. È forse eccessivo immaginare dei terrestri che abbandoneranno la terra per anni o intere vite in ristrette astronavi. Certo, la terra stessa è un’astronave, ma piuttosto atipica. È un genere di astronave in cui il sistema di sostentamento della vita e l’equipaggio sono uscito all’esterno dello scafo, e sono divenuti così abituati a un tal modo di vita che sarebbe loro difficile adattarsi all’interno. D’altro canto, una colonia lunare può sopravvivere solamente in caverne al di sotto della superficie, e questo sarebbe un tipico ambiente da astronave. Per un gruppo di coloni lunari l’entrare in una astronave e l’avventurarsi nello spazio per periodi di anni sarebbe di gran lunga più facile che per noi terrestri. Per un colono lunare l’astronave sarebbe pressappoco casa sua. E se verrà il tempo in cui saranno costruite grandi astronavi capaci di contenere una società umana ecologicamente indipendente per generazioni, il suo equipaggio sarà sicuramente composto non da terrestri ma da coloni lunari, o dai loro discendenti, i coloni degli asteroidi. Infatti, possiamo addirittura immagine che gli asteroidi, dopo essere stati abitati per un tempo più o meno lungo, verranno trasformati in astronavi, guidati fuori dalla loro orbita da un qualche progredito motore spaziale, e quindi lanciati oltre il sistema solare nelle profondità dello spazio. In tal caso, non esisterebbero difficoltà psicologiche degne di nota. L’equipaggio rimarrebbe a casa sua (…).
Riassumiamo. Il futuro immediato appare assai nero, e la civiltà può non sopravvivere alla crisi che la sovrasta. Se, però, possiamo indirizzarci abbastanza velocemente nella direzione del controllo della popolazione e del governo mondiale e riusciamo a durare per altri trent’anni, il futuro più lontano (entro l’età matura dei giovani di oggi) potrà essere reso incredibilmente brillante. Avremo allora un secolo ventunesimo che costituirà il sogno avverato di una precedente generazione di scrittori di fantascienza (quelli antecedenti all’attuale corrente delle catastrofi e dell’avverso destino). Immaginiamo un mondo dove lo spettro della guerra sia eliminato e cancellati gli orrori delle discriminazioni sessuali e razziali, in cui la vita sia più ricca e con maggiori possibilità e lo spazio intero sia per noi aperto. Se solo riuscissimo a superare questa crisi…