La divinazione del futuro è un sogno ricorrente dell’uomo fin dalle epoche più remote. A tal fine presso le civiltà mesopotamiche si faceva appello alla scienza dei moti planetari e astrali, mentre nell’Italia etrusca e romana si preferiva interrogare le viscere di animali e il volo degli uccelli, per trarne auspici positivi o negativi prima di fondare città o muovere guerra. Con lo sviluppo di una mentalità “storica” e “laica” quel sogno si è mutato nello sforzo di scoprire forme ricorrenti (dunque prevedibili) nella confusione spesso angosciosa e disorientante delle vicende umane; di ciò primitivi esempi sono le visioni cosmogoniche di Esiodo e le teorie storiografiche di Polibio. Ma se cerchiamo i primi tentativi organici e rigorosi di trovare una spiegazione razionale dell’agire dell’uomo è all’età barocca che si deve volgere lo sguardo, quando l’impressionante sviluppo di scienze esatte come l’algebra, l’ottica, la fisica, contagiano di entusiasmo il mondo della filosofia, che si sforza di emularle nei propri ambiti di studio: teologia, antropologia, morale, politica. Non è un caso che molti filosofi dell’epoca siano ottimi conoscitori di matematica e geometria, si dilettino di studi di ottica e così via.
Il culmine di questo atteggiamento si trova nelle figure di Cartesio, Leibnitz e, soprattutto, di Spinoza. La sua opera più famosa si intitola infatti Etica more geometrico demonstrata, e sviluppa l’analisi delle passioni umane come un vero e proprio trattato di geometria con definizioni, proposizioni, assiomi, corollari, leggi. Dopo di allora si può dire non vi siano più stati tentativi così ambiziosi di fissare rigorose leggi scientifiche del comportamento umano. A partire dall’età dei Lumi si sviluppano invece sempre più gli sforzi per cogliere l’esistenza di “leggi” o “ritmi” che regolano non tanto l’agire individuale quanto il cammino nel tempo delle collettività umane. Filosofi della storia come Vico, Hegel, Marx, Comte o Spengler in diversa misura hanno cercato di individuare simili leggi e talvolta, su tali basi, hanno provato anche a delineare i destini futuri della civiltà.
Il sogno di Asimov
Alla metà del Novecento uno scrittore di fantascienza immagina una scienza capace nientemeno di prevedere con buona approssimazione il comportamento dei grandi gruppi umani e di “predire” di conseguenza la storia futura, ma anche di mutarne il corso. Questo scrittore è Isaac Asimov e non sorprende che qualcuno si sia spinto a raffrontare la sua scienza immaginaria, la “psicostoria”, con le dottrine di alcuni degli autori citati e perfino con buona parte del pensiero storico-filosofico occidentale. Asimov è divenuto un protagonista della cultura di massa grazie ai racconti e ai romanzi scritti tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, gli “anni d’oro” della sua produzione che coincidono con l’“età d’oro” della fantascienza, genere di cui ha segnato il cammino introducendo temi e approcci innovativi e un taglio speculativo prima quasi sconosciuto. Con la psicostoria Asimov lancia l’affascinante idea di una scienza che consente di anticipare le linee di sviluppo della storia futura. Tale scienza è l’assunto alla base del celebre ciclo di romanzi delle Fondazioni ed il suo innovativo motore concettuale e narrativo.
Questi romanzi nascono come serie di racconti usciti tra il 1942 e il 1950 per il mensile di fantascienza “Astounding Science Fiction”. Con piccole modifiche verranno poi riuniti in tre volumi (Foundation; Foundation and Empire; Second Foundation) usciti tra il 1951 e il 1953. Trent’anni dopo Asimov riprenderà in mano la saga aggiungendovi due ulteriori volumi sequel e due prequel. Ma il vero “nocciolo duro” dell’epopea è la cosiddetta “Trilogia” della Fondazione, che narra una serie di vicende comprese fra il tramonto del Primo Impero Galattico (durato più di 12.000 anni) e i primi secoli della fase di Interregno che precede l’avvento di un nuovo Impero, fase in cui le Fondazioni operano per dar vita alle profezie scientifiche della psicostoria. Asimov immagina che il matematico Hari Seldon, ultimo grande scienziato del Primo Impero Galattico, scopra che le reazioni delle grandi masse umane a determinati stimoli sociali possono essere accuratamente previste in base a leggi precise: «Le leggi della storia sono assolute come quelle della fisica, e se in esse le probabilità di errore sono maggiori è solo perché la storia ha a che fare con gli esseri umani che sono assai meno numerosi degli atomi, ed è per questa ragione che le variazioni individuali hanno un maggior valore» (Asimov 2004, p. 208).
Per questo motivo, più grandi sono le masse oggetto di studio, maggiore sarà l’accuratezza dei calcoli. Seldon perfeziona così una scienza sociologica su base matematico-statistica che chiama psicostoria, e ne applica le complesse equazioni agli innumerevoli miliardi di individui che popolano la Galassia, pronosticando in tal modo il crollo del Primo Impero nel volgere di pochi secoli e una successiva era di oscurantismo e barbarie della durata di ben trentamila anni. Asimov però non dice molto che lasci capire come tale scienza possa realmente funzionare; dai pochi cenni disseminati nella Trilogia si delinea una «branca della matematica che studia le reazioni di un agglomerato umano a determinati stimoli sociali ed economici… Implicito in tutte queste definizioni il fatto che l’agglomerato umano in questione deve essere sufficientemente grande da consentire valide elaborazioni statistiche. […] Un ulteriore assunto è che la comunità esaminata deve essere, essa stessa, all’oscuro dell’analisi psicostorica affinché le sue reazioni siano assolutamente istintive» (Ivi, p. 14).
Ma ancor più dell’economia e della sociologia, matematica e statistica sono al servizio della psicologia collettiva; lo prova il nome stesso di psicostoria dato a tale scienza, mentre i processi di stimolo/risposta che starebbero alla base dei moti collettivi dell’umanità, e che ne permettono la prevedibilità e la manipolabilità, riflettono chiaramente i canoni del behaviorismo, la più diffusa e la più americana tra le teorie psicologiche dell’epoca. Asimov, però, fonda la psicostoria su basi strettamente neurologiche, scostandosi in parte dai criteri comportamentisti:
«Con tenacia, l’uomo ha cercato di spezzare le catene a cui lo costringeva la parola. La semantica, la logica simbolica, la psicoanalisi, sono stati tutti tentativi per raggiungere una migliore comprensione e aggirare l’ostacolo della parola. Poi la psicostoria permise lo sviluppo della Scienza Mentale rappresentandola per mezzo di formule matematiche. Si compresero la neuropsicologia e l’elettrochimica del sistema nervoso, che derivano dalla forza nucleare, e fu allora possibile sviluppare veramente la psicologia. E attraverso la generalizzazione della conoscenza psicologica dall’individuo alla massa, venne matematicizzata persino la sociologia. I gruppi più grandi, i miliardi di abitanti dei pianeti, i trilioni che occupavano i Settori, i quadrilioni che abitavano l’intera Galassia, divennero non solo semplici esseri umani, ma gigantesche forze capaci di venir guidate statisticamente. Così Hari Seldon riuscì a vedere il futuro in modo chiaro e inevitabile, e il Progetto poté essere varato» (Ivi, p. 361).
Il Progetto consiste nel tentativo di ridurre l’enorme fase di barbarico interregno tra i due Imperi predisponendo una serie di istituzioni ed eventi che, attivandosi al momento giusto, saranno in grado di produrre una drastica accelerazione alle linee di sviluppo della storia futura. Tuttavia, come per ogni dottrina scientifica, la psicostoria non si limita a svolgere una funzione descrittiva, ma in base alle sue stesse leggi permette di intervenire sulla realtà, ipotizzando corsi storici alternativi e predisponendo azioni capaci di portare in tempi assai più brevi il cammino dell’uomo verso una nuova civiltà imperiale. Seldon, singolare figura di scienziato-profeta, decide quindi di indurre artificialmente condizioni storico-sociali tali da favorire il precoce avvento di un nuovo regime imperiale e portare così da trentamila a soli mille anni l’“età oscura” di barbarie che seguirà la caduta del primo Impero. Ed è a tal fine che pone due Fondazioni di scienziati “agli estremi opposti della Galassia”. Sono i nuclei intorno ai quali si dovrà formare il futuro Impero.
Cosa sono queste Fondazioni e in cosa si differenziano tra loro? La Prima nasce come una colonia di trentamila scienziati con le loro famiglie, esperti in ogni disciplina del sapere (ma con la strana assenza della stessa psicostoria) incaricati di redigere una gigantesca Enciclopedia Galattica, vera Arca del sapere dell’Impero, il cui scopo ufficiale è di costituire un baluardo della cultura quando in un lontano domani il resto della civiltà si andrà disgregando. La Seconda Fondazione emerge progressivamente nel corso della Trilogia. Carente nella tecnologia di cui invece va fiera la Fondazione di Terminus, è composta da un’oligarchia di studiosi di psicostoria e psicologia (la Scienza Mentale o Mentalica, in grado di leggere il pensiero e manipolare la mente altrui), due scienze del tutto assenti nella Prima. Costretta a confondersi tra gli ignari abitanti del pianeta che la ospita per restare segreta e agire in silenzio, i suoi scopi e la sua stessa esistenza assumono presto un’aura di mistero e di leggenda e la sua ricerca diventa l’avvincente pretesto narrativo degli ultimi due romanzi del ciclo.
Il retaggio positivista
A questo punto viene spontaneo chiedersi: è possibile nella realtà attuale o in un futuro più o meno prossimo lo sviluppo di una scienza simile alla psicostoria immaginata da Asimov? Invero l’idea di applicare strumenti predittivi di tipo matematico-statistico alle realtà storico-sociali non è certo una novità; già nel XVIII secolo Auguste Comte auspicava lo sviluppo di una scienza del genere. Come il suo maestro Saint Simon, Comte riteneva di aver scoperto la legge fondamentale dell’agire umano. Si tratta della “legge dei tre stadi”, per la quale ogni società civile passa prima per una fase teologica irrazionalistica, poi per una fase metafisica pseudorazionale e infine per una positiva, dominata dalle verità scientifiche e non più dai dogmi della fede o della filosofia. Sono gli stessi stadi per i quali passa lo sviluppo della coscienza individuale dell’uomo: l’infanzia che mitizza, la giovinezza che critica e la maturità che razionalizza. Non importa che questa legge non abbia un corrispettivo preciso nella psicostoria asimoviana; va invece sottolineato che anche tali stadi, così come le equazioni psicostoriche, sono radicati tanto nella psiche individuale come in quella sociale. Comte, infatti, nega autonomia a tale scienza perché risolve la psicologia individuale nella biologia e quella collettiva nella sociologia, non diversamente dal riduzionismo operato da Asimov nella Trilogia: come si è visto, per quest’ultimo la psicologia individuale è il prodotto di processi neurochimici i cui effetti si ripercuotono poi nelle grandi masse umane con i meccanismi sociologico-statistici studiati dalla psicostoria.
Ma sotto questo aspetto ancor più notevole ci apparirà un’altra idea comtiana: che sia preciso compito della filosofia positiva quello di sottoporre la società a una rigorosa analisi scientifica onde poterne poi affrontarne e risolverne le situazioni di crisi politica e sociale. A tale scopo Comte ritiene di fondamentale importanza sviluppare una vera e propria “fisica sociale”, ovvero una sociologia scientifica che ricerchi le leggi oggettive dell’agire sociale e non delle motivazioni idealizzate, come avveniva con l’etica e la politica tradizionali, in modo da fornire all’uomo gli strumenti per prevedere i fenomeni sociali e consentirgli quindi di modificarli a proprio vantaggio.
La psicostoria oggi e domani
Dalla fine del XIX secolo furono intrapresi vari tentativi per realizzare una tale “scienza del futuro”, specie in campo socio-economico, con l’avvento di discipline come la sociologia statistica e l’econometria. Ma è dal secondo dopoguerra del XX secolo che si assiste a un’esplosiva fioritura di teorie e di modelli fisico-matematici che aspirano a misurarsi con gli aspetti più complessi e contraddittori della realtà umana e che si tenta di applicare con sempre maggior frequenza ai più diversi ambiti dell’agire collettivo: teoria dei sistemi, teoria dei giochi, teoria delle catastrofi, teoria del caos, fuzzy set analysis, teoria della complessità, teoria delle reti e altre ancora. Sono tentativi tutti contemporanei o posteriori all’invenzione di Asimov, che in certi casi ne è stato un precursore ma che in seguito ha esercitato una vera e propria funzione di stimolo intellettuale.
Donald Palumbo, in un saggio uscito circa dieci anni fa, ha riletto le principali opere fantascientifiche di Asimov alla luce della teoria del caos e rileva come egli fu concretamente interessato a dottrine scientifiche che sono alla base di tale teoria, come la geometria frattale e il principio antropico, e che nel 1986 ebbe un incontro con Benoit Mandelbrot, lo scienziato del M.I.T. padre della chaos theory (Palumbo, 2002). Palumbo porta ad esempio la forte analogia strutturale tra i personaggi di due libri della Trilogia della Fondazione quali Hober Mallow e Bel Riose, entrambi costretti a confrontarsi con i problemi posti da un Impero in decadenza e una Fondazione in espansione, vedendo in essi un caso di quella “estetica frattale” propria della teoria del caos che suppone la ripetizione di un certo modulo a tutti i livelli di un sistema e tra il sistema nel suo insieme e le parti di cui è composto.
Thomas Siegfried propone invece un confronto con la game theory. Questa nasce per rappresentare matematicamente situazioni in cui due o più attori competono in base a regole certe per ottenere dei vantaggi. Nella formulazione geniale datale dal futuro premio Nobel John Nash negli stessi anni in cui veniva pubblicava la Trilogia, si è dimostrata in grado di servire le più varie discipline, dall’economia alla strategia atomica, dalla biologia evolutiva alla psicologia e alla sociologia. La teoria dei giochi parrebbe quindi avviata a diventare una specie di “sistema dei sistemi”, un “Codice della Natura” in grado di inquadrare e collegare gran parte dei diversi ambiti scientifici. In ogni caso, tutte queste teorie sono nate insieme o subito dopo i primi racconti delle Fondazioni; più che rifarsi ad esse per elaborare i suoi scenari lo scrittore newyorkese ne è stato semmai un precursore, ne ha intuito la possibilità, se non ne è stato perfino il vero ispiratore: «La sua psicostoria divenne il modello per la moderna ricerca di un Codice della Natura, una scienza capace di consentire una descrizione quantitativa e un’accurata predizione del comportamento umano collettivo. Mescolando psicologia e matematica, la psicostoria si impadronì dei metodi della fisica per pronosticare – e influenzare – il corso futuro degli eventi sociali e politici. Al giorno d’oggi dozzine di fisici e matematici in tutto il mondo stanno seguendo il cammino tracciato da Asimov, alla ricerca delle equazioni che catturano i modelli esplicativi dell’ambiente sociale, tentando di dimostrare che la pazzia delle folle ha un metodo. Di conseguenza, la visione di Asimov sarà ancora per poco solamente un prodotto dell’immaginazione letteraria. La sua psicostoria esiste già in un’indefinita confederazione di iniziative di ricerca che procedono sotto nomi diversi e trattano differenti aspetti di questa materia. In varie scuole e istituti sparsi per il mondo collaboratori provenienti da diversi dipartimenti stanno creando nuove discipline ibride, con nomi come econofisica, socioeconomia, economia evolutiva, neuroscienza cognitivo-sociale e antropologia economica sperimentale» (Siegfrid, 2006).
Si avverte insomma da tempo che “è nell’aria” l’avvento di qualcosa di molto simile alla psicostoria e libri come L’atomo sociale. Il comportamento umano e le leggi della fisica di Mark Buchanan (2008) o La teoria dei frattali e la previsione dei cicli di borsa di Fabrizio Coppola (2008) sono alcuni tra i più recenti testi divulgativi di tali tendenze. Il lavoro di Buchanan dà conto della “rivoluzione quantistica” che sta sconvolgendo le scienze sociali e che si basa sull’idea di fondo – del tutto asimoviana – che, come dal caos delle forze subatomiche emerge l’assoluta regolarità delle leggi della termodinamica o il perfetto sincronismo dei moti planetari, allo stesso modo la libera casualità delle azioni individuali si risolve a livello sociale in una serie di percorsi coerenti e prevedibili. Questa recentissima scienza della società applica all’uomo, visto alla stregua di un “atomo sociale”, gli stessi modelli matematici e le stesse intuizioni sulle dinamiche di atomi e molecole adoperati dalla fisica classica, e permette di cominciare a comprendere e prevedere i processi che operano in ambiti tanto diversi come ad esempio le fluttuazioni dei mercati finanziari o la variazione dei tassi di criminalità in certe zone, piuttosto che la formazione delle reti di vicinato o le scelte politiche ed economiche operate da certe categorie di cittadini. A sua volta, il libro dello scienziato italiano illustra lo sviluppo di una disciplina come l’econofisica, che cerca di applicare i modelli della fisica più recente – in particolare la teoria dei frattali – al comportamento delle Borse, per individuare e prevedere cicli di tendenze al rialzo o al ribasso.
I principali campi di applicazione di queste discipline sono innanzitutto – e ovviamente – quelli economici (che essendo per definizione legati a una realtà dove prevale l’elemento quantitativo e materiale, prima e più di ogni altro si prestano a tali applicazioni) e poi, per la loro importanza, quelli politico-strategici. In proposito un articolo del tenente colonnello Vinicio Pelino – metereologo, matematico nonché studioso di geopolitica in servizio nell’Aeronautica Militare Italiana – offre elementi illuminanti sulle tendenze in atto e contiene affermazioni che paiono tratte di peso dai romanzi di Asimov. Secondo Pelino «i fenomeni sociali come le rivolte nell’area africana del Mediterraneo sembrano seguire dinamiche proprie della teoria della complessità. Dai fenomeni auto-organizzati alle social networks, il comportamento collettivo può essere letto e analizzato con validi e recenti strumenti matematici. Il lavoro [di Pelino] si propone di offrire una panoramica sulle conoscenze che negli ultimi anni le scienze esatte hanno messo a disposizione per l’analisi geopolitica, in particolare sulla predicibilità degli scenari, inquadrati in un contesto di dinamiche non lineari e caotiche» (Casadei, 2012).
Ma oggi non ci si limita a usare questi strumenti per l’analisi dei fenomeni geopolitici. Altri analoghi “strumenti” vengono messi a punto per intervenire direttamente sulla realtà dei conflitti. Restando nell’ambito strategico-militare, un piccolo ma significativo esempio viene da una dottrina nata negli Usa che negli ultimi anni si è velocemente diffusa tra le forze armate occidentali, sempre più coinvolte in tutto il mondo nelle cosiddette “missioni di pace”. Si tratta delle Effect-Based Operation (EBO), complesse procedure di pianificazione operativa sviluppate per fronteggiare con un “approccio olistico” le “sfide asimmetriche globali” poste dal “terrorismo internazionale” nell’era dell’informazione. In breve le EBO mirano a integrare operazioni militari attentamente calibrate con azioni politiche e mediatiche, per ottenere effetti capaci di «penetrare e influenzare la dimensione psichica dell’avversario». A tale scopo si studiano «modelli predittivi e strumenti analitici efficaci a supporto del processo decisionale» e si mettono a punto «software per la costruzione di modelli previsionali (basati su reti neurali, serie storiche, teoria dei giochi) e la simulazione (wargaming)» (Bernardini-Chiari, 2006).
Se dalla “guerra al terrorismo internazionale” passiamo alla lotta alla criminalità comune troviamo altre interessanti iniziative; ad esempio il progetto di “modellizzazione della criminalità nel contesto sociale” condotto nel decennio scorso dall’Università di Firenze con fondi dell’Unione Europea nel quadro del piano di sviluppo NETIAM allo scopo di “portare alla costruzione di modelli di comportamento collettivo, con l’obiettivo finale di segnalare alle autorità questo comportamento e di fornire uno strumento di comprensione e previsione del crimine”. Si trattava di valutare l’influenza sui comportamenti devianti di fattori come, ad esempio, le variazioni della scolarità o dell’illuminazione dei quartieri a rischio, per poi elaborare degli strumenti predittivi di massima.
La cliodinamica
Tutte queste applicazioni sono però di taglio in prevalenza sociologico o psicosociale e rivolte ad aspetti e momenti relativamente circoscritti delle attività umane. Non siamo ancora a una “scienza della storia” come quella preconizzata da Asimov, ma semmai nei suoi stadi preparatori. Un primo tentativo in questo senso era stato fatto con la “cliometria”, una metodologia di ricerca affermatasi negli Stati Uniti negli anni 1960 e applicata principalmente alla storia economica. La cliometria utilizza tecniche di econometria basate su modelli matematici e analisi quantitative per stimare relazioni tra variabili su serie storiche opportunamente ricostruite dei fenomeni storici da studiare, e sviluppa modelli economici di tali fenomeni, usati talvolta per fare previsioni sul futuro. Tuttavia negli ultimi anni qualcuno ha provato sul serio a fare l’ultimo passo: è nata così la “cliodinamica”, che riprende della cliometria l’orientamento all’analisi matematico-statistica dei processi storici di lungo periodo, che fa di tali discipline un complemento, più che uno sviluppo, delle “fisiche sociali” già esaminate. Il suo teorico è Peter Turchin (v. il suo articolo in questo numero di FUTURI, n.d.r), oggi all’Università del Connecticut, in collaborazione con gli studiosi russi Sergey Nefedov e Andrey Korotayev. Questi ricercatori credono tra l’altro di aver individuato due linee di tendenza che regolano le fasi di instabilità politica: un ciclo secolare della durata di due o trecento anni, e un ciclo breve di circa cinquant’anni.
Turchin sottolinea due principali direzioni di ricerca della cliodinamica: una indaga le cause del crollo degli imperi; l’altra è meno ovvia ma ancor più interessante e, come si legge nel suo sito www.cliodynamics.info, «parte dall’osservazione che nel retaggio della storia i grandi Stati e gli Imperi sono relativamente rari. La questione più impegnativa, in realtà, non è quella relativa al loro collasso, ma al come furono possibili all’inizio. Quali furono le forze sociali che tennero insieme enormi imperi, comprendenti decine di milioni di uomini sparsi su milioni di chilometri quadrati di territorio?». In altre parole ciò significa che la cliodinamica, lungi dall’essere solo un passatempo per oscuri accademici, aspira a servire le nostre società e le loro istituzioni non solo nel capire i rischi e le cause della decadenza politica, economica e demografica, per prevenirle o combatterle, ma anche a facilitare la creazione di nuove grandi forme politiche, e, perfino, di nuovi Imperi; è qualcosa che suona ben familiare a chi conosce gli scopi del progetto Seldon e i compiti delle due Fondazioni. Solo il futuro ci dirà se questa giovane disciplina saprà mantenere quello che promette.
La futurologia tra tecnocrazia e democrazia
In ogni caso, come Asimov aveva chiaramente intuito, l’efficacia predittiva e la concreta applicabilità di strumenti come un’ipotetica “fisica politica” sono indubbiamente correlati allo sviluppo delle società umane sul piano quantitativo e materiale. Quanto più cresce la popolazione del globo, quanto più il progresso della tecnica e i processi in atto della politica mondiale portano alla mescolanza delle culture e alla stretta integrazione delle forme economico-sociali in un solo ecumene mondiale, nella misura in cui i fattori socioeconomici (quantitativi) si affermano nella realtà contemporanea come nettamente preminenti rispetto a quelli culturali e spirituali (qualitativi), tanto più si rafforzano le tendenze all’uniformità dei comportamenti umani e si creano o consolidano le condizioni per poterli fissare in leggi dotate di validità statistica nella prospettiva dei grandi numeri.
Si può anzi affermare che solo oggi si danno le condizioni per cui scienze simili alla psicostoria possano essere concretamente sviluppate e applicate: «Fortunatamente, la collisione delle molecole ha la sua controparte nell’interazione umana. Mentre le molecole collidono, le persone si connettono, in varie forme di reti sociali. Così, mentre l’idea-base che sta dietro la sociofisica circolava da un po’ di tempo, non poteva realmente decollare finché la nuova comprensione delle reti non cominciava a ottenere le prime pagine. I social network hanno offerto ai fisici un terreno di gioco perfetto per mettere alla prova le loro formule statistiche» (Siegfrid, cit.).
Ma questi recenti sviluppi, come sempre accade, presentano anche un lato inquietante. La reale possibilità di predire i comportamenti futuri degli aggregati umani si presterebbe facilmente scopi di “orientamento” della società da parte di minoranze attrezzate in tal senso. La facile associazione di una scienza di questo tipo con le già troppo ben sviluppate tecniche di manipolazione e suggestione collettiva rappresenta anzi a mio parere uno dei maggiori pericoli che incombono oggi sull’uomo, perché può offrire a certi regimi e (soprattutto) a certe élite transnazionali politico-economico-intellettuali, enormi possibilità di influenzare e indirizzare in modo ancor più profondo e duraturo una società-mondo sostanzialmente omologata dai processi di globalizzazione e innervata da pervasive reti di comunicazione e interazione sociale (che la rendono perciò fortemente “ricettiva” ma anche estremamente indifesa).
L’ultimo articolo di Majorana
Nel 1936, due anni prima della sua misteriosa scomparsa, il grande fisico italiano Ettore Majorana scrisse per una rivista di sociologia un saggio che però non pubblicò mai. L’articolo, intitolato Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, uscì postumo nel marzo del 1942 sulla rivista “Scientia” a cura di familiari ed amici e, sia per il taglio didascalico-divulgativo, sia per l’argomento “interdisciplinare”, che esula dai temi strettamente scientifici su cui aveva sempre scritto, rappresenta un unicum nella sua produzione. Le leggi statistiche, dice Majorana, secondo la fisica classica rispondono ai criteri di un determinismo assoluto dei fenomeni naturali, dell’impossibilità di stabilire con esattezza lo stato interno di un corpo, ma solo di fissare per esso un complesso innumerevole di possibilità indistinguibili e, infine, date plausibili ipotesi di partenza e supposte valide le leggi della meccanica, di prevedere con elevatissimo grado di certezza i fenomeni futuri di quel corpo grazie al calcolo delle probabilità. Inoltre, dimostra Majorana, esiste una reale analogia tra leggi statistiche fisiche e sociali. La fisica classica ha offerto pertanto agli uomini il modello universale di una scienza rigorosissima, basata su un rigido principio di causalità; il postulato dell’unità della scienza ha quindi portato ad una visione meccanicistica e deterministica anche dell’uomo e della società, che però entra in contraddizione con le certezze interiori della coscienza umana che rivendica la propria libertà e genera in tal modo confusione etica e filosofica.
Tuttavia, continua l’autore, negli ultimi anni l’avvento della fisica quantistica ha introdotto i concetti di indeterminatezza dei fenomeni e di distorsione del campo di ricerca da parte dell’osservatore. Pertanto la nuova fisica dimostra che in natura non esistono né successioni fatali di fenomeni, né osservazioni assolutamente oggettive di essi. Anche le leggi statistiche della fisica sono cambiate e seguono un principio largamente probabilistico, e questo porta a vedere in modo nuovo anche l’analogia con le leggi statistiche sociali. «Se è così, come noi riteniamo,» – conclude Majorana – «le leggi statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio, che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran numero di cause sconosciute, ma sopratutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede un’arte speciale, non ultimo sussidio dell’arte di governo».
L’articolo di Majorana esce nel marzo del 1942; il primo racconto della saga delle Fondazioni appare due mesi dopo, nel maggio di quell’anno. Una impressionante similitudine sta nel fatto che entrambi citano la legge dei gas per esemplificare il caso di un sistema chiuso in cui l’imprevedibile erraticità delle singole particelle non impedisce che il comportamento complessivo e misurabile del sistema stesso risponda a leggi statistiche e sia perfettamente pronosticabile. Gli intenti dei due sembrano partire da motivazioni opposte: Asimov immagina che l’imprevedibilità umana possa essere inquadrata da una scienza a venire, Majorana tiene a dimostrare che la recente rivoluzione nel campo della fisica ha fatto di nuovo spazio alla libertà dell’uomo, ma il loro punto d’arrivo è identico. Se la fisica contemporanea riconduce l’idea di libertà nel mondo della natura, questo, però, non deve farci tirare troppo precipitosi sospiri di sollievo. L’arbitrio individuale ritrova dignità di scienza, ma le collettività restano pur sempre soggette a leggi statistiche probabilistiche: più rigide ma introvabili nel caso della fisica classica, più lasche ma anche più soggette a possibilità di studio ed elaborazione con quella moderna.
In ogni caso, il fatto che questo importante e originale saggio trovi la luce negli stessi mesi in cui Asimov pubblica i primi racconti delle Fondazioni può anche apparire come la manifestazione di un affascinante Zeitgeist. In due nazioni lontane e in guerra su fronti opposti il giovane scrittore americano di belle speranze e il geniale e introverso scienziato italiano già sparito nel nulla manifestano in modi diversi un’identica esigenza: lo sviluppo di “un’arte speciale” capace di interpretare le leggi statistiche in campo sociale come importante “sussidio dell’arte di governo”. Ma in una società democratica l’arte di governo dovrebbe essere patrimonio di tutti. Clemanceaux diceva che la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali; parafrasando il grande presidente francese bisogna riconoscere che anche la futurologia è cosa troppo importante per tutti noi, per lasciarla in mano a scienziati, tecnocrati e politici. È tempo di occuparci del nostro futuro.
Per approfondire:
- Asimov I., Trilogia della Fondazione, Mondadori, 2004.
- Bernardini R. e Chiari C., Effect-Based Operations, in “Rivista Militare” n. 4/2006.
- Casadei R., Dimmi dove abiti e ti dirò chi voi, “Tempi” n. 11/2012.
- Fidomanzo V., «Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali» di Ettore Majorana, in “Revue européenne des sciences sociales”, vol. 40 n. 122 , 2002.
- Miller J.J., The Greatest Good for Humanity: Isaac Asimov’s Future History and Utilitarian Calculation Problems, in “Science Fiction Studies”, vol. 31 n. 2, luglio 2004.
- Palumbo D., From Psychohistorians to Sandworms. Chaos Theory, Asimov’s Foundations and Robots, and Herbert’s Dune: The Fractal Aesthetic of Epic Science Fiction, “Contributions to the Study of Science Fiction and Fantasy” n. 100, Praeger, 2002.
- Paura R., Asimov, la Fondazione e la filosofia della storia in “Delos Science Fiction” n. 163, 2014.
- Roncoroni S., Genesi dell’articolo postumo di Ettore Majorana “Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali”, in “Nuova Storia Contemporanea” vol. 16 n. 2, marzo-aprile 2012.
- Siegfrid T., A beautiful Math: John Nash, Game Theory, and the Modern Quest for a Code of Nature, Joseph Henry Press, 2006.
- Spinney L., Human cycles: History as science, “Nature” vol. 488 n. 7409, agosto 2012.
- Turchin P. et al. (a cura di), History & Mathematics: Historical Dynamics and Development of Complex Societies, KomKniga, 2006.
- Wagemann C., QCA e “Fuzzy set analysis”. Che cosa è e che cosa non è, in “Rivista Italiana di Scienze Politiche” n. 3, 2007.