I costanti progressi che si registrano in campo biomedico, farmaceutico e in quello della genetica stanno ponendo le basi per una rivoluzione scientifica: la medicina personalizzata o nano-medicina. Fonte di grandi speranze, essa si propone di trattare ogni paziente in base alle sue proprie specificità genetiche e ambientali, al fine di personalizzare la cura in base all’individuo, secondo un approccio predittivo, preventivo e partecipativo. Le promesse che quest’innovazione offre sono numerose: a partire dall’ottimizzazione dei trattamenti medici, passando per la riduzione degli effetti collaterali dei trattamenti, fino agli spin-off e ai possibili risparmi di spesa economici che tutto ciò implica. Ma quali sono le metodologie di valutazione? Quale l’impatto sulla relazione medico-paziente? Quale il quadro etico e legislativo in cui ci troviamo attualmente? Sono le domande che si pone Xavier Guchet, docente di filosofia delle tecniche all’Université de Technologie di Compiègne, nel suo saggio La médicine personalisée. Un essai philosophique.
La medicina personalizzata parte dall’assunto per cui il 50% dei pazienti non risponde alle normali terapie come previsto dai protocolli, dal momento che quei farmaci estremamente efficaci per una piccola percentuale di malati risultano inefficaci per quasi tutti gli altri. Ad esempio, per quanto riguarda il trattamento di alcuni tipi di cancro, la medicina personalizzata è già una realtà. Il primo esempio di terapia adattata al polimorfismo nucleotidico semplice è l’Herceptin (Trastuzumab), utilizzato contro il carcinoma mammario. Il farmaco infatti blocca il legame tra il recettore HER2 e il fattore di crescita umano che ne favorisce la diffusione. Circa il 25% dei pazienti ha risposto particolarmente bene alle terapie, ma i costi risultano ancora molto elevati. Guchet sostiene che una delle criticità sia quella per la quale «industria farmaceutica e diagnostica non lavorano quasi mai insieme», ma «con la medicina personalizzata bisognerebbe che ciò avvenga». La crisi delle case farmaceutiche a partire dal 2000 si spiega, in gran parte, considerando i costi a carico del sistema sanitario derivanti da tale assenza di dialogo. «Nel biennio 2002-2004 non è stata introdotta quasi nessuna nuova molecola sul mercato» riferisce il professor Guchet. Pertanto, egli sostiene, il futuro potrebbe andare nella direzione dell’applicazione personalizzata dei principi attivi esistenti piuttosto che nella ricerca e nella produzione di nuove molecole.
Tuttavia, discutere di medicina personalizzata significa anche riflettere su nuovi modelli diagnostici e riaffermare il carattere umano della medicina. Infatti, la definizione clinica della medicina personalizzata è legata alla farmacogenetica, ossia agli effetti della variabilità genetica di un individuo sulla risposta al farmaco. Il primo approccio a questa branca risale al 1999, anno del Programma Genoma Umano. Ogni genoma umano è portatore di piccole variazioni che insieme formano una classe; questo fenomeno è detto polimorfismo. Ciascun essere umano è portatore di tre milioni di variazioni, in corso di cartografia da parte di molte case farmaceutiche americane, interessate a brevettare singoli geni in modo da trarre profitto dalle royalties dovute (in caso di brevetto) per la ricerca di terapie personalizzate. A questo scopo nasce prima il SNP (Nucleic Acids Research) e, nel 2013, la “Science-Based Apporach To Genome Edited Products” per studiare l’adattamento dei trattamenti alle caratteristiche anatomiche e fisiologiche del paziente. Tuttavia, nel 2013 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito la non brevettabilità dei geni umani: la sentenza, votata all’unanimità dai giudici, sostiene che i geni presenti nel corpo sono «un prodotto della natura e non sono suscettibili di brevetto per il solo fatto di essere stati isolati», annullando così i brevetti sui geni BRCA1 e BRCA2, registrati dalla Myriad Genetics, che aveva acquisito il monopolio dei test per la prevenzione dei tumori alla mammella o all’utero, i quali potrebbero essere tempestivamente individuati grazie alla rilevazione della mutazione dei suddetti geni.
Non si tratta solo di benefici economici: Guchet sostiene con forza l’aspetto etico della medicina personalizzata. Essa possiederebbe tutte le caratteristiche di ciò che Michel Foucault aveva definito un “dispositivo” (Foucault, 1977), teorizzando la formazione di nuove forme di soggettività. Rabinow ha cercato di descrivere queste nuove forme di soggettività associate allo sviluppo della genetica, affrontando le analisi di Foucault e mostrando come le tecnologie molecolari diagnostiche portino a nuove forme psicosociali che egli definisce “biosocialità” (Rabinow, 1999).
Inoltre, la possibilità di adattare le terapie ai profili genetici dei pazienti dovrebbe contribuire alla risoluzione di alcuni dei più frequenti problemi che affliggono i sistemi sanitari, tra cui l’invecchiamento della popolazione, il costo di gestione delle malattie croniche (ovvero malattie che non possono essere curate e con le quali dobbiamo imparare a convivere, con tutti i costi economici e umani conseguenti), i costi per lo sviluppo di nuovi farmaci, l’inefficacia di buona parte dei trattamenti su un numero molto elevato di pazienti, un numero significativo di reazioni avverse ai farmaci. L’introduzione di biomarcatori (dagli anni Settanta) in studi clinici randomizzati, come parte del processo di convalida di nuovi farmaci, suggerisce anche che i costi diminuiranno. Occorre infatti una strategia per i nuovi attori dell’ambito malattia-salute, da ricercare nella distinzione tra normale e patologico di cui parla George Cangulleim nei suoi scritti raccolti da Einaudi nel saggio Sulla medicina (2007), in cui il filosofo mette in rilievo la relazione tra ambiente e organismo, tendente a modificare sia l’uno che l’altro, nonché la nozione stessa di norma della quale Canguilhem critica qualunque forma di omologazione.
Facendo un po’ di storia della nanomedicina, il primo articolo in cui compare la medicina personalizzata è firmato da Robert Langreth e Michael Waldholz (1999), nel contesto scientifico del programma di sequenziamento del genoma umano. Lo studio dimostrava che il genoma umano contiene molti meno geni di quanto originariamente si pensasse, il che significa che l’attività delle numerose proteine nella cellula non può essere determinata sulla base del solo livello genetico e che i genomi variano notevolmente da un individuo all’altro. Eppure la medicina personalizzata non è nata nel 1990 o nel 2000, bensì dal 1957, anno in cui si inizia a parlare di farmacogenetica.
Inoltre non è ancora chiaro se si parli di medicina personalizzata, individualizzata o stratificata. L’assenza di una definizione univoca impone allora una riflessione sulla nozione di persona molecolare e persona soggettiva.
Personalizzare una diagnosi e un trattamento, afferma Guchet, significa disporre di tutta una serie di dati raccolti da strumenti bioinformatici e biostatistici: l’associazione tra le varianti genetiche, i processi patologici e le risposte ai medicinali è dunque solo probabilistica. La situazione, in apparenza paradossale, è spiegata dall’evidenza empirica per cui più si cerca di arrivare all’individualità del singolo più ci si avvicina a variabili statistiche e modelli probabilistici. Guchet spiega che questa tensione è direttamente proporzionale alla complessità del vivente, ma i processi vitali non sono il mero risultato meccanico di un insieme di fattori da scomporre. La complessità delle malattie si traduce nella difficoltà di spiegare casualmente i fenotipi: i polimorfismi genetici comuni non sono che una parte di questi. In ogni individuo esiste un gran numero di variazioni genetiche rare, non tutte rilevabili statisticamente. Dal punto di vista filosofico il professor Guchet cita l’antropologo Marcel Mauss (1938), il quale affermava che all’origine della nozione di persona si trova qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’autonomia morale (cfr. anche Mounier, 1952; Bonioli, 2013). Nel binomio filosofico individuo-persona risiede infatti l’ambiguità del concetto di umano, che indica l’appartenenza biologica alla specie umana ma non necessariamente una identità morale. Altri, come il filosofo Lucien Sève, in Qu’est-ce que la personne humaine? Bioéthique et démocratie (2006), definiscono la persona in termini di valori.
Ma la sfida reale della medicina personalizzata è studiare la malattia sul piano molecolare, dove la malattia si scompone e la sua eziologia si perde in innumerevoli varianti. La cancerologia illustra bene questa situazione, poiché il gene tumorale è instabile e resistente, studiato come fosse un processo darwiniano che moltiplica le sue variazioni accrescendo l’adattabilità e dunque la resistenza ai farmaci. L’alternativa proposta è allora la seguente: se la persona è conosciuta come una realtà trascendente ai processi biologici, rispetto al concetto tradizionale di persona, bisogna distinguere la personalized medicine dal personalized care. La prima si occupa dell’individualità biologica, la seconda della persona morale (Raiser, 1981). Profetico il filosofo Karl Jaspers, il quale affermava che il malato è riconosciuto in modo impersonale laddove la medicina immagina essere indirizzata a una personalità libera dal proprio corpo (Jaspers, 1964).
Il saggio di Guchet termina con l’invito a ridefinire il concetto di persona ispirandosi a Canguilhem, che parla di confusione tra mécaniste e biologique. È un errore osservare infatti il contesto in modo meccanicista, come un mero insieme di fattori: bisogna saper discernere tra contesto e ambiente (cfr. Lewontin, 2000). Per Guchet le due visioni dovrebbero essere integrate, non è utile o interessante opporle. Il problema è la mancanza di chiarezza nella definizione di “persona” come appare nel mondo greco-romano.
Rispetto all’idea di una biobanca che conservi le sequenze genetiche e al primo farmaco “etnicizzato” della storia (il BiDil, medicinale cardiaco approvato dalla Food and Drug Administration per gli afroamericani, cfr. Saul, 20005), Guchet sottolinea questioni etiche su cui è importante interrogarsi negli anni che verranno. Si tratta dell’anonimato del donatore molecolare, dei costi (circa tre miliardi di dollari) che ha richiesto la mappatura del genoma umano e il possibile utilizzo delle informazioni acquisite, nonché del diritto di “non sapere” da parte del paziente che non ha richiesto informazioni. Non solo: tra i temi più controversi rimangono anche i costi delle terapie e l’aggressività dei laboratori americani circa la brevettabilità dei geni.
In conclusione, la medicina personalizzata ci impone sì una nuova riflessione sull’importanza del rapporto medico-paziente e sull’essere umano non come mera entità biologica ma in quanto persona dotata di una propria storia genetica, sociale e ambientale; ma apre anche nuovi orizzonti di un’etica scientifica da tutelare, laddove l’enorme business farmaceutico rischia di minare un patrimonio proprio dell’umanità tutta. A tal proposito Guchet sottolinea un ulteriore pericolo: l’individualizzazione della relazione salute-malattia rischia di tradursi in una negazione della sofferenza dei singoli e della loro soggettività, contrariamente allo scopo della medicina personalizzata. È alla collettività che spetta il compito di tutelare il paziente e la sua sofferenza nei confronti della nuova medicina.
Bibliografia
- Association for Molecular Pathology et al. v. Myriad Genetics, Inc., et al. n. 12-398, sentenza del 13 giugno 2013: http://bit.ly/2jTCQtc.
- Boniolo G., Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo, Bompiani, Milano, 2013.
- Cangulleim G., Sulla medicina. Saggi 1955-1989, Einaudi, Torino, 2007.
- Foucault M., Le jeu de Michel Foucault (intervista), “Bullettin Périodique du champ freudien”, n. 10, luglio 1977.
- Jaspers K., Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico, Roma, 1964.
- Langreth R., Waldholz M., New era of personalized medicine: targeting drugs for each unique genetic profile, “Oncologist”, vol. 4 n. 5, 1999.
- Lewontin R., The Triple Helix: Gene, Organism, and Environment, Harvard University Press, Harvard, 2000.
- Mausse M., Una catégorie de l’esprit humain: la notion de personne, celle de moi, “Journal of the Royal Anthropological Institute”, vol. 68, 1938.
- Mounier E., Il personalismo, Garzanti, Milano, 1952.
- Rabinow P., Dalla sociobiologia alla biosocialità: artificialità e progresso conoscitivo, “DeriveApprodi”, n. 17, 1999.
- Reiser S.J., Medicine and the Reign of Technology, Cambridge University Press, Cambridge, 1981.
- Saul S., F.D.A. Approves a Heart for African-Americans, “New York Times”, 24 giugno 2005.
- Sève L., Qu’est-ce que la personne humaine? Bioéthique et démocratie, La Dispute, Parigi, 2006.