Il Mediterraneo rappresenta, senza dubbio, l’area in cui l’UE ha compiuto i maggiori sforzi di creatività nel ripensare i rapporti di cooperazione con gli stati terzi. Dalla Politica Globale Mediterranea (1972) all’Unione per il Mediterraneo (2008), molteplici e svariate sono state le iniziative intraprese dalla CEE prima e dall’UE poi nella regione. Ciononostante, oltre cinquant’anni di accordi e di dichiarazioni europee non hanno portato i risultati sperati. A venticinque anni dall’avvio del Partenariato Euro-Mediterraneo (1995), è ormai noto il «fallimento di Barcellona», ossia il mancato raggiungimento degli obiettivi enunciati nella Dichiarazione di Barcellona, quali: la creazione di un’area comune di pace, stabilità e prosperità condivisa, di una zona di libero scambio euro-mediterranea e il rafforzamento della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Parte autorevole della dottrina individua proprio in tale fallimento una delle cause dello scoppio, nel 2011, delle rivolte della popolazione araba contro quegli stessi regimi autoritari con cui l’UE ha a lungo collaborato in nome della lotta al terrorismo e ai flussi migratori. Non solo l’UE ha fallito nell’obiettivo di creare stabilità attraverso prosperità economica nel Mediterraneo, ma di fronte a tali rivolte, ha risposto in maniera «debole, divisa e incoerente», facendo così prevalere i consueti egoismi nazionali degli Stati Membri a seconda degli interessi in gioco e favorendo l’ascesa di vecchi e nuovi attori nella regione, si pensi alla presenza economica sempre più massiccia della Cina in Tunisia o in Marocco, oppure all’ingresso decisivo di Russia e Turchia nel conflitto libico.
Partendo da tali considerazioni, sembra oggi più che mai urgente chiedersi perché, nonostante le risorse investite nel Mediterraneo, l’UE non riesce a trarne profitti politici. La domanda, in altre parole, è la seguente: qual è oggi la natura dell’actorness dell’UE nella regione? E soprattutto, quali sono i suoi stessi limiti che la relegano al ruolo di «donatore generoso ma politicamente debole»? Ripercorrendo le principali tappe della politica euro-mediterranea, il presente contributo intende, dunque, analizzare in che modo fattori interni all’Unione stessa di natura istituzionale e politica hanno inciso e ancora oggi incidono sulla capacità decisionale dell’UE in politica estera, provocando nel Mediterraneo una palese discrasia tra valori dichiarati e interessi concretamente perseguiti che minano la sua credibilità e la sua legittimità nell’arena internazionale. Alle conclusioni sono, invece, affidate alcune riflessioni circa le prospettive per il futuro dell’UE, chiamata a rispondere ad importanti e nuove sfide esterne.