Pur non avendo secoli di storia alle spalle, la ricerca sul futuro ha una storia ormai consolidata, se si considera la letteratura sul tema. Nel loro storico lavoro The Sociology of the Future (1973), Bell e Mau individuavano in The Future (Low, 1925), saggio pubblicato negli Stati Uniti, il primo studio a carattere sociologico focalizzato sull’argomento. Tuttavia, il salto di qualità per lo sviluppo di questi studi si può collocare al termine della II Guerra Mondiale, quando l’umanità prende atto degli orrori finora mai sperimentati a livello globale. Un momento particolarmente cruciale per la comunità scientifica, drammaticamente posta di fronte alle proprie responsabilità, al proprio ruolo: mai come allora fu per tutti chiaro come la scienza potesse essere parte integrante (se non causa) di processi potenzialmente tanto distruttivi che costruttivi. La tensione in questo senso non si abbassò certamente negli anni della Guerra Fredda: è famosa la pubblicazione, nel 1955, del Manifesto Russell-Einstein, che propugnava l’abbandono delle armi nucleari. Fu in un clima di questo tipo, nella costante ricerca di nuovi equilibri nel mondo, che gli studi di previsione acquisirono una centralità mai sperimentata prima: negli Stati Uniti nacque la Rand Corporation, centro americano (a tutt’oggi attivo) di studi strategici e di previsione, tra i cui fondatori c’era Herman Kahn, personalità tanto controversa da ispirare a Peter Bryan George il personaggio del dottor Stranamore nel romanzo Red Alert (del 1958), da cui Kubrick trasse il notissimo film. Fu Kahn ad elaborare, in quegli anni, la tecnica degli scenari; un’altra tecnica di previsione sviluppata negli stessi anni alla Rand Corporation (in questo caso, una specifica tecnica di intervista) è quella nota a tutt’oggi come Delphi Method.
All’approccio statunitense, caratterizzato da una forte attenzione verso aspetti tecnici (e tecnologici) in supporto alla previsione, si contrapponeva la forza teorica della riflessione francese, in particolare grazie a due figure di spicco: il filosofo Bertrand De Jouvenel, che fondò la rivista Futuribles (termine che fonde “futures” e “possibles”) e sottolineò come il futuro non vada pensato in quanto entità singola, ma vada invece studiato in termini plurimi di possibilità e probabilità (De Jouvenel, 1962); il filosofo Gaston Berger, che con la sua prospective diede un taglio “impegnato” alla riflessione, sottolineando il legame tra decisori politici, cittadini ed analisti dei futuri, ponendo al centro della sua teorizzazione la ricaduta delle scelte dell’oggi sui possibili domani. Sui loro contributi si pongono le basi epistemologiche all’intera successiva riflessione ed alla sua traduzione in termini di ricerca sul campo, non soltanto nel contesto europeo.
Peraltro, anche i Paesi allora detti “oltre cortina” non furono da meno nello sviluppo degli studi di previsione. Si può, anzi, senz’altro affermare come questo specifico ambito di interesse abbia creato una vera e propria “rete”, un network ante litteram di studiosi a livello mondiale, uniti da uno scambio di esperienze che, almeno in apparenza, parve ignorare le forti tensioni politiche tra l’Est e l’Ovest del mondo. Sulla creazione di questo network, il ruolo di alcune personalità italiane è stato fondamentale: in primis, Aurelio Peccei, che fu promotore e tra i fondatori del Club di Roma, come pure la sociologa Eleonora Barbieri Masini, che per anni curò la World Futures Studies Federation, nonché progetti importantissimi a livello mondiale come Households, Gender, and Age (su impulso delle Nazioni Unite) (Barbieri Masini, Stratigos, 1991).
Proprio per quanto riguarda l’Italia, è importante riscoprire il peso, sul piano della fondazione teorica dei Futures Studies, dell’approccio neo-illuministico di Abbagnano e del suo esistenzialismo positivo. Il pensiero di Abbagnano rappresenta, in tal senso, uno snodo importantissimo, perché dà una risposta positiva, sul piano sia teorico che empirico, al problema della possibilità di conoscere e di agire da parte dell’uomo nel contesto della situazione (che definiremo storica, semplificando molto): un problema che l’esistenzialismo aveva fino a quel punto risolto negando la possibilità di intervento dell’uomo nel sociale. L’apertura di Abbagnano verso tale possibilità di conoscenza e di azione ammette, al contrario, questa possibilità di scelta per l’uomo-in-situazione, dentro una pluralità di azioni possibili – non tutte necessariamente destinate al successo. È qui, evidente, l’aggancio teorico con l’approccio ai futuri. Abbagnano nega, al tempo stesso, la mitologia della scienza (così come fa, già dagli anni ’30 del Novecento e da un altro punto di vista, il matematico Bruno de Finetti, quando elabora l’approccio soggettivistico alla probabilità) così come l’anti-scientismo; non condivide la certezza nella scienza che aveva caratterizzato l’Illuminismo, ma in tal modo riporta al centro il tema del metodo.
Con l’uomo torna, di conseguenza, ad essere centrale la sociologia, in quanto strumento principe della conoscenza della società (e delle situazioni che la caratterizzano), così come la metodologia, che di necessità ne deve supportare e validare i processi. Il sodalizio di Abbagnano con Ferrarotti portò alla nascita dei Quaderni di Sociologia nel 1951, a testimonianza di questo ponte teorico-pratico tra riflessione filosofica e ricerca sul campo. Un sodalizio che rappresenta uno dei tanti frutti creati dalla temperie culturale della Torino della prima metà del Novecento, così importante anche per la formazione di Aurelio Peccei (economista e manager Fiat), alla cui passione si deve il controverso report I limiti dello sviluppo, elaborato dal MIT per il Club di Roma (Meadows, Meadows, Randers, Behrens, 1972). Si tratta, probabilmente, del report di ricerca più diffuso nel mondo e, senz’altro, del più discusso, dal momento che il dibattito intorno ad esso non si è mai spento (si veda l’articolo di Filippo Zuliani in questo numero, N.d.R.). A tutt’oggi, basta cliccare “Club di Roma” su un motore di ricerca per rendersi conto di quanto il Club che Peccei fondò insieme ad altre personalità, che condividevano i suoi timori per lo sfruttamento sconsiderato delle risorse del pianeta – da parte di una specie umana in esponenziale crescita demografica – sia a tutt’oggi oggetto, da più parti, di discussioni forti, a carattere più o meno scientificamente fondato.
Per quanto qui interessa, al di là dell’accordo (mai raggiunto) della comunità scientifica relativamente ai metodi utilizzati dal MIT per l’elaborazione del Report – e, soprattutto, riguardo alle conclusioni da esso ottenute – resta il fatto che la discussione sulle risorse, sul loro possibile esaurimento, sulla necessità di rendere il progresso e la crescita sostenibili – e, cosa che interessa in particolare i Futures Studies, sulle strade da intraprendere per riuscire ad attuare un benessere sostenibile, che riguardi tutti e non si fermi alle generazioni attualmente presenti sul pianeta, ma ricada positivamente anche su quelle future, resta a tutt’oggi un tema centrale. Per comprenderne la profonda attualità, basta considerare la riflessione di Rosina e Tanturri sulla qualità della crescita ed il futuro della popolazione (Rosina, Tanturri, 2011), nonchè la recentissima riflessione Pauperia and Tycoonia: Population and Sustainability di Massimo Livi Bacci (2014).
Forse, rispetto al passato, è stato fatto qualche passo avanti: su alcuni punti (soprattutto sul tema dell’ambiente) c’è un relativo consenso. Intanto, sull’evidenza del fatto che il benessere a tutt’oggi non riguardi tutti gli abitanti del mondo, ma una minoranza di essi, e che spesso tale benessere è stato conquistato a scapito della sostenibilità dell’ambiente – e quindi del benessere di chi comunque non ne fruisce e delle generazioni future. Se nei paesi in cui il benessere è un dato acquisito da tempo, è anche da tempo subentrata (ed è relativamente diffusa) un’ottica di crescente rispetto per l’ambiente: si tende a limitare il dispendio energetico, si attuano misure di contenimento dei consumi, si riciclano i materiali di scarto, eccetera. Le economie del mondo cambiano però in continuazione: è chiaro che questo messaggio di rispetto per l’ambiente, anche a vantaggio delle prossime generazioni, debba passare anche nei paesi che si stanno ora affacciando al benessere e – giustamente, visto che non ne hanno mai avuto – vogliano goderne i benefici. Non è detto che sia semplice: i cieli oscurati dallo smog di Pechino sono, in questo senso, un segnale di allarme potente. Come far capire, prima che sia troppo tardi, che la qualità della vita passa anche attraverso il rispetto dell’ambiente e non solo attraverso il vistoso consumo delle risorse limitate della natura? Il legame tra Futures Studies e studi sulla qualità della vita è, a questo punto, evidente in tutta la sua pregnanza concettuale.
Come per i Futures Studies, anche per la ricerca sugli indicatori sociali si tratta di un ambito che comincia ad avere una storia lunga, più lunga di quella che di norma gli si attribuisce. In effetti, già nel XVI secolo, nelle colonie del Nuovo Mondo, c’erano studiosi che prendevano con regolarità nota di aspetti che noi oggi classifichiamo senz’altro come “indicatori sociali” (salute, alimentazione, abitudini, etc.); tuttavia, di solito i primordi di tali studi si fanno risalire all’Ottocento, ovvero agli studi sulla comunità operaia di Le Play, di Marx, di Booth e di Rowntree. Nel Novecento non mancarono peraltro esempi di ricerche sul campo relative ad indicatori sociali. Si parla però esplicitamente del “Movimento degli indicatori sociali” solo dopo Social Indicators (Bauer, 1966), articolo in cui l’autore riporta le riflessioni nate dalle difficoltà incontrate nell’individuazione degli indicatori adeguati per svolgere la ricerca da lui curata (che aveva lo scopo di analizzare l’influenza delle imprese spaziali sulla qualità della vita della popolazione), commissionata nel 1962 dalla NASA all’American Academy of Arts and Sciences.
Il Movimento degli indicatori sociali da allora non si è più fermato: il tema dell’insufficienza del PIL (o GDP) come indicatore del benessere di una popolazione nasce al suo interno: ne parlerà in Italia Curatolo (1973), come pure Bruno de Finetti (1976). È importante considerare che la Francia, anche in questo caso, ne recepisce le istanze già a metà degli anni ’60, attraverso gli articoli della rivista Analyse et prévision, cui contribuisce in particolare Jacques Delors. Già in questi articoli sono presenti i segnali del legame forte tra studi sulla qualità della vita e previsione futurologica (in termini di prospective); quello che caratterizza il motore teorico del lavoro dell’OCSE – e ne quale cui possiamo individuare i “semi” dei contenuti del Report of the Commission on the Measurement of Economic Performances and Social Progress (Sen, Stiglitz, Fitoussi, 2009). E l’Italia? Non sta ferma, tutt’altro. Faccio una personale considerazione relativamente alla recente produzione di dati ufficiali. È evidente che, se si parla di ricerca di indicatori per un benessere equo e sostenibile – come si fa, ad esempio, con gli indicatori del B.E.S. (Istat, 2013) – l’idea di base è quella di individuare gli ambiti sui quali operare policies dirette ad un benessere diffuso che, essendo sostenibile, riguardi anche le generazioni future. Il fatto che anche in ambiti ufficiali si tenga conto (sia pure sotto i rigidi vincoli della metodologia statistica) dei temi cari ai Futures Studies non può che rendermi felice.
Per approfondire:
- Abbagnano N., L’esistenzialismo positivo, Torino, Taylor, 1948
- Ammassari P., Della previsione nelle scienze sociali: il problema ricorrente, in “Futuribili” n. 16, Roma Editrice Futuribili, novembre 1969
- Barbieri Masini E., Stratigos S. (a cura di), Women, Households, and Change, Tokyo, New York, Paris, United Nations University Press, 1991; tr. it., Donne e famiglia nei processi di sviluppo, Torino, ISEDI, 1994
- Barbieri Masini E. (a cura di), La previsione. Idee, protagonisti, nodi problematici, “Futuribili” n. 1, Milano, Franco Angeli, 1994
- Barbieri Masini E., Penser le Futur – L’essentiel de la prospective et de ses méthodes, Paris, Dunod, 2000
- Bell W., Foundations of Futures Studies. History, Purposes, and Knowledge, New Brunswick (USA) and London (UK), Transaction Publishers, 2003 (Fifth printing, 2009)
- Bell W., Foundations of Futures Studies. Values, Objectivity, and the Good Society, New Brunswick (USA) and London (UK), Transaction Publishers, 2004 (Third printing, 2008)
- Berger G., Étapes de la prospective, Parigi, Presses Universitaires de France, 1967 ; disponibile sul sito http://www.laprospective.fr/
- Concheiro A., Medina Vasquez J., Eleonora Barbieri Masini: alma de los estudios de los futuros, Fundaciòn Javier Barros Sierra, Mexico, 2013
- Dalkey N. C., Metodologia della previsione, in “Futuribili” n. 12, Editrice Futuribili, gennaio 1969
- de Finetti B., Probabilismo. Saggio critico sulla teoria delle probabilità e il valore della scienza, Napoli, Perrella, 1931; in De Finetti (a cura di M. Mondadori), La logica dell’incerto, Milano, Il Saggiatore, 1989
- de Finetti B., La prévision: ses lois logiques, ses sources subjectives, Paris, Annales de l’Institut Poincaré (vol. 7, Fascicolo I), 1937; in De Finetti (a cura di M. Mondadori), La logica dell’ incerto, Milano, Il Saggiatore,
- De Jouvenel B., L’art de la conjecture, Futuribles, Monaco, Éditions du Rocher, 1964 ; tr. it., L’arte della congettura, Firenze, Vallecchi, 1967
- Di Zio S., Pacinelli A., Opinion convergence in location: A spatial version of the Delphi method, in “Technological Forecasting & Social Change” n. 78, Elsevier, 2011
- Facioni C., Il contributo italiano ai Futures Studies; disponibile sul sito http://padis.uniroma1.it/ , 2011
- Giovannini E., Scegliere il futuro. Conoscenza e politica al tempo dei Big Data, Bologna, Il Mulino, 2014
- Istat, CNEL, B.E.S. 2013. Il benessere equo e sostenibile in Italia; disponibile sul sito http://www.istat.it , Roma, 2013
- Livi Bacci M., Pauperia and Tycoonia: Population and Sustainability; su http://www.neodemos.it , 2 aprile 2014
- Lo Presti A., Previsioni sociologiche e futures studies: un tentativo di ricomposizione logica e concettuale, in “Sociologia e ricerca sociale” n. 55, Milano, Franco Angeli, 1998
- Meadows D. H., Meadows D. L., Randers J., Behrens W. W., The Limits to Growth: A Report for the Club of Rome’s Project on the Predicament of Mankind, Ginevra, Club of Rome, 1972; tr. it., I limiti dello sviluppo – rapporto del System Dynamics Group Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità, Milano, Mondadori, 1972
- Rizza S., Il presente del futuro. Sociologia e previsione sociale, Milano, Franco Angeli, 2003
- Rosina A., Tanturri M.L., Goodbye Malthus. Il futuro della popolazione dalla crescita della quantità alla qualità della crescita, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011.