Le società complesse, compresa la nostra, sono fragili. Esse sono tenute insieme da una rete invisibile di fiducia reciproca e cooperazione sociale. Ma tale rete può sfilacciarsi facilmente, innescando un’ondata di instabilità politica e conflitti intestini (sino a raggiungere talvolta il completo collasso sociale). Ondate di instabilità tendono ad attenuarsi molto lentamente, in un lasso temporale pluri-decennale. Tali cicli di instabilità hanno afflitto (per fare degli esempi) l’Impero Romano, la Cina imperiale, l’Inghilterra e la Francia medievale e moderna, e – come la mia recente ricerca mostra – affliggono tutt’oggi la società statunitense. La battaglia in merito al budget federale alla quale siamo sopravvissuti e che da poco abbiamo superato, è solo una delle manifestazioni di instabilità politica e sociale che caratterizzeranno il prossimo decennio.
L’analisi di società passate mostra come ondate di instabilità si sviluppino molto lentamente, nell’arco di diversi decenni, e sono altrettanto lente nell’essere assorbite e contenute. Le radici della nostra attuale difficile situazione risale agli anni Settanta, quando gli stipendi dei lavoratori americani hanno smesso di essere allineati alla loro capacità produttiva. Le due curve hanno iniziato a divergere: la produttività ha continuato a salire, mentre i salari si sono rivelati stagnanti. La “grande divergenza” tra le fortune dell’1% più ricco della popolazione mondiale ed il restante 99% è un fatto appurato e ben messo in evidenza, ma le sue implicazioni per l’instabilità politica sono sottovalutate.
Esiste un modello storico veramente consolidato: la crescente diseguaglianza economica è associata alla crescente instabilità politica. In parte, questa correlazione riflette un nesso causale diretto. Un’alta diseguaglianza è corrosiva nei confronti della cooperazione sociale e di una maggiore disponibilità al compromesso, mentre una cooperazione in diminuzione implica maggior disaccordo e un’escalation di conflitti politici interni. Ad ogni modo, e forse in misura più significativa, la diseguaglianza economica è anche un indicatore di più profondi cambiamenti sociali, che sino ad ora sono passati inosservati.
Una crescente diseguaglianza non porta solo alla crescita di “fortune elitarie”; risulta essere presente anche nel maggior numero di benestanti. Detta in altri termini, ci sono molti più milionari, multimilionari e miliardari oggi, rispetto a trent’anni fa. Prendiamo ad esempio i titolari di proprietà/liquidità del valore di almeno 10 milioni di dollari o più (valore del dollaro del 1995). Tra il 1983 ed il 2010 il numero di americani plurimilionari è cresciuto da 66.000 a 350.000 (un incremento di ben quattro volte in proporzione alla popolazione). Gli americani ricchi tendono a essere più attivi nell’arena politica rispetto al resto della popolazione. Non solo sovvenzionano e appoggiano quei candidati con i quali condividono valori e visione politica; essi stessi spesso concorrono per cariche prestigiose (basti pensare al sindaco di New York Michael Bloomberg). Il problema è che, mentre l’offerta di pubblici uffici è rimasta piatta nel tempo (vi sono ancora 100 senatori e 435 deputati, lo stesso numero dal 1970), oggi ci sono molti più contendenti per queste posizioni. In termini tecnici, una tale situazione è detta elite overproduction: sovrapproduzione di élite.
Qui emerge un altro modo di pensare l’elite overproduction. Tra la metà degli anni Settanta e il 2011, stando all’American Bar Association, il numero di avvocati è triplicato da 400mila a 1,2 milioni. Al contempo, la popolazione è cresciuta solo del 45%. La Economic Modeling Specialists ha recentemente stimato che il numero di studenti che supera annualmente l’esame di avvocatura supera del doppio l’effettiva domanda del mercato. In altre parole, ogni anno le facoltà di legge americane sfornano all’incirca 25.000 “unità” in eccesso, la maggior parte delle quali è indebitata fino al collo (debiti contratti per ricevere l’istruzione universitaria). Poiché la laurea in legge è anche il miglior viatico per accedere agli uffici politici negli USA, molti si iscrivono alla facoltà di legge solo con l’obiettivo della carriera politica. Le fila di potenziali candidati sono dunque affollate da tutti questi laureati in legge per i quali una carriera in politica, al di là dell’incertezza intrinseca, è la miglior soluzione a disposizione.
L’elite overproduction, inoltre, si riferisce all’eccessiva quantità offerta di contendenti per le posizioni di potere. E ciò non riguarda solo i laureati delle facoltà di legge (lungi da me voler demonizzare gli avvocati: essi sono alla mercè delle stesse forze sociali impersonali che dominano l’operato di tutti noi). Il numero di neolaureati con master, dopo tutto, è cresciuto anche più rapidamente del numero di laureati in legge. Così, siamo dinanzi ad un numero di disperati laureati in legge e molti di più sono i ricchi che nutrono ambizioni politiche rispetto a trent’anni fa. Perché ciò è importante?
Ondate passate di instabilità politica, come le guerre civili della tarda epoca romana, le guerre di religione, e la stessa guerra civile americana, furono certamente eventi storici complessi con innumerevoli cause interconnesse. Ma vi sono anche medesimi fili conduttori. Il fattore primario scatenante di una esplosione di violenza politica in tutti i sopracitati casi storici è risultato essere per l’appunto un periodo di elite overproduction. Gli altri due importanti fattori emersi sono il declinante o stagnante standard di vita della popolazione in generale e l’aumento dell’indebitamento statale. Noi oggi vediamo le stesse forze in azione e pronte a condurre l’America verso nuovi picchi di instabilità. Su 30 indicatori dettagliatamente sviluppati per tracciare tali cicli, quasi tutti sono stati valutati muoversi nella direzione sbagliata negli ultimi 30 anni.
Come causa instabilità politica tale sovrapproduzione di elite? Generalmente essa conduce a una più accesa competizione inter-elitaria e a un crescente clima politico-sociale di insoddisfazione, tende gradualmente a minare lo spirito di cooperazione, al quale fa seguito una polarizzazione ideologica e una frammentazione della classe politica. Per comprendere come ciò si sviluppa e cristallizza in un determinato momento storico basti prendere ad esempio gli Stati Uniti nel loro anteguerra. Tra il 1830 ed il 1860, il numero di newyorkesi e bostoniani con fortune da almeno 100.000 dollari (sarebbero dei multimilionari oggi) quintuplicarono. Molti di questi nuovi ricchi (o i loro figli) avevano ambizioni politiche. Ma il governo, specialmente la Presidenza, il Senato, e la Corte Suprema, era dominato dalle élites del sud. Quando quelli del nord sono entrati in politica in numero sempre più cospicuo, una porzione di loro è finita con lo schierarsi dalla parte sbagliata. Quanto più quelli del nord erano frustrati dalla posizione privilegiata di quelli del sud, tanto più quelli del sud si schieravano sulla difensiva.
La schiavitù è stato un argomento di divisione accesa tra i due poli sin dagli albori della Repubblica, ma per settant’anni le élites erano sempre riuscite a mettersi d’accordo. Durante gli anni Cinquanta del XIX secolo, la cooperazione inter-elitaria si è sgretolata. Il clima politico si fece così rovente che in più occasioni il Congresso rischiò lo scioglimento e la “chiusura” (come notò un senatore dell’epoca, chi tra i suoi “armati e pericolosi” colleghi non avesse avuto con sé almeno un revolver ed un coltello doveva avere almeno due revolver con sé). Vi erano molteplici argomenti a dividere le élites: la schiavitù, ovviamente, ma anche alcune questioni economiche come le tariffe, e ancora l’atteggiamento culturale da adottare nei confronti degli immigrati. Durante il decennio che precedette la guerra civile, tali forze centrifughe spaccarono il sistema bipartito. Il Partito Democratico si divise nelle sue due frange nordista e sudista, mentre i liberali semplicemente si disintegrarono.
Non appare familiare come sviluppo? Oggi non stiamo assistendo a una mera schermaglia tra democratici e repubblicani; lo stesso Partito Repubblicano si sta frammentando. Similitudini con la situazione degli anni Cinquanta del XIX abbondano. Oggi, come allora, molte delle élites politiche disdegnano il compromesso e sono invece inclini allo scontro più aspro. Fortunatamente, i nostri senatori non sono (ancora?) armati con revolver e coltellacci. Quali sono le implicazioni future? Dovremmo aspettarci molti anni di trambusto politico, con un picco massimo che sarà raggiunto negli anni Venti di questo secolo. E, poiché società complesse sono molto più fragili di quanto si possa immaginare, vi è una sempre maggior possibilità che un evento catastrofico di qualsivoglia natura possa abbattersi sugli USA.
Una catastrofe non è mai prevedibile. La storia ci insegna che esiste una certa indeterminazione circa le vie che le società percorrono per uscire dalle ondate di instabilità politica. Tali ondate sfociano talvolta in vere rivoluzioni sociali, durante le quali i ricchi e potenti vengono detronizzati. In altri casi, risultato ricorrenti guerre civili e la frammentazione permanente della Stato e della società. Un’altra guerra civile sembra inverosimile nei moderni Stati Uniti d’America, ma vi sono luoghi dove discorsi di secessione o di formazione di nuovi Stati sono già iniziati. In casi molto rari, comunque, le società hanno attraversato lo smottamento uscendone pressoché indenni: adottando una serie di riforme giudiziose, guidate da élites che hanno saputo leggere la situazione comprendendo di essere tutti nella stessa barca. Se noi saremo in grado di seguire quest’ultima traiettoria o meno dipende in larga parte dai nostri leader politici ed economici. È già accaduto in passato, negli anni Trenta del XX secolo. Se accadrà di nuovo dipenderà per lo più dal nostro saper riconoscere per tempo i veri pericoli ed agire in maniera tempestiva per arginare la minaccia.