L’azione volontaria, focus della ricerca qui presentata, è stata riconosciuta in Italia a livello legislativo nazionale attraverso la Legge Quadro sul Volontariato n. 266 del 1991. In tale legge, l’articolo 1 dichiara che lo Stato “riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale”.
Il presente lavoro indaga i futuri dell’azione volontaria in Italia in quanto dimensione di rilevanza pubblica, che ha dimostrato in più occasioni di essere una fonte preziosa di creatività, autorganizzazione e resilienza delle comunità[1]. In questo senso, esso risulta essere uno spazio fondamentale in cui i singoli e le collettività immaginano e creano continuamente futuri desiderabili per sé stessi e per le società che abitano, agendo alla stregua di un potente dispositivo di democratizzazione di futuri latenti. Pertanto, l’enfasi contemporanea sul concetto di sviluppo sostenibile non può tralasciare una lucida analisi dell’evoluzione dell’azione volontaria, uno stock[2] di resilienza, speranza e capacità immaginative che è interesse collettivo curare e incentivare.
L’elaborato prende quindi le mosse da una domanda di ricerca specifica: quali saranno i futuri dell’azione volontaria nel 2030? Partendo da questo interrogativo si sono raccolti dati, informazioni e intuizioni che sono stati utilizzati per dar vita ad uno specifico scenario dell’azione volontaria, declinato come futuro desiderabile dal gruppo di lavoro del Centro di Servizio per il Volontariato (CSV) di Verona, un ente di secondo livello la cui mission risiede nella promozione e facilitazione del volontariato. Nel percorso di ricerca sono state coinvolte 9 organizzazioni non profit veronesi attraverso il metodo delle interviste strategiche (Ringland, Young, 2006).