Il trend della mediatizzazione
La partecipazione politica convenzionale è in crisi da diversi decenni. Se, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, i livelli medi di partecipazione elettorale in Europa occidentale non hanno subito cambiamenti significativi, è altrettanto vero che il declino a partire dagli anni Settanta-Ottanta è stato visibile nelle democrazie di lungo corso (Mair, 2002, 2013). Il crescente distacco popolare dalla politica convenzionale è rintracciabile anche nella capacità dei partiti di coinvolgere i cittadini nelle loro attività. Rispetto al passato si registra una minore propensione da parte dei cittadini ad assumere impegni legati alle organizzazioni partitiche (Mair e Van Biezen, 2001). La tendenza comune è stata una sorte di emorragia degli iscritti, fino a far pensare a “partiti senza membri” (Scarrow, 2000).
In corrispondenza alla crisi della partecipazione tradizionale (manifestazioni pubbliche, attività partitiche, impegno amministrativo locale ecc.), si è verificata una diffusione crescente dei media nella società, prima radio-televisivi e poi digitali. In questo contesto, si è affermato un processo di progressiva “mediatizzazione della politica”: l’azione politica e la partecipazione dei cittadini avvengono con forme nuove, all’interno dello spazio mediatico. Almeno a partire dagli anni Ottanta, la mediatizzazione è uno dei trend più caratteristici della politica democratica: la politica democratica da “mediata” è diventata progressivamente “mediatizzata” (Mazzoleni, Schulz 2009; Strömbäck, 2008). Sia gli attori istituzionali sia i cittadini tendono a conformare le proprie azioni e i propri comportamenti ai formati del sistema mediale di riferimento. Tanto la dialettica istituzionale, tesa alla deliberazione, tanto quella più informale, volta alla comunicazione, alla creazione del consenso e alla partecipazione popolare, entrano in una stretta relazione con il sistema mediale, nelle sue varie declinazioni (Esser, 2013).
Con il web 2.0, in particolare, si riduce la tipologia di comunicazione “unilaterale” da parte della classe politica (tipica dei mass media), ma è stato abilitato un rapporto “a due sensi”, volto ad un maggiore coinvolgimento, con i cittadini partecipi dei flussi informativi (Kurkenmeier et al., 2013). Le piattaforme non solo permettono, ma incentivano la pubblicazione di contenuti da parte degli utenti, e le forme di espressione aumentano in quantità e varietà: è la nascita del prosumerismo (Toffler, 1980; Ritzer at al., 2012), in cui il consumatore di informazioni contribuisce direttamente alla produzione delle stesse, e della “silly citizenship” descritta da Hartley (2010), in cui piccoli gruppi o individui possono esprimere il proprio credo politico senza essere rappresentanti qualificati (i politici di professione di weberiana memoria) o eletti. Dunque, la partecipazione politica tradizionale, centrata sui partiti, si sfarina e diminuisce in intensità, ma parallelamente emergono inedite forme di partecipazione, che sono diverse da quelle del passato (Sorice, 2019) e che spesso utilizzano le tecnologie digitali.
I videogiochi sono dei giochi gestiti da dispositivi elettronici che consentono di interagire con le immagini di uno schermo. Con l’avanzare della capacità tecnologica, i videogiochi hanno registrato recentemente una crescita esponenziale per quanto riguarda la sofisticazione, la diffusione fra la popolazione e il fatturato dell’industria di riferimento. Si stima che nel 2018 il mercato dei videogiochi abbia raggiunto nei soli Stati Uniti i 43,4 miliardi di dollari, con un incremento del 18% rispetto al 2017[1]. I videogiocatori sono stimati essere circa 2,7 miliardi di persone nel mondo[2]. Attualmente l’industria del videogioco è una delle più redditizie, ed è abbastanza trasversale per quanto riguarda il suo pubblico: l’età media dei videogiocatori è di 34 anni, con un rapporto equilibrato di giocatori di sesso maschile e femminile (The ESA, 2020; IIDEA, 2020).
Ad accorgersi delle potenzialità del settore in termini di comunicazione e di coinvolgimento della popolazione sono state, innanzitutto, diverse aziende commerciali, le quali hanno puntato molto sulla sponsorizzazione di team di e-sport e sul marketing legato al gaming (Mau et al., 2008). Particolarmente attive nel marketing videoludico sono aziende come Nvidia e AMD, leader nella produzione di hardware di alto livello, o come Razer e Logitech, nel settore delle periferiche. Ma anche altri marchi si sono avvicinati al settore, primi tra tutti i soft drink: Red Bull e Monster Energy sono brand estremamente riconoscibili grazie al loro coinvolgimento nel settore dei videogiochi (Petermeier, 2020).
Anche se, storicamente, il rapporto tra mondo del gaming e politica è stato spesso difficile e conflittuale[3], negli ultimi anni la classe politica ha iniziato ad approcciarsi al videogioco come strumento comunicativo e di engagement democratico, cominciando a riconoscere che il medium ludico raggiunge gruppi ampi ed eterogenei di cittadini, di diversa età ed estrazione sociale, e soprattutto una fascia sempre più adulta di popolazione (The ESA, 2020; IIDEA, 2020): il videogioco non è prerogativa di bambini o adolescenti ma raggiunge gli adulti, maggiorenni e quindi potenziali elettori. Ecco che i videogiochi diventano uno dei molti canali di “collegamento” fra politici e cittadinanza: non sostituiscono le modalità tradizionali ma si affiancano ad esse, non rivoluzionano le forme di mobilitazione politica ma “convergono”, rinnovandole (Jenkins, 2014; Giacomini, 2018).
Questo articolo intende esplorare l’uso politico, comunicativo e partecipativo dei videogiochi. Si tratta di una rassegna ragionata che ripercorre la storia dei “political campaign games” (Bossetta, 2019; Sisler, 2005) per arrivare ad un’analisi delle campagne elettorali di Barack Obama nel 2008 e di Joe Biden nel 2020. Questo contributo ha come obiettivo situare, nell’ambito degli studi sulla mediatizzazione della politica e dell’innovazione democratica, l’emergere della comunicazione e della partecipazione videoludica, sottolineando la crescente rilevanza del fenomeno sociale nel panorama internazionale, oltre che la necessità di ulteriori studi scientifici sull’argomento. Il focus sulle due recenti campagne presidenziali americane, in particolare, permette di evidenziare le differenze qualitative e quantitative circa i principali approcci all’utilizzo del videogioco come mezzo di comunicazione, di attivazione e di mobilitazione politica. Infine, verranno proposte considerazioni conclusive sui possibili sviluppi futuri.