Nonostante la riflessione sul futuro sia una costante nella storia dell’Uomo, poiché pensare all’avvenire costituisce da sempre una componente essenziale della natura umana (Cazes, 2008), soltanto negli anni più recenti si è assistito a un crescente richiamo a questo tema. Se tra gli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, gli studi inerenti al futuro erano molto in voga in Italia (e non solo), a partire dagli anni Settanta l’interesse per questo tema si è affievolito per poi avere un nuovo slancio soltanto negli anni Ottanta, quando si è acceso un rinnovato interesse e quando la sociologia ha iniziato in maniera più decisiva a occuparsene. L’attenzione al tema del futuro, dunque, ha avuto nel corso degli anni un carattere altalenante; Eleonora Barbieri Masini (2012) – storica del futuro in prospettiva sociologica – riconduce le oscillazioni di interesse al tema ai cambiamenti avvenuti nella società. Com’è noto, gli anni Cinquanta e Sessanta sono stati anni contraddistinti da una consistente crescita economica, dall’idea di progresso che investiva ogni sfera della quotidianità e da un conseguente clima di ottimismo nei confronti del futuro, ottimismo che ha risvegliato l’interesse per il tema. La crisi degli anni Settanta e il conseguente clima di sfiducia, però, hanno portato a un cambio di direzione: il tema del futuro è stato nuovamente abbandonato. Soltanto intorno agli anni Ottanta, come anticipato, si è assistito a un rinnovato interesse e all’avvicinamento della sociologia al tema dell’avvenire. Inizia a prendere forma così la “sociologia del futuro”, ovverosia quel ramo della sociologia finalizzato alla comprensione dell’organizzazione dei processi attraverso i quali il futuro stesso può essere esplorato ed elaborato (Mandich, 2012).
Se da sempre il futuro ha rappresentato una dimensione a tratti evanescente, con l’avvento della società contemporanea – che com’è noto è contraddistinta da nuove condizioni di incertezza – esso, in quanto dimensione temporale, ha iniziato ancor di più ad assumere confini indeterminati e indeterminabili, provocando quella che in letteratura è stata definita la “crisi dell’avvenire” (Pomian, 1981). Tale crisi ha consolidato la convinzione collettiva di una scarsa governabilità del futuro, che non solo lo ha reso più complesso in quanto oggetto di studio, ma ha anche reso più difficile il modo in cui gli individui vi si rapportano. In altre parole, il futuro è divenuto un concetto complesso sia sul piano teorico – e quindi in quanto oggetto di studio – sia sul piano empirico – e quindi quando si fa riferimento alle modalità attraverso cui i soggetti entrano in relazione con l’avvenire.
Nonostante entrambi i piani siano alquanto interessanti, questo contributo si soffermerà sul piano teorico e, dunque, sulla complessità del futuro in quanto oggetto di studio e dei Futures Studies in quanto disciplina.
Complessità del futuro e dei Futures Studies (FS)
Nel corso degli anni numerosi studi hanno tentato di spiegare e in un certo senso di dare un volto alla complessità che caratterizza gli studi di futuro e più in generale il futuro stesso. A tal proposito, l’opera di sistematizzazione dei FS offerta da Barbieri Masini (1993) aiuta a tratteggiare una panoramica della dimensione temporale del futuro in generale, e dei FS in particolare, aiutando dunque a comprendere la complessità di questi temi. Nel suo contributo, che costituisce ancora un riferimento imprescindibile per la disciplina, Barbieri Masini (1993) individua le “caratteristiche fondanti” dei FS, ovverosia: la transdisciplinarità, la complessità, la globalità, la dinamicità, la normatività, la scientificità e la partecipatività, caratteristiche che aiutano a tracciare un quadro della complessità che avvolge la dimensione temporale del non ancora. Riportiamo qui di seguito, brevemente, una descrizione di queste sette caratteristiche.