In questi giorni si sta costituendo, in Italia, il quarto governo in meno di due anni e mezzo. Nell’editoriale di apertura del primo numero della nostra rivista FUTURI citavamo le parole del premier Enrico Letta sulla visione di lungo termine, smentite dal fatto che meno di tre settimane dopo la pubblicazione del numero Letta è stato costretto alle dimissioni dall’immobilismo del suo governo e dal mutato scenario politico. Ora da più parti si incalza il nuovo Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ad accelerare sull’agenda digitale andando oltre l’Agenzia costituita ormai da anni ma prima di poteri, e istituendo un vero e proprio ministero per l’Innovazione. Una proposta interessante che va condivisa in pieno. Un ministero dell’Innovazione assommerebbe a sé le deleghe sull’agenda digitale e sulla modernizzazione della pubblica amministrazione. Non dovrebbe però affatto limitarsi a questo. Purtroppo da un po’ di tempo a questa parte in Italia si è consolidata la falsa idea che l’innovazione giri tutta intorno al fenomeno della digitalizzazione, della banda larga, dell’informatizzazione e delle start-up tecnologiche. È un’idea sbagliata perché risente, ancora una volta, di una visione a breve termine che non guarda ad orizzonti più lontani.
Senza dubbio la piena digitalizzazione del nostro paese è un obiettivo ineludibile, che un Ministero per l’Innovazione deve riuscire a conseguire in pochi anni, sicuramente entro l’orizzonte della legislatura, che scade nel 2018. Scommettere tutto su questi temi, tuttavia, si rivelerebbe sbagliato. L’innovazione non è un traguardo raggiunto il quale si smette di correre. Una volta conseguiti gli obiettivi dell’agenda digitale, dovremmo considerare l’Italia un paese moderno e progredito? Nient’affatto. Le sfide che emergeranno da qui a pochi anni costringeranno a rivedere molte delle politiche adottate dai precedenti governi così come molte delle iniziative che il governo Renzi intraprenderà. Lo scenario mondiale nel quale l’Italia opera è in costante e rapido mutamento e richiede una capacità di programmazione di lungo termine che il nostro paese non possiede. Se Renzi vuole davvero scommettere sul futuro – e per un primo ministro di 39 anni, il più giovane della storia della Repubblica, si tratta di una scommessa obbligata – deve adottare una vera e propria “agenda per il futuro”, che comprenda molto più dell’innovazione digitale.
Quest’agenda dovrebbe comprendere le politiche di pianificazione del welfare in un paese in cui il numero di pensionati è destinato ad aumentare vertiginosamente in pochi anni; i piani per sganciare il bouquet energetico dell’Italia dai combustibili fossili, puntando su energie rinnovabili e infrastrutture per il risparmio energetico; i programmi di mitigazione del cambiamento climatico, necessari in un paese ad alto rischio di dissesto idrogeologico e, al Sud, a forte rischio di desertificazione; politiche per il trasferimento tecnologico, per l’ammodernamento delle infrastrutture di trasporto, per l’automazione; una riforma dell’istruzione che renda i nostri ragazzi in grado di competere in un mondo nuovo che richiede loro competenze che la scuola non fornisce, troppo legata a metodi sorpassati. E molto altro ancora.
Un’agenda per l’Italia non del 2018, ma del 2050. Un orizzonte temporale di lungo termine cui la politica non può non guardare, perché compito della politica è la pianificazione per il benessere dei suoi cittadini. Se la finanza investe sul breve periodo, l’economia statale deve programmare non in anni, ma in decenni. Ciascun ministero dovrebbe essere dotato di unità per la pianificazione di lungo termine, in grado di affrontare i problemi che ci piomberanno addosso tra dieci, venti o trent’anni prima che sia troppo tardi. Il governo Renzi dovrebbe addestrare decisori politici e funzionari capaci di non guardare solo all’oggi, ma al domani e al dopodomani. Se davvero il nuovo Presidente del Consiglio non vuole fare la fine dei suoi predecessori, caduti nel volgere di pochi mesi nonostante grandi speranze e belle promesse, deve scommettere sul futuro. Se egli, come la democrazia impone, non sarà di certo al governo nel 2050, ciò nonostante l’Italia in cui vivremo allora sarà in parte frutto anche delle sue scelte. E, come ricordava Alcide De Gasperi, se un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista deve guardare alle prossime generazioni.