Il populismo è un fenomeno di non facile comprensione, soprattutto rispetto all’apparente semplicità con cui il termine viene utilizzato nel dibattito corrente. Ancora oggi, nella letteratura politologica e di teoria politica, non è stata coniata una definizione universale del fenomeno. Quando si discute di populismo, infatti, non è del tutto scontato sapere quali sono i contorni del concetto. Negli anni, questo termine ha assunto significati sempre diversi a seconda del contesto storico, politico e geografico, fino ad arrivare ad essere un termine generico e dai contorni non ben definiti, molto spesso utilizzato meramente come slogan. Per acclarare la confusione che gravita attorno al concetto di populismo, del resto, basti pensare a tutti i leader politici a cui è stata assegnata l’etichetta di populista nella scena politica internazionale. Tra questi: Donald Trump, Hugo Chavez, Matteo Salvini, Santiago Abascal, Viktor Orbán, Boris Jhonson, Marine Le Pen, Pablo Iglesias Turrión. Persone profondamente diverse tra loro sotto tanti punti di vista, ma accomunate dal fatto di essere ritenuti “populisti”.
In Europa, con la pandemia, abbiamo assistito a una sostanziale crescita dei partiti di governo ed un calo nei consensi, almeno stando ai sondaggi, di quelli all’opposizione – tra cui, come mostro in questo lavoro, dei partiti populisti. Questo fenomeno non può essere banalmente riconducibile a quello che gli inglesi chiamano “rally around the flag” (letteralmente lo “stringersi intorno alla bandiera”) che ha spinto i cittadini a raccogliersi attorno ai propri leader, nella speranza che questi ultimi potessero, in un certo qual modo, assisterli e proteggerli in un momento così difficile dove si è passati rapidamente da uno shock sanitario ad uno shock economico e sociale assolutamente inedito. Alla luce di tale contesto, questo lavoro si pone l’obiettivo di fornire una panoramica del fenomeno populista all’interno del contesto europeo nel periodo della pandemia. Una panoramica che inizia da una premessa doverosa: ci troviamo in un’epoca storica che è stata opportunamente definita “campagna elettorale permanente” (Blumenthal, 1980).
In questo quadro, la domanda sollevata dal paper è la seguente: cosa succede ai partiti populisti nel contesto della pandemia? La presente ricerca intende mostrare ed identificare i particolari i fattori strutturali che hanno determinato questo (presunto) cambiamento, per ora temporaneo, e valutare la condizione di salute di questi partiti che, almeno apparentemente, sembrano essere in crisi. Facendo ciò, questo lavoro aspira a comprendere alcune dinamiche politiche che stanno gradualmente riconfigurando – e verosimilmente potranno influire ancor di più in futuro – lo scenario europeo.
Operativamente, l’analisi verte su diversi piani d’osservazione: nella prima parte viene offerto un quadro teorico intorno al fenomeno populista, corredato da un’istantanea del contesto attuale nello scenario del Vecchio Continente. Subito dopo ci addentreremo nel cuore della questione in esame: la sostanziale crescita, in Europa, dei partiti di governo e il calo nei consensi, almeno stando ai sondaggi, di quelli all’opposizione. Alla luce di questa evoluzione recentissima, la questione di ricerca è la seguente: cosa è successo ai partiti populisti? Per rispondere a tale quesito, e dunque comprendere la recente performance dei partiti populisti, abbiamo impostato una selezione dei partiti europei classificati come “populisti”, sia di destra che di sinistra, raccogliendo le medie dei sondaggi per un periodo che va dal 1° marzo 2020 al 31 dicembre 2020. Una periodizzazione, questa, che conferisce diacronicità allo studio per restituirci un quadro lineare dello stato dell’arte. In altre parole, per dimostrare e identificare i particolari fattori strutturali che hanno determinato questo presunto cambiamento, ma soprattutto valutare la condizione di salute attuale di questi partiti che, almeno apparentemente, sembrano essere in crisi. Infine, per comprendere e ridefinire alcune dinamiche politiche che stanno gradualmente riconfigurando lo scenario europeo.
Partendo quindi dalla consapevolezza di quanto difficile sia indicare le precise cause del presunto declino e affievolimento della propria forza dei partiti populisti europei, si cercherà di stabilire se si tratti di un fenomeno momentaneo o di lunga durata, in quest’ultimo caso se il messaggio dei populisti, seppur momentaneamente indebolito, potrà tornare in auge con la crisi economica che sta derivando dall’emergenza e dall’accentuarsi di una frattura che ha coinvolto, a grandi linee, tutti i sistemi politici delle democrazie occidentali – mettendo così in risalto un deficit atavico nelle istituzioni politiche ormai in crisi di legittimazione e consenso. L’analisi si concentra, dunque, sul fenomeno populista declinato nel contesto attuale ma con una proiezione futura di medio-lungo periodo. Infatti, è necessario restare consapevoli che, una volta passato l’effetto di “smarrimento” legato al Covid-19, occorrerà valutare le conseguenze di questo evento, facendo particolare attenzione a non articolare, nell’immediato, diagnosi troppo affrettate e poco attente ai futuri possibili del fenomeno populista.
Il populismo: un tourbillon di definizioni
Ad oggi il populismo non possiede una definizione universale sotto la quale racchiudere il fenomeno, ma risulta essere un concetto “misto” con una storia politica anche rispettabile (Chomsky, 2018). Per questo, qui risulta di fondamentale importanza aprire una accurata e minuziosa analisi sfruttando i tanti e diversi contributi presenti già in letteratura e varcare il dibattito tra le diverse accezioni conferite a questo termine.
Dunque, la definizione di populismo è parte di uno dei dibattiti politologici più controversi, che divide e unisce diverse linee di pensiero al riguardo. Un lungo dibattito, dunque, sulla natura di populismo, da alcuni considerato come un’ideologia (Mudde, 2004, 2007; Taggart, 2000), da altri uno stile di comunicazione (Aalberg et al., 2017; Moffitt, 2016), da altri ancora una strategia politica (Weyland, 2001). La descrizione del fenomeno populista è quindi – indiscutibilmente – associabile a un concetto di rilevante complessità. Nonostante i numerosi tentativi, tuttavia, in letteratura non si è riuscito – come in parte fisiologico che sia – a fornire una definizione risolutiva e incontestabile. Il populismo rappresenta una “definizione indefinita” proprio per eccesso di definizioni (Diamanti e Lazar, 2018), tanto da essere considerato come una tra le parole più usate e meno ricche di significato perché, appunto, troppo piene di significanti contrastanti (Urbinati, 2017). Tutto ciò, come vedremo più avanti, è legato anche alla eterogeneità dei singoli contesti in cui si è sviluppato.
In alcuni casi, il termine “populista” è addirittura associato ad un insulto rivolto agli avversari politici. A tal proposito, lo studioso francese Jean Leca ha notato che quando riteniamo convincente una certa posizione, questa viene definita “popolare”, mentre quando siamo in disaccordo essa può essere invece definita “populista”. Forse soltanto un aspetto può mettere d’accordo i diversi orientamenti teorici, ovvero che il populismo attecchisce maggiormente lì dove è in atto un vero e proprio processo di spoliticizzazione – in un’epoca, la nostra, dove si è ampliato ulteriormente il fossato che separa il popolo dalla classe politica al potere (De Benoist, 2017). In contesti, dunque, dove la classe politica risulta spesso essere troppo distante dalla realtà e dalle esigenze dei cittadini, causando al contempo una sostanziale sfiducia degli elettori verso le istituzioni (Laclau, 1977). Una classe politica, d’altro canto, percepita sempre più come interessata all’immediato rispetto a progetti e programmi di medio-lungo periodo, dunque con una totale assenza di capacità nella programmazione e nella visione progettuale. Il teorico Cas Mudde afferma che il populismo è «un’ideologia che considera la società separata in due gruppi omogenei e antagonisti, cioè “il popolo puro” contro “l’élite corrotta”, e che sostiene che la politica dovrebbe essere un’espressione della volontà generale del popolo» (Mudde, 2004). Una spinta populista che inizialmente veniva catalogata con un lapidario (e piuttosto superficiale) “fuoco di paglia”. Solo con il passare del tempo ci si è resi conto dello tsunami politico che ha generato, poiché l’ondata continuava a crescere e non arrestarsi in poco tempo.
In questo quadro, è bene specificare anche che i populismi non godono nemmeno di una esclusività politica. Essi sono, infatti, tanto vicino alla destra quanto alla sinistra, e più che una “sindrome”, concetto ripreso da molti studiosi, sono riconducibili ad un “contenitore” (Mastropaolo, 2005). La caratteristica indiscutibile del populismo è proprio questo suo essere strutturato in verticale: popolo contro élite, quindi superando il tradizionale schema orizzontale destra-sinistra. È questa la frattura che più di tutte ha consentito l’ascesa dei populismi nel Vecchio Continente, una frattura quindi non più tra destra e sinistra ma tra classi popolari e classi dominanti, quest’ultime accusate di essere corrotte e, più in generale, di agire sempre contro gli interessi del popolo (Canovan, 1999). Si evince quindi, e inequivocabilmente, come le diverse definizioni del populismo siano strettamente correlate ad un costante riferimento al popolo, considerato come depositario esclusivo di determinati valori. Popolo che diventa fondamentale nella costruzione del soggetto politico e del leader di riferimento, come messo in luce da Edward Shils che fonda il populismo su due aspetti fondamentali: «la supremazia della volontà del popolo e la relazione diretta tra popolo e leadership». Con la presente ricerca non si mira a scoprire quali sono gli intrecci e le origini del populismo, né si cercherà di coniare una definizione universale. Il rischio potrebbe essere quello di impelagarsi in ciò che Berlin, nel 1967, definì il “Complesso di Cenerentola”. Secondo Berlin, il populismo può essere paragonato alla celebre scarpetta, e come nel contesto fiabesco dove ogni piede cerca di adattarsi alla calzatura, anche in ambito polito ci sono “piedi” che vi si adattano più o meno felicemente. Il principe azzurro rischia quindi di cadere in errore finché non si imbatterà nel piede che calza perfettamente, una sorta di populismo puro.
Covid e partiti populisti in Europa: una sfida senza precedenti
I dati riportati nella seguente tabella, almeno in prima battuta, potrebbero sconfessare il tema ricorrente sull’ascesa dei populismi, e cioè che il “vento populista” soffia ancora molto forte nel Vecchio Continente. Perché se è vero che i partiti populisti prosperano nella crisi, è altrettanto vero che da quanto emerge dai dati il fenomeno populista potrebbe aver perso la sua forza propulsiva. Naturalmente, in ogni paese abbiamo una situazione diversa ma, in linea generale, i dati sembrano confermare come il populismo abbia perso terreno nel contesto della pandemia. Stante la chiarezza dei dati raccolti, è comunque necessario premettere che è prematuro arrivare a conclusioni affrettate e semplicistiche sul futuro dei populismi, almeno per ora. I partiti populisti del Vecchio Continente si sono trovati ad affrontare, infatti, un evento imprevedibile e di difficile gestione, anche quando collocati all’opposizione.
In base ai dati raccolti (e mostrati nella Tabella che segue) sui partiti populisti in Europa, proveremo ora a rispondere alla domanda della ricerca: qual è lo stato di salute dei partiti populisti in Europa alla prova del Covid-19?
È utile, ora, riportare i dati che mostrano le percentuali di consenso di questi partiti nel periodo che va dal ° marzo al 31 dicembre (Tab. 1).
Nome Partito | Percentuale di partenza | Percentuale finale | Differenza | Partito di Governo | Partito di Opposizione | |||||||||||||
AUSTRIA | ||||||||||||||||||
Freedom Party of Austria |
12% |
15% | +3% | X | ||||||||||||||
BULGARIA | ||||||||||||||||||
Citizens for European Development of Bulgaria |
33% |
27% | -6% | X | ||||||||||||||
Volya+NFSB |
2% |
2% | = |
X |
||||||||||||||
Attack |
2% |
1% | -1% |
X |
||||||||||||||
CROAZIA | ||||||||||||||||||
Bridge of Independet Lists |
5% |
9% | +4% | X | ||||||||||||||
DANIMARCA | ||||||||||||||||||
Danish People’s Party |
8% |
6% | -2% |
X |
||||||||||||||
The new Right |
3% |
7% | +4% | X | ||||||||||||||
ESTONIA | ||||||||||||||||||
Conservative People’s Party of Estonia |
18% |
16% | -2% |
X |
||||||||||||||
FINLANDIA | ||||||||||||||||||
Finns Party |
22% |
21% | -1% |
X |
||||||||||||||
FRANCIA | ||||||||||||||||||
Front National |
27% |
26% | -1% |
X |
||||||||||||||
Republic Arise |
6% | 7% | +1% | X | ||||||||||||||
La France Insouimise |
12% |
11% | -1% | X | ||||||||||||||
GERMANIA | ||||||||||||||||||
Alternative of Germany |
12% |
10% | -2% | X | ||||||||||||||
The Left |
9% |
8% | -1% |
X |
||||||||||||||
GRECIA | ||||||||||||||||||
Greek Solution |
6% |
5% | -1% |
X |
||||||||||||||
European Realistic Disobedience Front |
3% |
3% | = |
X |
||||||||||||||
Syriza | 28% | 26% | -2% |
X |
||||||||||||||
Irlanda | ||||||||||||||||||
Sinn Fèin |
29% |
30% | +1% |
X |
||||||||||||||
ITALIA | ||||||||||||||||||
Lega |
30% |
24% | -6% |
X |
||||||||||||||
Forza Italia |
6% |
8% | -2% | X | ||||||||||||||
Fratelli d’Italia |
12% |
16% | +4% |
X |
||||||||||||||
Movimento 5 Stelle |
14% |
14% | = |
X |
||||||||||||||
LETTONIA | ||||||||||||||||||
Who Owns The State? |
3% |
3% | = |
X |
||||||||||||||
LITUANIA | ||||||||||||||||||
Labour Party |
8% |
8% | = |
X |
||||||||||||||
Lithuanian Centre Party |
2% |
2% | = | X | ||||||||||||||
Freedom and Justice |
5% |
4% | -1% | X | ||||||||||||||
LUSSEMBURGO | ||||||||||||||||||
Alternative Democratic Reform Party |
4% |
4% | = |
X |
||||||||||||||
MALTA | ||||||||||||||||||
Nationalist Party |
34% |
42% |
+8% |
X |
||||||||||||||
PAESI BASSI | ||||||||||||||||||
Party of Freedom |
12% |
15% | +3% |
X |
||||||||||||||
POLONIA | ||||||||||||||||||
Kukiz’15 |
2% |
3% | +1% |
X |
||||||||||||||
Pis |
43% | 35% | -8% |
X |
||||||||||||||
PORTOGALLO | ||||||||||||||||||
Chega! |
8% |
10% | +2% |
X |
||||||||||||||
REPUBBLICA CECA | ||||||||||||||||||
Action of Dissatisfield Citizens |
32% |
27% | -5% |
X |
||||||||||||||
Freedom and Direct Democracy |
5% |
8% | +3% |
X |
||||||||||||||
SLOVACCHIA | ||||||||||||||||||
Ordinary People |
26% |
13% | -13% |
X |
||||||||||||||
Slovak National Party |
2% |
1% | -1% |
X |
||||||||||||||
We Are Family |
10% | 6% | -4% |
X |
||||||||||||||
Direction- Social Democracy |
20% |
9% | -11 |
X |
||||||||||||||
SLOVENIA | ||||||||||||||||||
The Left |
10% |
13% |
+3% |
X | ||||||||||||||
List of Marjan Sarec |
19% |
14% | -5% | X | ||||||||||||||
Slovenian Democratic Party |
30% |
28% | -2% |
X |
||||||||||||||
Slovenian National Party |
4% |
3% | -1% | X | ||||||||||||||
United Left/ The Left |
10% |
12% | +2% |
X |
||||||||||||||
SPAGNA | ||||||||||||||||||
Podemos |
12% |
11% | -1% |
X |
||||||||||||||
Vox |
14% | 15% | +1% |
X |
||||||||||||||
SVEZIA | ||||||||||||||||||
Sweden Democrats |
20% |
19% | -1% | X | ||||||||||||||
SVIZZERA | ||||||||||||||||||
Swiss People’s Party |
25% |
24% | -1% |
X |
||||||||||||||
UNGHERIA | ||||||||||||||||||
Fidesz Hungarian Civic Alliance |
52% | 47% | -5% | X | ||||||||||||||
Jobbik, the Movement for a Better Hungary |
9% |
11% | +2% |
X |
||||||||||||||
Tab. 1 – Consenso dei partiti populisti europei nel periodo 1° marzo – 31 dicembre 2020. Elaborazione propria su dati politico.eu.
Questa tabella mostra lo stato di salute del populismo europeo. Il primo dato importante da sottolineare è il seguente: Germania, Francia, Italia e Spagna – che rappresentano i primi quattro Stati Membri per numero di abitanti dell’Unione Europea – non hanno avuto grossi scossoni dal punto di vista percentuale – fatto, quest’ultimo, particolarmente rilevante per comprendere la portata del fenomeno e le sue prospettive future. È altrettanto indubbio, però, che la pandemia ha innescato nei paesi europei una situazione di smarrimento cognitivo senza precedenti. Il tratto che accomuna, in questi mesi, i partiti populisti europei sta nel fatto che hanno faticato molto ad adattarsi all’emergenza e rimodulare le loro strategie politiche. Basti pensare alle numerose difficoltà avute dai leader dei partiti populisti anche nell’aspetto comunicativo, da sempre uno dei punti di forza del populismo. Più che mai in questo periodo, alla luce delle conseguenze della crisi pandemica, ci si è ritrovati a sostenere quanto sia fondamentale saper trasmettere bene il messaggio, i valori, i tratti distintivi che differenziano un certo profilo politico popolusta, rendendolo così facilmente identificabile nell’ampio teatro politico, e favorendo l’identificazione nei termini di una persona “vicina”, “quotidiana”, “raggiungibile” nella quale il pubblico possa identificarsi (Bentivegna, 2014; De Rosa, 2014; Giansante, 2014).
Uno scenario con precedenti. Note su crisi e populismo
Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, la pandemia ha portato i Paesi europei a fare i conti con una realtà assolutamente inedita, cioè la crisi del Covid-19. Proprio la natura incerta di questa crisi rappresenta l’assoluta novità rispetto alle crisi affrontate negli ultimi anni nel Vecchio Continente, come quella economica o delle migrazioni. Alla luce di quanto visto sopra, si potrebbe affermare che le forze populiste, in varia misura, in questa fase hanno perso consenso, perdendo al contempo la propria centralità in campo politico.
Sarebbe certamente di grande interesse, per futuri studi sul tema, avere un ulteriore quadro d’insieme e capire come i partiti populisti al potere e quelli all’opposizione hanno affrontato la pandemia. In questa sede, per ragioni di spazio non è stato possibile arrivare ad una analisi in profondità dei singoli casi. Tuttavia, in quanto segue si proverà a tracciare un veloce quadro dei partiti populisti e delle loro strategie nella pandemia, sia nel governo sia dall’opposizione.
Alcuni partiti all’opposizione hanno cercato di mantenere il consenso inveendo contro i governi nazionali, colpevoli di attuare politiche di contrasto inefficienti, e contro l’Unione Europea, vista come una “matrigna” incapace di programmare la gestione del virus. In questo senso sono esemplari i casi di Spagna, Svezia e Slovacchia. Il partito VOX, infatti, non solo ha accusato il governo di Madrid di “eutanasia”, ma ha minacciato di citare in giudizio l’amministrazione nazionale per “illecito criminale”. Situazione analoga in Svezia, dove il leader dell’opposizione Jimmie Åkesson ha definito la politica del governo nei confronti della pandemia “un massacro” e ha chiesto le dimissioni dell’epidemiologo di stato Anders Tegnell. Allo stesso modo il partito slovacco SNS ha dichiarato che le misure adottate dal governo centrale per contenere la diffusione del virus fossero una scusa per “schiavizzare” i cittadini.
Diversa, invece, la gestione dei partiti populisti al governo. Questi ultimi, “costretti” a gestire la crisi, hanno cercato quasi sempre di adottare delle scelte forti, avallandole alla luce del metodo scientifico, anche per diffondere l’immagine del “politico forte” ed efficiente al comando. In tale contesto si possono prendere in considerazione i casi di Ungheria, Polonia ed Estonia, ai quali Wondreys e Mudde (2020) dedicano una analisi particolareggiata. Il governo a guida Orbán ha attaccato la gestione locale del sindaco di Budapest Gergely Karácsony, mentre in Polonia il premier Morawiecki, leader del PiS, si è scagliato contro l’opposizione sostenendo che non fosse loro interesse “curarsi della pace”. Rilevante il caso dell’Estonia, dove il partito di governo EKRE, invece, ha accusato l’opposizione di aver intenzionalmente aiutato la diffusione del virus con lo scopo di sovvertire l’esito elettorale.
Tornando al ragionamento più generale, già nella seconda fase della pandemia, con l’allentamento delle misure di contrasto al Covid-19, c’è stata l’opportunità per dare nuova linfa al framework populista, con un prepotente ritorno a quelli che sono stati i classici elementi del discorso populista – sia pure, per ora, senza significativi ritorni in termini elettorali. In ogni caso, nonostante il terreno perduto, le forze populiste non sembrano avere esaurito il loro potenziale, ma anzi, nonostante le difficoltà, il populismo è riuscito a essere un attore politico rilevante anche durante la pandemia.
D’altro canto, sappiamo bene che crisi e populismo vanno a braccetto soprattutto in un contesto di “disaffacted democracies” (Putnam e Pharr, 2000), che potrebbe sfociare in una vera e propria mobilitazione di un “populismo 3.0”, favorita dalle posizioni di ulteriore disaffezione e di estraneità al funzionamento delle istituzioni democratiche e dei principali attori politici. Questa dimensione si basa sul risentimento che nasce dalle sensazioni di espropriazione della sovranità popolare e di tradimento dell’idea del popolo-sovrano (Mèny e Surel, 2000), nonché dalla lunga crisi socio-economica ulteriormente aggravata dalla crisi del Covid. Una crisi, quest’ultima, che abbraccia tutta la società e che, se ancora perdurante nel prossimo futuro, potrebbe dare linfa alla traiettoria e al discorso del populismo.
Germania | -5,6% |
Francia | -9,4% |
Italia | -9,9% |
Spagna | -12,4% |
Tabella 2 – Prodotto Interno Lordo in alcuni Stati europei, 2020. Elaborazione propria su dati Eurostat.
Questi dati segnano la gravità della recessione in atto, pur con evidenti differenze tra un Paese e l’altro. Proprio perché, numeri alla mano, ci si potrebbe avviare ad una sorta di crisi permanente, è possibile suggerire che un’Europa post-COVID-19 favorirebbe, di fatto, proprio gli attori populisti. Questi, in altre parole, avrebbero più spazio per sfruttare, politicamente, le policy di gestione della crisi – anche se alcuni partiti populisti hanno partecipato a quei processi di decisione che hanno portato alla adozione di quelle policy (come il caso della Lega nell’attuale governo Draghi in Italia). Come il coronavirus, il populismo ha dimostrato di potersi “adattare” nel tempo, e proprio questa nuova finestra potrebbe rappresentare un humus per una ulteriore stagione di crescita dei populisti.
Conclusioni
Nella pur difficile intenzione di valutare e preconizzare quale sarà il mondo post-Covid che ci attende, è possibile trarre delle conclusioni (momentanee) sul populismo dopo il Covid-19 alla luce dell’analisi svolta nei precedenti paragrafi.
La crisi che stiamo attraversando è, molto probabilmente, soltanto agli inizi. Mentre questo lavoro viene terminato arriva l’eco delle proteste di piazza, della rabbia che imperversa per una situazione di disagio economico crescente che attanaglia tutti i settori e sembra, purtroppo, non essere alle battute finali. Il vento del populismo è pronto a trarne vantaggio, e a soffiare forte su tutta Europa. Del resto, non sarebbe di certo la prima volta, se guardiamo agli sviluppi della crisi del 2008 e a come la crisi abbia dato forza a partiti populisti ed euroscettici. Ciò anche in virtù di una “politica mainstream” incapace di articolare una visione a lungo termine e proporre delle soluzioni efficaci nel tempo alle domande crescenti di sicurezza sociale e protezione. Specialmente per le fasce più deboli della popolazione, quelle più esposte alla crisi, questa condizione potrebbe comportare una spinta verso posizioni più radicali, che potranno anche condurre ad una ridefinizione del rapporto tra populismo e radicalismo politico. Il rischio, ancora, può essere di sottovalutare i diversi segnali di crisi e la perduranza di diverse minacce al sistema europeo, quali crisi sociali e ambientali. Del resto, questo sarebbe un errore simile a quello hanno fatto dai partiti tradizionali ad ogni latitudine e contesto nazionale. La convinzione, cioè, che tutto si possa risolvere con politiche obsolete che potrebbero aumentare le disuguaglianze.
L’interrogativo posto da questo lavoro è stato quello di cercare di comprendere l’impatto che il covid-19 ha avuto sui partiti populisti. Da una prima raccolta dati, emerge sì un ridimensionamento di queste forze, ma altresì – allo stato dei rapporti politici – appare prematuro preconizzarne una nuova marginalità strutturale e/o un exploit dopo la fase più critica della pandemia. D’altro canto, chi scrive nutre la convinzione che il populismo non sia alle battute finali nonostante – nella maggior parte dei Paesi Europei – abbia perso consenso dall’inizio della pandemia, talvolta anche in modo significativo. Il populismo, come prassi e discorso politico, potrà infatti vivere una nuova fase se riuscirà a “legarsi” alla crisi socio-economica e sanitaria, che è ancora lungi dall’avere una fine in tutta Europa, al contempo fornendo una interpretazione egemonica della congiuntura. e raccogliendo le domande sociali che chiederanno protezione dagli effetti negativi di queste crisi. Per ora, siamo ancora solo all’inizio di un possibile percorso evolutivo di questo tipo.
Bibliografia
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