La trasformazione digitale rientra a pieno titolo tra le grandi tendenze che nelle ultime decadi hanno influenzato in profondità la vita umana e l’esperienza del reale (Fattori, 2022). Comunicazione, circolazione e diffusione delle idee, simboli, cultura e scambi commerciali transitano oggi attraverso lo “spazio” digitale, venendone trasformati a loro volta in modo fondamentale. L’interconnessione permanente tra dispositivi (attraverso cui scorrono incessantemente flussi di dati e di testi), l’Internet delle Cose, l’intelligenza artificiale e/o gli ecosistemi digitali sono solo alcuni tra i più recenti sviluppi della “rivoluzione digitale”, correttamente denotata come l’ultima grande rivoluzione industriale (OECD, 2019) al pari del vapore e dell’elettricità nel passato. E, al pari del vapore e dell’elettricità, questa rivoluzione sta ridefinendo integralmente le dinamiche sociali e la percezione nella realtà – prima ancora della realtà. La materialità del “nodo” spazio-tempo, ad esempio, tende a mutare a causa della velocizzazione generalizzata degli scambi e delle comunicazioni, impattando concretamente sul modo di fare politica (Gerbaudo, 2019; Calise e Musella, 2019; Santaniello, 2021). Nel fiume carsico dei cambiamenti, la pandemia legata al Covid-19 ha accelerato i processi in atto favorendone una maggiore e più generale rilevanza, al punto da rendere il digitale necessario per la continuazione di molte attività sociali, dalla formazione alla comunicazione politica e istituzionale.
Data la rilevanza e la velocità delle trasformazioni in corso, restano aperte numerose domande e incognite su quali effetti futuri potranno manifestarsi – dal modo in cui viviamo i rapporti sociali, alla politica come attività umana, alle politiche pubbliche e al rapporto con le istituzioni, fino alla tenuta della democrazia più in generale. In altre parole, la non-neutralità della tecnologia, in particolare quella digitale (in cui la componente interattiva e relazionale è fondamentale), determina modificazioni socio-politiche profonde e di ampio raggio che vanno indagate attentamente. Tuttavia, spesso le trasformazioni digitali sono presentate come neutrali e positive in sé; esse, in altre parole, diventano – soprattutto nel discorso pubblico-istituzionale – un esercizio meramente tecnico, in prevalenza condotto da esperti, i cui benefici sono universalmente validi soprattutto se legati all’“economia” – cioè ai mercati. Di conseguenza, la produzione discorsiva delle istituzioni e/o dei principali attori politici è raramente analizzata provando a mostrare quali siano le scelte, gli interventi e le implicazioni connesse alla transizione digitale.
Alla luce di tali questioni, questo lavoro aspira ad analizzare le trasformazioni legate al digitale dal punto di vista delle istituzioni europee, in particolare della Commissione (cioè il “motore” dell’integrazione sovranazionale). L’analisi è condotta, diacronicamente, su alcuni documenti che hanno esposto la visione del digitale delle istituzioni in particolare nell’ultima decade. Il senso e l’obiettivo di un simile lavoro, ancorché in stato parzialmente embrionale, è capire come cambia l’approccio delle istituzioni verso questo ambito; ciò non solo in termini di regolazione dei mercati e di politiche pubbliche, ma, soprattutto e più in generale, rispetto all’auto-percezione del ruolo e della missione dell’Unione come forza globale digitale. In questa direzione, uno degli argomenti principali sollevati dal presente articolo – ed emersi dai documenti analizzati – è che, soprattutto in quest’ultima fase storica collimante con la pandemia e la guerra in Ucraina, stiamo andando incontro ad un processo di politicizzazione crescentedella sfera digitale. Uno degli esempi principali che il testo discute è quello del lemma “sovranità digitale”, apparso relativamente di recente nei documenti delle istituzioni europee e già oggetto di studio (Amoretti, 2021). Il termine sovranità è una delle parole chiave del lessico politico, in quanto tale un concetto su cui scienza e teoria politica si sono lungamente interrogate sia negli aspetti interni (agli Stati-nazione) sia per in relazione alla sfera internazionale – comprese anche alcune diramazioni lessicali recenti quali quella di “sovranismo”.
La politicizzazione del digitale non arriva in un momento qualsiasi: la pandemia prima, con la crisi delle catene di approvvigionamento globale (in particolare la componentistica legata ai microprocessori), e l’attuale guerra in Ucraina alle porte dell’Europa, con l’aumento delle rivalità tra blocchi di Stati nel Sistema Internazionale, spingono sempre di più l’Unione Europea a ripensare il suo ruolo – e la sua autonomia – a livello globale, e il digitale è uno dei principali vettori di questo ripensamento. Nell’analisi, uno dei principali documenti presi in considerazione è quello denominato “Decennio digitale europeo: 2030”, presentato dalla Commissione e reso effettivo – nel 2021 – dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Questo programma, e tutti gli atti che ne fanno da corollario, sono indicativi degli orientamenti che stanno emergendo in sede europea: esplicitarli – esplicitarne cioè le visioni di parte e di medio-lungo periodo – può aiutare, così, a capire le possibili direzioni dell’integrazione europea a partire proprio da come l’Unione concepisce il proprio ruolo globale, discutendone poi i limiti e le contraddizioni. In altre parole, gli scenari futuri. Se, come il topos vuole, le crisi sono i momenti dove l’integrazione sovranazionale compie sostanziali passi in avanti, la morsa tra emergenza pandemica e guerra alle porte dell’Unione rappresenta un momento – già in atto – di ridefinizione profonda di prerogative, strumenti e identità dell’Europa.
La transizione digitale nell’Unione Europea: una panoramica del periodo pre-pandemico
All’indomani di un’altra crisi, quella finanziaria-globale del 2008, l’Unione lanciava la prima e fondamentale iniziativa nel campo del digitale, l’Agenda Digitale Europea (ADE). L’Agenda nasceva nell’ambito della strategia Europa2020, il cui obiettivo era, allora, «uscire dalla crisi e preparare l’economia dell’UE per le sfide del prossimo decennio», con la prospettiva di rendere l’economia europea caratterizzata da «alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale» (Commissione Europea, 2010). Tralasciando, per ragioni di spazio, la realtà delle politiche di austerità che negli anni successivi hanno invece aumentato i divari sociali e le disuguaglianze, nelle speranze della Commissione l’ADE scorgeva nelle nuove tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni il volano per la trasformazione economica e la crescita, in particolare attraverso l’integrazione del mercato digitale, stimolando la competitività e incentivando le imprese a muoversi verso il digitale (in termini commerciali ma anche di automazione produttiva). Come è già possibile evincere da queste brevi righe, in sostanza il discorso delle istituzioni si concentra in prevalenza sulla dimensione del mercato interno e sui benefici legati al digitale. Vista da un’altra prospettiva, l’integrazione del mercato interno – nella consolidata tradizione “funzionalista” dell’integrazione europea – è il motore attraverso il quale innescare ulteriori allargamenti in altri settori (secondo la logica degli spillover) (Lindberg e Scheingold, 1970); mentre, in alcune teorie più recenti, sono le istituzioni europee (Commissione in primis) a “coltivare” gli spillover promuovendo, proattivamente, l’integrazione in nuovi settori (Riddervold e Rosén, 2016).
Il digitale non fa eccezione, con la Commissione in particolare a “spingere” l’integrazione nel settore con iniziative e interventi coerenti nel tempo. Un altro passo importante in questo senso è la “Strategia per il mercato unico digitale” (Commissione Europea, 2015a). In linea con le iniziative precedenti, anche in questo caso la dimensione del digitale è strettamente legata all’economia e al mercato. Nel discorso della Commissione, un mercato unico digitale è
un mercato in cui è garantita la libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali e in cui i cittadini, gli individui e le imprese possono accedere senza problemi alle attività online in condizioni di concorrenza leale e di un elevato livello di protezione dei consumatori e dei dati personali, indipendentemente dalla loro nazionalità o dal loro luogo di residenza.
In quest’ottica, i principali problemi riscontrati dalla Commissione sono la frammentazione e le barriere presenti nel mercato, che impediscono all’Europa di emergere pienamente nell’ambito dell’economia digitale. Rimuovere frammentazioni e barriere è quindi il passo principale per mettere l’Europa alla testa “dell’economia digitale globale”, rilanciando così innovazione e occupazione. Ancora nel discorso della Commissione, la strategia per ottenere questo rilancio si articola in tre assi: i) migliorare l’accesso dei consumatori e delle imprese ai beni e servizi digitali in tutta Europa; ii) creare un contesto favorevole affinché le reti e i servizi digitali possano svilupparsi (cioè, condizioni regolamentari propizie alle imprese); iii) massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale investendo in infrastrutture e tecnologie, ricerca e miglioramento della competitività delle imprese, miglioramento dei servizi pubblici. La strategia delle istituzioni, quindi, è “instaurare un clima propizio agli investimenti nelle reti digitali, nella ricerca e nell’imprenditoria innovativa: creare le giuste condizioni generali aiuterà a mobilitare gli investimenti privati e infonderà fiducia tra gli investitori”.
Come questa breve panoramica testimonia, l’ottica della Commissione in questa fase è ancora saldamente legata a un’idea neoliberale di società e di crescita, basata sostanzialmente sull’intervento pubblico finalizzato a creare un ecosistema propizio alle imprese, a loro volta intese come il principale fattore di crescita. Dalla visione europea, infine, mancano accenni più sistematici ai possibili impatti dell’automazione digitale sul lavoro e sui livelli occupazionali. O meglio, il digitale è indicato come una leva che, in modo quasi automatico, può generare crescita e quindi posti di lavoro. Al contempo, sono assenti riflessioni sull’impatto del digitale in termini di processi democratici, partecipazione, servizi – a riprova della prospettiva ancora ristretta sul tema e dell’approccio prevalentemente economicistico.
La “Bussola per il digitale 2030” e l’espansione della politica digitale
Se, come notato in chiusura del precedente paragrafo, la strategia iniziale legata alla digitalizzazione era grossomodo circoscritta alla dimensione economica, al mercato e alle imprese, dopo la pandemia, e soprattutto nell’attuale contesto della guerra in Ucraina stiamo assistendo ad una sensibile espansione del tema, che, allo stesso tempo, acquista sempre di più una più marcata dimensione strategico-politica.
Negli anni pandemici e nell’attuale fase di guerra, numerose iniziative legate alla transizione digitale ne hanno corroborato la centralità per il futuro dell’Europa: il Consiglio, il Parlamento e soprattutto la Commissione hanno infatti prodotto documenti, proposte legislative, studi e “conclusioni” finalizzate a proporre una “digitalizzazione integrale” delle società europee e, più in generale, dell’Europa come “forza digitale”. Se una disamina puntuale della cronistoria di tutte le iniziative più recenti eccede i limiti di spazio concessi, appare comunque importante una valutazione dettagliata della principale strategia licenziata dalla Commissione (2021), cioè la “Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale”. Un documento, quest’ultimo, di particolare importanza per comprendere il cambiamento del lessico legato alla transizione digitale, e, attraverso questo, il ruolo globale che l’Europa vuole ritagliarsi nel prossimo futuro; al contempo, per capirne i limiti e le contraddizioni.
L’argomento principale è che, da una lettura globale dei documenti della Commissione, appare sempre più evidente il carattere strategico e politico legato alla transizione digitale. Ad esempio, ei documenti più recenti l’accento è posto – ripetutamente – su alcuni elementi quali la vulnerabilità dello spazio digitale europeo e i pericoli connessi, in particolare la disinformazione, e la dipendenza da tecnologie non europee. In questo modo, sia permesso di notare incidentalmente, sconfessando (sia pure indirettamente) quell’indirizzo di politica economica – dominante dagli anni Ottanta e alla base della governance economica europea – che postula il rifiuto di qualsiasi forma di politica industriale e di coordinamento e intervento da parte dei poteri pubblici in favore della totale autonomia degli attori privati (si veda Wigger, 2019, per una attenta critica alla questione del riportare la produzione in Europa).
La Commissione, quindi, suggerisce che il ritardo nella capacità di produzione e circolazione di tecnologie digitali si traduca immediatamente in una debolezza che, appunto, possiamo definire “politico-strategica” – a maggior ragione in un momento, quale l’attuale, caratterizzato da una rinnovata e più conflittuale competizione internazionale. Ma altrettanto importanti sono le contromisure delineate dalla Commissione, a partire proprio dall’uso di parolepiù connotate politicamente. Ciò che la Commissione propone, infatti, è implementare politiche digitali che conferiscano “autonomia” e “responsabilità” a imprese e cittadini nella sfera digitale, «per conseguire – scrive ancora la Commissione – un futuro digitale antropocentrico, sostenibile e più prospero». Con la pandemia, infatti, le prolungate interruzione delle global supply chains (catene di approvvigionamento globale), e la dipendenza dalla componentistica non-europea, in particolare microprocessori, hanno esposto la vulnerabilità – in termini di capacità produttiva – del Continente nell’economia “globalizzata”, spingendo le istituzioni a immaginare processi di re-shoring, ossia un ritorno della produzione ad alta tecnologia sul suolo europeo. E il digitale, come è facile intuire, gioca un ruolo fondamentale su più livelli.
Torneremo su questi aspetti nelle considerazioni conclusive. Per ora, è opportuno fare luce sul complesso delle politiche disegnate dalla Commissione nella “Bussola per il digitale 2030”. In linea generale, la Commissione traccia una strategia basata su quattro pilastri, un sistema di governance e monitoraggio, un’idea di cittadinanza digitale, una serie di iniziative multinazionali e un sistema di partenariati tramite i quali rilanciare il ruolo globale dell’Unione. Questi quattro pilastri rispecchiano un approccio più “olistico”, ossia toccano sia fattori economico-produttivi (compresa la loro rilevanza strategica) sia quelli legati alla cittadinanza e alla democrazia. Più in dettaglio, questi sono:
1. Aumentare le competenze digitali nella popolazione. Anche in questo caso, i toni della Commissione acquisiscono un valore politico più generale e oltrepassano la sola dimensione del mercato. Scrive sul punto la Commissione: «se vogliamo essere noi stessi gli artefici del nostro destino e sentirci sicuri dei nostri mezzi, valori e scelte, dovremo fare affidamento su cittadini digitalmente autonomi, responsabili e competenti». In questa direzione, l’asse strategico è favorire l’istruzione digitale e le competenze digitali di base, con l’obiettivo di arrivare – nel 2030 – all’80% degli adulti in possesso delle competenze digitali di base e 20 milioni di specialisti impiegati nel settore. Ciò, ancora, per «costruire una società che possa fidarsi dei prodotti digitali e dei servizi online, capace di individuare casi di disinformazione e tentativi di frode, di proteggersi dagli attacchi informatici, dalle truffe e dalle frodi online» (corsivo aggiunto).
2. Creare infrastrutture digitali sostenibili. In questo caso, l’obiettivo è favorire la connettività (in particolare attraverso la tecnologia 5G), la microelettronica e la capacità di elaborare grandi quantità di dati, nonché investire nelle tecnologie quantistiche. Forse l’elemento più rilevante che emerge dal testo inerisce la produzione di semiconduttori, compresi i microprocessori. I microprocessori, come nota la Commissione, «sono l’elemento da cui iniziano quasi tutte le catene del valore strategiche più importanti, quali i veicoli connessi, i telefoni, l’Internet delle cose, i computer ad alte prestazioni, i sistemi di edge computing e l’intelligenza artificiale». Tuttavia, la Commissione lamenta «notevoli lacune» – per quanto riguarda fabbricazione e progettazione – che «espongono l’Europa a una serie di vulnerabilità», naturalmente esplosa durante la pandemia e i diversi lockdown che hanno interrotto numerose attività produttive. Per ovviare a questa debolezza strategica, la Commissione ha elaborato una proposta di impresa comune per coordinare le attività di ricerca sulle tecnologie dei semiconduttori e dei processori. Anche in questo caso, il tema dell’autonomia produttiva emerge in modo chiaro dai testi analizzati e, prima facie, sembra rompere con la mistica dei “mercati autoregolati” separati dall’intervento dei poteri pubblici (ma torneremo su questo punto in seguito).
3. Trasformazione digitale delle imprese. Come notato in chiusura del punto precedente, anche in questo ambito il discorso della Commissione appare improntato ad un intervento pubblico che “incoraggia”, cioè agisce proattivamente con una politica industriale (termine fino a pochi anni fa assente, se non proprio osteggiato, dalle istituzioni), le imprese a dotarsi sempre di più di tecnologie digitali. Ciò attraverso una serie di strumenti diversi: promuovendo la diffusione e l’uso di competenze digitali attraverso il mercato unico, il programma per l’Europa digitale e i programmi di coesione; promuovendo la diffusione delle tecnologie digitali per incrementare la produttività dei materiali e ridurre sia i costi degli input manifatturieri sia la vulnerabilità agli shock sul versante dell’approvvigionamento; promuovendo la creazione di start-up e producendo imprese “unicorno” (cioè aziende che crescono rapidamente e sono particolarmente innovative).
4. Digitalizzazione dei servizi pubblici. Il quarto e ultimo pilastro della strategia dell’Unione tocca la sfera pubblica e la democrazia. In particolare, entro il 2030 l’obiettivo è «garantire che la vita democratica e i servizi pubblici online siano pienamente accessibili a tutti». In particolare, ciò dovrebbe avvenire tramite procedure di voto online che – secondo la Commissione – incoraggerebbero la partecipazione. Altro elemento indicato dalla Commissione come prioritario è il cosiddetto “governo come piattaforma” (eGovernment). L’obiettivo è favorire la digitalizzazione di tutti i servizi pubblici affinché “servizi di facile uso consentiranno ai cittadini […] e alle imprese di tutte le dimensioni di influenzare in modo più efficace la direzione e i risultati delle attività del governo e di migliorare i servizi pubblici”, stimolando al contempo la produttività delle imprese.
Quest’ultimo punto è particolarmente rilevante per il tema della cittadinanza digitale, che occupa un ruolo importante nel discorso della Commissione. In sintesi, la Commissione scrive:
Come è possibile evincere da questa veloce panoramica sui quattro pilastri della trasformazione digitale indicati dalla Commissione, le istituzioni europee hanno progressivamente aperto lo spettro tematico includendo in modo più sistematico la sfera della partecipazione e della democrazia. Nelle conclusioni discuto nel merito alcuni dei limiti significativi e soprattutto delle contraddizioni di questo approccio.
L’ultimo punto riguarda la questione della governance della transizione. Anche in questo caso, la Commissione emerge come il vero deus ex machina dell’intero processo. A partire proprio dalla definizione del percorso – la “Bussola per il digitale” – e dell’inquadramento discorsivo del tema, fino alla fase di monitoraggio dello stato di attuazione delle misure per favorire la transizione. La Commissione si servirà di diversi strumenti e tecniche; innanzitutto, sono stabiliti obiettivi concreti – quantificabili – per ciascuno dei quattro pilastri indicati sopra, con un sistema di monitoraggio affidato all’indice DESI (Digital Economy and Society Index), introdotto nel 2014 per quantificare i progressi degli Stati membri nella digitalizzazione e basato su quattro dimensioni: competenze digitali/capitale umano, infrastrutture digitali, trasformazione digitale delle imprese, digitalizzazione dei servizi pubblici. Inoltre, la Commissione fornirà report regolari sullo stato di avanzamento per segnalare eventuali lacune ed emettere raccomandazioni rivolte agli Stati membri, oltre a pubblicare con cadenza annuale una “relazione sullo stato del decennio digitale europeo” – destinata al Consiglio e al Parlamento europeo – «per riferire sui progressi compiuti verso la visione per il 2030 e i corrispondenti punti cardinali, obiettivi e principi, nonché sullo stato più generale di conformità a tali obiettivi».
Il ruolo dell’Unione nel medio-lungo termine: il caso dei progetti multinazionali e dei partenariati
Nell’analisi della ridefinizione strategica dell’Unione, del suo ruolo globale e della sua funzione non più solo come “regolatore” (Majone 1994) dei mercati ma come vero e proprio “attivatore” per le imprese di tutte le dimensioni, meritano attenzione due ulteriori elementi presenti nella “Bussola Digitale”. Questi elementi, che hanno rispettivamente una rilevanza interna (all’Unione) ed esterna (internazionale), aiutano a fare luce (i) sulla ridefinizione (quantomeno in parte) della politica economica europea in merito al ruolo delle istituzioni, e (ii) soprattutto sulla pretesa globale dell’Unione. Queste due dimensioni sono i progetti multinazionali e i partenariati. Vediamo brevemente entrambi prima di passare alle conclusioni.
In merito ai progetti multinazionali, la Commissione sottolinea innanzitutto l’importanza di creare una massa critica di finanziamenti e l’“allineamento di tutti i soggetti coinvolti”. In dettaglio, i progetti digitali multinazionali – elaborati soprattutto nell’ambito del Piano di Ripresa e Resilienza – comprendono, tra gli altri, un’infrastruttura di elaborazione dati paneuropea interconnessa multifunzionale; progettazione e diffusione di processori e altri componenti elettronici a consumo ridotto affidabili di prossima generazione; diffusione paneuropea dei corridoi 5G; un’amministrazione pubblica connessa; poli europei dell’innovazione digitale. Al contempo, soprattutto in un’ottica di lungo termine e di coordinamento dei progetti, sarà la Commissione ad averne la leadership e a convogliare risorse del bilancio UE, degli Stati membri e infine dall’industria, mentre in ottica di un coordinamento. Ciò soprattutto alla luce di quelli che la Commissione definisce “una combinazione di caratteristiche diverse” per creare un “meccanismo” efficace nel far funzionare i progetti multinazionali. Queste caratteristiche sono: (i) la flessibilità e la celerità del meccanismo di governance dei progetti; (ii) standard comuni in merito a proprietà e gestione dei dati, allineamento con le priorità e i regolamenti concordati dell’UE; (iii) norme in materia di concorrenza e aiuti di Stato, e il coordinamento con i programmi e le politiche dell’UE; (vi) facilitare la messa in comune dei finanziamenti nazionali e dell’UE e la complementarità e la combinazione delle varie fonti di finanziamento, creando nel contempo incentivi per aumentare gli investimenti privati (corsivo aggiunto); (v) capacità giuridica di acquisire e gestire infrastrutture multinazionali e servizi paneuropei di interesse pubblico. Tutti questi principi sono particolarmente importanti soprattutto – come discuto nelle conclusioni – alla luce della già menzionata ridefinizione del rapporto pubblico-privato e della centralizzazione della politica economica del digitale in capo alla Commissione.
Il secondo elemento concerne i partenariati internazionali. In questo caso, la politicità del discorso si intensifica ulteriormente, soprattutto alla luce della pretesa proiezione globale dell’Unione. Infatti, la Commissione è particolarmente chiara nell’esplicitare che «il grado di digitalizzazione di un’economia o di una società si è dimostrato essere non solo un elemento fondamentale della resilienza economica e della società, ma anche un fattore di influenza globale» (in grassetto nel documento originale). E aggiunge – in un passaggio chiave – due elementi fondamentali: primo, la pandemia ha messo in luce che «la politica digitale non è mai neutra in termini di valori»; secondo, esistono «modelli in concorrenza» sul piano internazionale (naturalmente il riferimento è al modello cinese e russo), e che «l’UE ha ora l’opportunità di promuovere la sua visione positiva e antropocentrica dell’economia e della società digitale». Il passaggio, gravido di conseguenze, sarà discusso più in dettaglio nel paragrafo successivo. Per ora basti solo menzionare lo strumento principale indicato per incrementare l’influenza, cioè il “partenariato digitale internazionale”. L’Unione, con questo strumento, concepisce la sua posizione come forza di regolamentazione globale, fissando norme e parametri che possano funzionare come standard normativo internazionale basato su tre pilastri (condizioni di parità nei mercati digitali, ciberspazio sicuro, tutela dei diritti fondamentali online) e relativo a diverse questioni, tra le quali la protezione dei dati; l’intelligenza artificiale; la cybersicurezza e il contrasto alla disinformazione; la tassazione delle imprese digitali. In termini di rapporti internazionali, i partenariati si indirizzeranno verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo attraverso i “pacchetti per l’economia digitale”, ossia piani di investimenti finanziari che, attraverso il programma Team Europa[1] – un’iniziativa finalizzata a «stabilire un ruolo di primo piano sulla scena globale, proteggendo i nostri interessi e promuovendo i nostri valori – convoglieranno risorse del bilancio dell’Unione, degli Stati membri e delle imprese europee leader nel settore». Infine, la Commissione e l’alto rappresentante (in concerto con gli Stati membri) lavoreranno per «sviluppare un approccio globale e coordinato alla creazione di coalizioni digitali e alla sensibilizzazione diplomatica», provando quindi a ritagliarsi uno spazio autonomo nel settore della politica estera, un settore storicamente più limitato nelle competenze dell’Unione.
Discussione. Il ruolo del digitale e il futuro dell’Europa nella nuova competizione globale
Questo articolo ha provato a fornire un primo inquadramento dell’evoluzione del discorso delle istituzioni europee, della Commissione in primis, in merito alla questione, ormai sempre più centrale, della transizione digitale. Usando il digitale come un “prisma”, l’analisi ha al contempo messo in evidenza due macro-temi: primo, la graduale espansione e politicizzazione della sfera digitale – anche se all’interno di un ordine del discorso “a trazione tecnocratica” (Giannone, 2021) e invero tendente alla depoliticizzazione (Burnham, 2014) tipico delle istituzioni europee e segnatamente della Commissione. Secondo, il ruolo del digitale nel favorire la proiezione globale dell’Unione in un contesto di nuove competizioni tra blocchi, naturalmente intensificatisi con la guerra in Ucraina. In questo quadro, il concetto di sovranità digitale è nettamente il termine chiave del discorso e delle ambizioni politiche europee. In linea generale, come nota acutamente Francesco Amoretti (2021), «sovranità digitale è una formula che emerge dalla – ed esprime la – trasformazione di concetti a scopi eminentemente politici, non diversamente da tutte le altre innovazioni concettuali storicamente prodotte». E aggiunge: «in quanto innovazione concettuale è, allo stesso tempo, un’innovazione politica, e una realtà politica». In questo senso, l’analisi documentale ha mostrato come l’“ordine del discorso”, pur solo nell’arco di pochi anni, sia transitato da un focus quasi esclusivamente centrato sui mercati (in un’ottica neoclassica) ad una prospettiva decisamente più “politica”, in cui il digitale (e i processi di digitalizzazione) è parte integrante e fondamentale della proiezione globale dell’Unione. Leggiamo ancora dal documento “Bussola per il digitale 2030”: «L’UE lavorerà attivamente e assertivamente per promuovere la sua visione antropocentrica della digitalizzazione all’interno delle organizzazioni internazionali, in cooperazione con gli Stati membri e i partner che condividono gli stessi principi». Queste asserzioni si inseriscono nell’ambito di una più generale battaglia per la governance di Internet tra le principali potenze globali.
Come notato in precedenza, è ragionevole asserire che la guerra in Ucraina intensificherà in modo significativo gli scenari di una rinnovata competizione globale. Le rivalità internazionali tra blocchi (quello Occidentale guidato dagli USA, e il blocco alternativo guidato da Cina e Russia) aumenteranno, e, con esse, il ruolo politico di Internet e dei processi di digitalizzazione. In questo quadro, l’analisi delle trasformazioni lessicali legate alla sfera digitale ci raccontano di un processo di ridefinizione strategica in cui l’Unione – attraverso l’istituzione sovranazionale per eccellenza, la Commissione – disegna uno scenario futuro di maggiore autonomia e assertività. Non solo, il tentativo appare anche quello di tentare una battaglia egemonica legata ai modelli e ai valori europei. Se, storicamente, l’UE si è sempre proiettata come “forza civile” e di pace, oggi è difficile non notare una maggiore “assertività” – soprattutto in concomitanza con un aumento del bilancio dell’Unione (rispetto all’esercizio precedente) delle spese per difesa e sicurezza del 123 percento, mentre le risorse allocate allo European Defence Fund (che si occupa finanziare ricerca e produzione di tecnologie militari) sono aumentate del 1,256 percento (Bruno e Cozzolino, 2022).
Un ultimo punto riguarda la questione, annosa, dell’Unione e della democrazia. Non è questa la sede per esplorare una tematica complessa come quella del deficit democratico europeo. Ciò che si può dire, in conclusione, è che il tema della sovranità digitale – spia di un tentativo di guadagnare maggiore autonomia strategico-politica – non necessariamente si accompagna ad uno sviluppo della democrazia rappresentativa. Il rapporto tra democrazia e sfera digitale disegnato dalla Commissione è, nel migliore dei casi, problematico. Il “coinvolgimento” dei cittadini in quella che la Commissione definisce “democrazia aperta” avviene sempre su base individuale e “top-down”, mentre la possibilità di contribuire in modo effettivo (tramite organizzazioni collettive) alla scelta tra direzioni alternative di politiche pubbliche appare ostruita dall’inizio. I cittadini sono coinvolti quindi in modo estemporaneo, in funzione consultiva e/o con il voto digitale che appare più simile a forme (postmoderne) plebiscitarie – e quindi ad una democrazia “bonapartista” – che non ad una compiuta democrazia rappresentativa basata sul conflitto e mediazione tra interessi diversi. Così, l’unico effetto reale di questa specifica declinazione del rapporto tra digitale e demcorazia sembra quello di fornire una parvenza di democraticità a decisioni e direzioni di policy in sostanza già prese. L’impressione quindi è che la sfera digitale, più che concorrere ad una democratizzazione reale dei processi politici e decisionali, rientra pienamente in quell’approccio tecnocratico che di fatto esclude (o include molto debolmente) i cittadini europei mentre enfatizza il ruolo di esperti e agenzie (Cozzolino e Giannone 2021). Ciò, infine e come già ampiamente notato, all’interno di un contesto internazionale caratterizzato da ostilità crescenti: proprio la democrazia interna, come molte avvisaglie suggeriscono, rischia di restarne schiacciata.
Riconoscimenti
Il presente contributo è il risultato iniziale di un progetto di ricerca su Politiche Digitali e Inclusione Democratica, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo REACT EU – Programma Operativo Nazionale Ricerca e Innovazione 2014-2020.
Bibliografia
- Amoretti F., La sovranità digitale come progetto politico. Un banco di prova per l’Europa, «Comunicazionepuntodoc», n. 25, agosto-dicembre 2021.
- Bruno V., Cozzolino A., Ukraine and Europe’s defence spending, «Social Europe», 25 maggio 2022: https://socialeurope.eu/ukraine-and-europes-defence-spending.
- Burnham P., Depoliticisation: Economic crisis and political management, «Policy & politics», vol. 42, n. 2, 2014.
- Calise M., Musella F., Il principe digitale, Laterza, Roma-Bari, 2019.
- Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Un’agenda digitale europea, COM(2010)245,2010.
- Commissione Europea, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni. Strategia per il mercato unico digitale in Europa, COM(2015) 192, 2015.
- Commissione Europea, Comunicazione della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni. Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale, COM(2021) 118, 2021.
- Commissione Europea, Proposta di Decisione del parlamento europeo e del consiglio che istituisce il programma strategico per il 2030 “percorso per il decennio digitale”, COM(2021) 574, 2021a.
- Commissione Europea, Commission staff working document a digital single market strategy for europe – analysis and evidence, SWD(2015) 100, 2015b.
- Cozzolino A., Giannone D., L’expertise tra presidenzializzazione e integrazione sovranazionale. Una possibile agenda di ricerca a partire dal caso dell’Agenzia Italiana del Digitale, «Comunicazionepuntodoc», n. 25, agosto-dicembre 2021.
- Fattori A., La condizione online. Ecologie transmediali, «Futuri», vol. 17, 2022.
- Gerbaudo P., The Digital Party, Pluto Press, Londra, 2019.
- Lindberg L., Scheingold S., Europe’s Would-Be Polity, Prentice Hall, Englewood Cliffs (NJ), 1970.
- Riddervold M., Rosén G., Trick and treat: how the commission and the European Parliament exert influence in EU foreign and security policies, «Journal of European Integration», vol. 38, n. 6, 2016.
- Santaniello M., Lower the top. La sfida alle piattaforme digitali, tra sovranità statuale e saperi sociali, «Comunicazionepuntodoc», n. 25, agosto-dicembre 2021.
- Tranholm-Mikkelsen J., Neo-functionalism: obstinate or obsolete? A reappraisal in the light of the new dynamism of the EC, «Millennium: Journal of International Studies», vol. 20, n. 1, 1991.
- Wigger A., The new EU industrial policy: authoritarian neoliberal structural adjustment and the case for alternatives, «Globalizations», vol. 16, n. 3, 2019.
[1] Per una panoramica del programma rimando al sito: https://europa.eu/capacity4dev/wbt-team-europe.