Le storie sono strane e fluide, antiche quanto l’umanità. Per qualche motivo le sono familiari, come se le conoscesse già al momento della nascita. Le fiabe sembrano riguardare meno la trasformazione delle persone in altri esseri viventi che il riassorbimento, da parte di altre creature viventi, nel momento di maggior pericolo, dell’aspetto selvaggio delle persone che non è mai davvero scomparso.
Richard Powell, Il sussurro del mondo
L’homo sapiens non è il predestinato punto di arrivo in una scala che è stata fin dall’inizioprotesa verso la nostra tanto esaltata condizione. Non siamo altro che il ramo sopravvissuto di un cespuglio un tempo rigoglioso.
Stephen Jay Gould, Questa idea della vita
Spesso, durante la routine quotidiana del camminare per la città, ci ritroviamo a vivere il nostro ambiente fisico interagendo continuamente e praticando la nostra navigazione degli spazi mediatici. All’esercizio della flânerie (il bighellonare, il passeggiare, il vagare) si intrecciano le pratiche dell’interattività e dell’interazione con i mezzi virtuali. Uniformità e sicurezza sono più potenti nella personalizzazione degli spazi mediatici, che sono anche altamente mobili. Oggi, aziende, agenzie di travel management (TMC) e fornitori di viaggi usano la geolocalizzazione. Compagnie aeree, hotel, ristoranti, bar, luoghi di intrattenimento e destinazioni turistiche forniscono ai clienti informazioni specifiche per località, nonché incentivi per attrarre e gestire i viaggiatori d’affari. L’uso crescente delle tecnologie indossabili (wearable technology) inverte la preminenza dello spazio fisico sugli spazi mediatici, amplificata quando queste tecnologie vengono utilizzate negli spazi pubblici. Allo stesso tempo, tutte queste tecnologie privatizzano globalmente lo spazio dell’utente (Chambers, 1990) che così acquisisce, in quanto utente-turista, una sorta di re-territorializzazione, in virtù dell’immersione in alcuni ambienti e, come vedremo più avanti, assumendo un’altra forma di corporeità (incorporazione/dis-incorporazione), spostando l’attenzione dallo spazio fisico a quello virtuale. Con il lancio della piattaforma Google Maps, la ricerca e la visualizzazione di carte geografiche di buona parte della terra è alla portata di tutti. Google Maps diventa la prima guida turistica digitale e il suo servizio di geolocalizzazione la prima “dipendenza virtuale” che fornisce informazioni e raccomandazioni in movimento. In questo modo si rivoluziona il modo di viaggiare, di esplorare, di consumare informazioni, di vivere il mondo da parte dell’utente-turista. La tecnologia GPS (Global Positioning System) elimina il gusto ottocentesco del flâneur, il turista non si perde più e, soprattutto, fa decidere al servizio digitale cosa mangiare e cosa comprare.
Lo spett-attore ubiquo
Questa nuova modalità di praticare il “viaggiare” modifica le vecchie organizzazioni spaziali e il modo in cui sono “vissute” come “stato di natura” (Holmes, 2001). Il corpo nella rete (Caronia, 1996) fa assumere agli utenti un’altra dimensione: lo spazio viene effettivamente “conquistato” dalla produzione di nuovi spazi di questa sua ‘esistenza ubiqua’ in virtù di una ubiquità comunicazionale (Canevacci, 2014). L’ubiquità digitale ha il potere di sovrapporre dimensioni spaziali e temporali, attuando una trasformazione a livello antropologico dei modi in cui sperimentiamo anche la nostra soggettività. La continuità della comunicazione trasforma l’individuo in un ‘multividuale’ fluido che potrebbe svolgere un ruolo importante nella creazione di un mondo non antropocentrico (Canevacci, 2014).
Come cambia quindi oggi il ruolo del turista con la passione per la conoscenza e la scoperta di nuovi orizzonti? Sappiamo che il turismo di massa influisce negativamente sull’inevitabile discesa verso una “catastrofe ecologica”. Ma dall’altro lato le nuove tecnologie creano spazi “ubiqui” praticati e praticabili. In questo saggio si tratterà della “ecologia museale”, qui intesa come mantenimento dell’ambiente dell’artificiale (realtà immersive, installazioni interattive) in uno spazio, quello museale, dedicato a un processo del naturale (l’Antropocene), in cui lo spettatore (fruitore) si trova a passeggiare come un flâneur e a interagire, “partecipando”, all’interno del museo, che sempre più spesso dedica il suo interesse ai cambiamenti climatici.