Il concetto di biforcazione ha un ruolo importante nello studio di quei sistemi, naturali e sociali, che evolvono in modo non lineare e imprevedibile, sotto la spinta dell’interazione tra le parti che li compongono. Si tratta dei cosiddetti sistemi complessi, nella cui dinamica si alternano fasi di relativa stabilità e fasi caotiche prive di un ordine che regoli il comportamento o lo sviluppo. Ci si trova piuttosto in una situazione plastica e creativa che può avere esiti molti diversi tra loro.
Secondo Merry (1995), questi momenti di disordine sono importanti perché «il caos è il ricco terreno nel quale è nata la creatività… Il caos rompe le catene dell’universo deterministico e garantisce all’umanità un infinito grado di libertà nel forgiare il proprio mondo. Una miscela di ordine e caos è lo stato naturale di ogni forma di vita». Quando un sistema attraversa una fase di instabilità viene a trovarsi di fronte ad una biforcazione catastrofica: in sostanza, esso si ramifica in tante strade, corrispondenti alle molteplici direzioni che la sua evoluzione può prendere. Se a un certo punto una strada si impone sulle altre il sistema ritrova la stabilità e torna a crescere lungo il percorso che si è delineato.
Un’ipotesi importante suggerisce che le leggi della complessità siano universali, ovvero indipendenti dal tipo di sistema che viene studiato. Le regole che segnano l’andamento del clima nel tempo potrebbero non differire, ad esempio, da quelle che spiegano l’evoluzione politica di una nazione, lo sviluppo dell’economia mondiale o finanche la struttura del DNA. Quale che sia l’ambito in cui ci si ferma a pensare, la biforcazione è un snodo in cui si abbandona una situazione consolidata per seguire quella che emergerà dallo stato caotico. In tal modo essa diventa una porta che dà accesso al nuovo.
Gli scienziati sociali che studiano la dinamica delle strutture politiche ed economiche spesso si confrontano con l’esigenza di spiegare biforcazioni significative. Quale meccanismo, ad esempio, ha spostato le società rurali dal loro percorso di sviluppo segnando la svolta verso l’industrializzazione? O cosa ha provocato nella storia della Francia l’improvviso scoppiare della rivoluzione con il suo carico di stravolgimenti politici? Interrogativi del genere coinvolgono un tipo particolare di biforcazione, in cui un ramo della forbice è costituito dal “passato” rispetto al quale si determina il cambiamento. Possiamo visualizzare la situazione immaginando che la società si trovi ad un certo punto di fronte ad un bivio. Scelta una direzione, la struttura socio-politico esistente si modifica in modo irreversibile. Il vecchio assetto istituzionale decade alla stregua di un sentiero non più percorribile, mentre quello nuovo si consolida. Il futuro allora prende la forma di una direzione inedita.
È quello che succede ad esempio in Russia al termine della Prima guerra mondiale. La sconfitta subìta monta la rivolta popolare e sotto l’onda dei tumulti il paese precipita nel caos, entrando in una fase di conflitto e di confusione il cui esito non è facile da prevedere. La svolta arriva quando il partito bolscevico guidato da Lenin, che fino a pochi mesi prima costituiva semplicemente un esiguo gruppo di dissidenti, riesce a prendere il potere nel 1917 e rimane alla guida del paese per i successivi settant’anni: «La Rivoluzione russa è un esempio di biforcazione catastrofica in un sistema sociale e politico. Queste catastrofi si alternano con lunghi periodi di relativa stabilità, nei quali le perturbazioni e le fluttuazioni proprie del sistema vengono in un modo o nell’altro assorbite e neutralizzate» (Gandolfi, 1999, p. 77).
Il sociologo Mahoney (2000) ha denominato “congiunture critiche” quei momenti in cui, da un insieme di assetti istituzionali potenziali, ne emerge uno, che poi si afferma e definisce i tratti della rinnovata organizzazione. L’aspetto di criticità di queste congiunture dipende dal loro carattere di tendenziale irreversibilità: mentre prima della svolta le alternative possono essere molteplici, una volta imboccata una certa direzione diventa progressivamente più difficile tornare al punto di partenza. La Storia non può voltarsi all’indietro. Le biforcazioni hanno anzi rami vischiosi che vincolano la società al percorso selezionato. Il futuro, che da lontano sembra volatile e incerto, quando si avvicina e prende forma acquisisce rapidamente una struttura, si sedimenta, si consolida. Le nuove soluzioni evolutive diventano perciò persistenti, ed è interessante chiedersi perché.
Per rispondere a questo interrogativo, Mahoney fa riferimento al concetto di path dependence, emerso inizialmente nell’ambito della storia naturale e della biologia e poi esteso ai processi di sviluppo tecnologico, economico e istituzionale (Arthur, 1989; David, 1987; North, 1994), per identificare l’influenza che il vissuto passato di un organismo ha sul suo comportamento attuale (più recentemente il concetto è stato applicato anche alle dinamiche di crescita della conoscenza, cfr. Rizzello, 2004; Patalano, 2005 e 2007). In base a questo concetto, il comportamento di un soggetto oggi, sia esso un individuo, un’organizzazione o un’istituzione, dipende dal suo intero vissuto; in particolare, ogni evento remoto occorso al soggetto, anche se apparentemente poco significativo, rimane impresso nella sua “memoria” ed esercita un’influenza nel tempo. Un fenomeno path dependent è dunque interpretabile come processo dinamico irreversibile, i cui esiti “riassumono” la sua intera storia.
In realtà, la letteratura ha evidenziato come lungi dal riguardare solo il peso del passato la path dependence identifichi un’interessante e creativa modalità di relazione con il futuro (Patalano, 2007). In particolare, la path dependence non va confusa con la cieca e irrevocabile dipendenza dalla Storia già trascorsa perché quest’ultima si limita a definire possibili traiettorie di sviluppo (ed è qui che la dipendenza si manifesta). Poi il soggetto con le sue decisioni, o il caso, intervengono per selezionare l’una o l’altra traiettoria, oppure per alterne il corso.
Il tema è denso di implicazioni: tra tutte ha particolare rilievo per noi il fatto che la path dependence consenta di saldare insieme passato e futuro in modo non deterministico, ovvero aperto alla creatività e all’inedito. È altresì importante la rivalutazione che essa offre delle nostre radici e del loro ruolo nell’evoluzione. Il passato, ancorché essere visto come una zavorra da dimenticare o da trascinarci dietro per sempre, diventa un bagaglio di esperienze che definisce delle possibilità. Sta a noi interpretare questo bagaglio, ovvero utilizzarlo nel modo più adatto a ciò che il presente richiede.
Il discorso sul futuro, degli individui, ma anche dei sistemi sociali, procede dunque di pari passo con l’elaborazione della Storia già trascorsa e la comprensione delle opportunità che essa ci offre. Sebbene il passato, come dato di realtà sia uno e immutabile, il ricordo, e dunque il racconto, che diamo di esso possono cambiare ed evolvere nel tempo (Patalano, 2007; Schacter, 1996): l’immagine del passato si modifica, si arricchisce, focalizza l’attenzione su aspetti diversi, e, in accordo con ciò, cambiano le prospettive che essa definisce per il futuro. In prossimità di una biforcazione catastrofica scegliamo a quale immagine/interpretazione del passato affidarci e, di conseguenza, quali possibili futuri ci attendono. Poi, una volta imboccata una strada, passato e futuro si congiungono e compongono il presente: la vischiosità delle nuove soluzioni evolutive dipende anche da questo, dal fatto che pur nella loro originalità e imprevedibilità esse non emergono dal nulla ma poggiano su delle radici che si sono costituite e rafforzate nel tempo.
L’analisi di Mahoney si focalizza in particolare sull’evoluzione delle istituzioni e su alcuni meccanismi generali che preservano la “riproduzione istituzionale”, ovvero garantiscono che la medesima cornice istituzionale possa auto-rafforzarsi nel tempo evitando cambiamenti continui. In primo luogo, una volta orientatasi a un certo tipo di sviluppo, per esempio industriale, la società dovrebbe sobbarcarsi costi economici e umani generalmente troppo alti se volesse tornare indietro. La nuova struttura organizzativa può risultare più funzionale rispetto a quella precedente, se garantisce maggiori e più soddisfacenti livelli di sviluppo. Può inoltre accadere che esistano gruppi sociali con più potere di altri che traggono beneficio, e quindi sostengono, il nuovo assetto politico: è quello che succede, ad esempio, nelle fasi storiche in cui si affermano regimi dittatoriali o élite non democratiche.
Un ulteriore meccanismo di vischiosità sembra agire poi nella mente dei soggetti che prendono parte ai cambiamenti e partecipano al loro esito. La sopravvivenza di una certa struttura sociale è influenzata infatti dalla legittimità che essa assume agli occhi dei cittadini. Accettare determinati ruoli o gerarchie, come anche sistemi politici, farne parte, farli propri, strutturare la propria esistenza come se fossero immutabili, darne per scontato la longevità, non percepirne le incrinature, contribuisce a sostenerli. È un problema di rappresentazione mentale. Rappresentazioni mentali vischiose aiutano a ridurre l’incertezza e rendono la struttura sociale più stabile.
La mente ha una capacità limitata di cogliere le alternative rispetto a ciò che già esiste e quindi di intravedere la possibilità di nuove biforcazioni. Piuttosto essa sente e assimila il mondo come se fosse destinato a rimanere così per sempre. Il cittadino della repubblica di Weimar probabilmente non immaginava la guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco. Così come chi è nato durante un conflitto mondiale non poteva presentire il sapore della pace. La persistenza degli esiti di una biforcazione dipende, in questo caso, dalla aspettativa di solidità che li investe, anche quando essa rimane pienamente inconsapevole.
Eppure la vischiosità non è un risultato universale. Nel Giardino dei sentieri che si biforcano, del 1944, Jorge Luis Borges ci parla dell’autore di un libro infinito. Si tratta di un libro che non può finire perché non accetta la logica della biforcazione. Quando nella storia si incontra un bivio, viene sì scelta una strada, ma poi il protagonista sistematicamente si guarda indietro, ritorna al punto iniziale e cambia direzione. Poiché questa dinamica si ripete sempre uguale, nessuna svolta è davvero vissuta come tale, se non in senso temporaneo. Un futuro da riconoscere come tale, da condividere, in questo libro non c’è perché la narrazione non prende mai una linea di sviluppo definita ma cresce in tutte le direzioni come le strade di un labirinto: «In tutte le opere narrative, ogni volta che s’è di fronte a diverse alternative ci si decide per una e si eliminano le altre; in quella del quasi inestricabile Ts’ui Pen, ci si decide – simultaneamente – per tutte. Si creano, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano. Di qui le contraddizioni del romanzo» (Borges, 1961, p. 88).
Viene da chiedersi se anche gli uomini possano essere, in questo senso, dei labirinti. Quella dei nostri neuroni, per esempio, può essere presentata come una storia costellata di biforcazioni. Gli assoni e i dendriti di ciascun neurone si modificano costantemente nel tempo, stabilendo nuovi collegamenti e perdendo quelli precedenti (Hayek, 1952). Il lavoro di revisione del patrimonio di connessioni procede attraverso momenti di ramificazione e di potatura, che accrescono e riducono i legami sinaptici durante tutta la vita del neurone, così come le stagioni infoltiscono o spogliano la chioma di un albero. Sistematicamente si ripropone la scelta tra quale ramo seguire e quale abbandonare.
È particolarmente interessante studiare gli effetti di questo fenomeno nei mesi che seguono la nascita. Ogni persona viene al mondo con numero di ramificazioni ben superiore a quello di cui ha bisogno che poi in gran parte decadono nei primi mesi di vita, attraverso un processo noto come “potatura neuronale” (Wesson, 2005). Le sinapsi sovrabbondanti hanno un importante significato potenziale, perché garantiscono al nostro cervello di potersi adattare ad infinite situazioni, consentendo al soggetto di sopravvivere negli ambienti più vari. Possiamo pensare, per analogia, che sia come possedere un biglietto per tutti i mondi possibili. La possibilità di legarsi ad una molteplicità di ecosistemi appare costitutiva della nostra specie, biologicamente in grado di accettare condizioni di vita profondamente diversificate. Siamo in qualche modo congegnati per sopravvivere nella foresta equatoriale così come nella giungla urbana, nel deserto come tra i ghiacci. È possibile che il peregrinare dei grandi viaggiatori testimoni il desiderio di ripristinare un contatto con questa possibilità originaria, che al momento della nascita di fatto inizia ad evaporare gradualmente: per ciascuno di noi il futuro non si svolgerà in tutti gli scenari possibili, perché sarà per lo più uno a prevalere sugli altri.
Attraverso l’esperienza della nascita si entra così in relazione con quel doppio significato di perdita e di acquisizione tipico delle biforcazioni che prende corpo nella rinuncia ad una possibilità per l’altra o, in questo caso, infinite altre. In sintonia con il libro di Borges, serbiamo dentro di noi un labirinto potenziale che si fa “percorso” nel contatto con il mondo. Nel corso del successivo sviluppo dell’individuo poi, l’apprendimento genera nuovi punti di svolta, che si realizzano attraverso meccanismi di ulteriore ramificazione e potatura dei legami sinaptici sotto l’influsso delle stimolazioni provenienti dall’ambiente. Le esperienze che viviamo fanno crescere un ramo, o l’altro. Quelle che ripetendosi stimolano i neuroni in modo ricorrente producono più rami e più foglie.
La domanda è a questo punto, se il comportamento assunto di fronte alle biforcazioni non riveli, più in profondità, la modalità di rapporto che abbiamo instaurato con l’esistenza. A ben pensarci, lo scrittore di cui parla Borges non ha problemi con le scelte bensì con le separazioni. È infatti in grado di propendere per una certa strada e di imboccarla, salvo poi il desiderio urgente di tornare indietro e sondare anche l’altra possibilità. Possiamo immaginarlo mentre si volta e ritorna. Possiamo sentire il suo stato interiore tormentato dal dubbio di un errore, forse di aver preso la strada sbagliata. Possiamo anche udire il suo intimo che si ribella all’idea della perdita, quel non riuscire ad accettare di avere scelto un’alternativa e quindi di aver rinunciato all’altra. Per di più nella sua mente a biforcarsi in modo lacerante è il criterio di valutazione. Mentre la strada prescelta, ora che è la propria strada, sembra anche una strada qualsiasi, quella sconosciuta, quella ignota, diventa una strada ideale. Ricreata a piacimento dalla fantasia che trasforma lo spazio “non percorso” in uno spazio che si attaglia a qualsiasi desiderio. Il protagonista abbandona il proprio sentiero in vista di quello, ormai mitico, sul quale pure potrebbe trovarsi.
Riflettendoci bene, si tratta di un meccanismo psicologico antitetico rispetto a quello che agisce nella vita vissuta e che dà forma a situazioni fondamentalmente vischiose. Gli esiti della Storia, nella realtà, vengono investiti da un’aspettativa di persistenza e di valore, mentre le alternative che sono state scartate si allontanano dalla memoria e perdono di consistenza. Non si verifica dunque quel processo di idealizzazione dell’ignoto, che incastra Ts’ui Pen, e che si alimenta di fantasie sulfuree sulle possibilità perdute. Al contrario, si dà significato alla strada che è stata scelta, si è fatta asfalto, può essere concretamente percorsa. Essa prende corpo nella mente degli individui, viene rappresentata, interpretata, legittimata. Il futuro, prima ignoto, prima lontano, gradualmente assume le sembianze del presente, perde il carattere incerto della fantasia e conquista la concretezza del possibile.
Il racconto di Borges però ci aiuta a fare il punto sui due rami della questione tra cui dobbiamo destreggiarci come individui e come soggetti sociali. Mettere radici nella realtà accettandone la finitezza e i limiti. Ragionando sul nostro passato che può diventare una risorsa, se elaborato. Comprendendo che non possiamo avvicinarci al futuro se non riusciamo ad ereditare la nostra storia e ad appropriarcene. Oppure, rincorrere quelle molteplici possibilità che non conosciamo e proprio per questo possiamo idealizzare come più ci piace, che ci sembrano tutte belle, tutte irrinunciabili. Che non tengono conto di chi siamo diventati nel corso del tempo, ma ci appaiono come tutte accessibili, tutte a nostra disposizione, nessuna più rappresentativa dell’altra per noi.
Le biforcazioni costellano la nostra strada verso il futuro. Esse sono rappresentabili come snodi tra più rami. Per decidere dove andare possiamo seguire almeno due strategie. Scegliere a caso, come se sorteggiassimo. Può andarci anche bene lì per lì, ma di fatto questa strategia ci priva della possibilità di partecipare, di far parte dei fatti che ci riguardano o ci riguarderanno. Oppure possiamo pensare. La riflessione riguarda entrambe le direzioni tra cui la biforcazione si pone: riguarda il passato, che è uno, ma può essere letto e ricordato in tanti modi; e riguarda il futuro che non è già lì ad aspettarci, fabbricato da qualcun altro per noi, ma costituisce ancora un’impresa tutta da compiere.
La possibilità, che abbiamo, di pensare, ci rende in una certa misura liberi dalla Storia, perché ci offre l’opportunità di cambiare strada e in questo senso rende il futuro genuinamente aperto. Affinché però questa opportunità venga colta, i requisiti necessari sono almeno due. Che noi esseri umani ci assumiamo la responsabilità di pensare, al passato, come al futuro. E che dopo aver pensato ci assumiamo poi la responsabilità di scegliere. Una strada e non un’altra. Rinunciando a quella rappresentazione di noi, in fondo un po’ onnipotente, dove ogni percorso ci sembra desiderabile, dove ogni opzione rimane per sempre accessibile, proprio come accade al personaggio immaginario di Borges. La possibilità di costruire creativamente il futuro, facendoci carico delle conseguenze che ciascun progetto sempre comporta, ci invita a scegliere.
Per approfondire:
- Arthur B.W., Competing technologies, increasing returns and lock-in by historical events, in “Economic Journal” vol. 99, 1989.
- Borges J.L., Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, Einaudi, Torino, 1961.
- David P., Path-dependence: Putting the past into the future of economics, Institute for Mathematical Studies in the Social Sciences Technical Report 533, Stanford University, Stanford, 1987.
- Gandolfi A., Formicai, imperi, cervelli. Un’introduzione alla scienza della complessità, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.
- Hayek F.A., The Sensory Order. An Inquiry into the Foundations of Theoretical Psychology, Routledge, Londra, 1952.
- Mahoney J., Path dependence in historical sociology, in “Theory and Society”, n. 29, 2000.
- Merry U., Coping with uncertainty, Praeger, Westport, 1995.
- North D. C., Economic performance through time, in “American Economic Review”, vol. 84 n. 3, 1994.
- Patalano R., La mente economica. Immagini e comportamenti di mercato, Laterza, Roma-Bari, 2005.
- Patalano R., Mind-dependence. The past in the grip of the present, in “Journal of Bioeconomics”, vol. 9, 2007.
- Rizzello S., Knowledge as a path-dependence process, in “Journal of Bioeconomics”, vol. 6, 2004.
- Schacter D.L., Searching for memory. The brain, the mind, and the past, Basic Books, New York, 1996.
- Wesson, K.A., Early brain development and learning, part one, 2005, www.sciencemaster.com/columns/wesson.