La crescita demografica globale è stata additata come una minaccia da gran parte dei “futurologi” o degli “analisti di scenario” (se si preferisce un termine più tecnico). Basti pensare alle conclusioni alle quali era giunto il Club di Roma nel 1972, nel famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo (Meadows et al., 1972). In estrema sintesi, il paradigma dominante del pensiero prospettico è che nei prossimi cento anni, in un momento imprecisato, saranno raggiunti i limiti dello sviluppo, qualora continui inalterato l’attuale tasso di crescita della popolazione, unitamente all’aumento dell’industrializzazione, dello sfruttamento delle risorse e dell’inquinamento. Il corollario di questa visione è che solo una modifica dei tassi di sviluppo, nonché la ricerca attiva di uno stato di equilibrio attraverso politiche pubbliche, potrebbe assicurare la stabilità economica ed ecologica del pianeta anche nel futuro remoto. È il concetto, spesso ripetuto, di “sviluppo sostenibile”. Gli studi del Club di Roma sono stati successivamente approfonditi con nuove tecniche di ricerca e, trent’anni dopo il primo rapporto, nel 2004, ne è stata pubblicata una versione aggiornata intitolata Limits to Growth: The 30-Year Update (la versione italiana è apparsa nel 2006 col titolo I nuovi limiti dello sviluppo). Il secondo rapporto non fa che riconfermare le previsioni allarmistiche del primo, pur ricalcolando con maggiore precisione le stime a riguardo dell’esaurimento delle risorse.
Il paradigma dominante è stato sovente criticato e sfidato con analisi di scenario ben più ottimistiche. Basti pensare alle prospettive del movimento transumanista. Inoltre, lo studio dei trend può colorarsi di significati diversi, a seconda che si assuma un punto di vista regionale o planetario. Si può facilmente constatare che oggi, nei paesi cosiddetti avanzati, ossia quelli che utilizzano più risorse, in realtà la popolazione è in fase di contrazione. In altre parole, ci sono paesi – e tra questi l’Italia – che rischiano il collasso economico o addirittura la scomparsa a causa dell’andamento negativo del trend demografico, tanto che i governi stanno mettendo in campo politiche di sostegno alla natalità. Se invece si guarda la questione da un punto di vista globale, la tendenza non è cambiata affatto. La specie umana continua a moltiplicarsi a ritmi molto sostenuti.
Tutt’al più, si può prevedere la contrazione di certe etnie (tra queste quella europea o caucasica) sommerse dall’ondata di migrazioni bibliche dall’Africa e dall’Asia, osservabile da qualche decennio. Per alcuni si tratta di un inaccettabile “suicidio etnico” dalle popolazioni che hanno fondato la civiltà moderna. Un suicidio dagli esiti imprevedibili sulla civiltà planetaria stessa, dal momento che la nomocrazia e la concezione scientifica del mondo sono visti come il frutto più maturo della civiltà occidentale. Per altri si tratta invece di un fisiologico e persino salutare ricambio, dato che l’etnia caucasica o la “razza bianca” – per usare un’espressione ormai in disuso – sarebbe all’origine del degrado ambientale e dei pericoli esistenziali del pianeta, in quanto portatrice di una cultura razionalistica orientata allo sfruttamento della natura della quale non ci si dovrebbe affatto vantare. Non entreremo qui nel dibattito, su chi abbia torto o ragione. Ci limitiamo a osservare che entrambe le posizioni, pur diametralmente opposte nelle valutazioni, partono da un medesimo postulato “razzista”, ovvero accettano l’idea che vi sia un legame profondo tra cultura e sostrato biologico.
La questione dell’incremento demografico può, però, essere vista in una luce totalmente diversa. Una luce che non esitiamo a definire “mistica”. Una luce che si irradia non appena apriamo una finestra sulla visione del mondo di Pierre Teilhard de Chardin. Si tratta di un’immagine del futuro non catastrofista, che indica nella crescita demografica esponenziale un processo fondamentalmente positivo. Tale proiezione diventa accessibile al grande pubblico due decenni prima di quella del Club di Roma e si basa su una metodologia completamente diversa. Si tratta di speculazioni che scaturiscono da uno sguardo olistico su milioni di anni di evoluzione dell’universo, della vita, dell’uomo, del pensiero. Speculazioni che, per ammissione dello stesso Teilhard, nelle punte più audaci, possono apparire agli specialisti ben poco scientifiche e finanche piuttosto eccentriche, ma che pare doveroso mettere vicino alle altre nel dibattito, se non altro per la grande influenza che questo personaggio ha esercitato direttamente o indirettamente sulla cultura contemporanea. Chiariamo che noi stessi ci poniamo nei confronti delle teorie dello studioso francese nello spirito della storia delle idee. Detto altrimenti, non stiamo proponendo un endorsement delle sue idee, ma un contributo esegetico.