Le ondate migratorie sono un fenomeno di carattere globale che tocca ogni realtà nazionale, a prescindere del carattere continentale o insulare del punto di arrivo. Non si tratta solo di movimenti diretti verso i cosiddetti “nord” del mondo, ma anche di flussi interni a determinate aree geografiche che delineano dinamiche “sud-nord” e “sud-sud” contemporaneamente e nello stesso contesto geografico; dinamiche che pongono nuove problematiche e che richiedono risposte adeguate (Cagiano de Acevedo, 2007).
Riuscire a comprendere i fenomeni migratori costituisce una delle questioni più importanti del nostro tempo (Mazzei, 2012); non solo per le ricadute che tali fenomeni possono avere nei contesti nazionali dove si verificano ma, soprattutto, perché rappresentano una delle maggiori sfide che le città del mondo si troveranno ad affrontare: forme di accoglienza e integrazione, impatto sociale-urbano, mercato del lavoro, scuola (Caponio, 2006). In questo senso, una riflessione sulle trasformazioni indotte dalle ondate migratorie si rende necessaria per abbordare le molteplici tematiche provocate dalla consolidata presenza degli stranieri nel territorio nazionale (Russo Krauss, 2005).
Le migrazioni internazionali hanno cominciato a interessare l’Italia a partire degli anni Settanta del secolo scorso, producendo un’inversione di tendenza che ha trasformato il paese da esportatore di manodopera in punto di approdo, in luogo di immigrazione. Tra le regioni del sud, la Campania è stata quella maggiormente interessata da detti fenomeni; essi sono diventati via via meno episodici e sempre più capaci di incidere in modo stabile sull’assetto del territorio (Pugliese, 1997).
Gli stranieri hanno dovuto compiere sforzi notevoli per conseguire un radicamento stabile nelle regioni del Mezzogiorno, soprattutto in questi ultimi anni, segnati dalla crisi economico-finanziaria (Franzini, 2012) e caratterizzati da un arretramento del dibattito nazionale sulle politiche di sviluppo riguardanti il Sud. Insieme ai cittadini italiani delle regioni meridionali gli stranieri si sono trovati ad affrontare gravi questioni come quelle legate alla criminalità organizzata, alla mala sanità, alle amministrazioni locali malgovernate e, quindi, ad un scarsa fruizione di diritti e di servizi; inoltre, gli stranieri hanno assistito al sedimentarsi di un senso di insicurezza nei cittadini del paese ospitante il quale stenta a dileguarsi.
Tutto questo in un contesto di de-territorializazzione dei confini a livello sovranazionale, a cui ha corrisposto uno di ri-territorializzazione in ambito nazionale. Se l’Europa costituisce il punto di riferimento fondamentale per ogni ambito territoriale nazionale europeo – soprattutto nell’attuale contesto dominato dalle logiche della globalizzazione – è altrettanto vero che il progetto stesso di Europa attraversa un momento difficile; in parte legato alla sua dimensione di tipo duale sulla quale hanno facile gioco le spinte disgregatrici prodotte da visioni localistiche e fondate sulla nostalgia delle piccole patrie. Un atteggiamento, quest’ultimo, ricorrente in ambiti territoriali locali il cui sviluppo si basava su consolidate posizioni in settori chiave e ora sempre più esposti alla competizione globale. Si devono, quindi, individuare nuovi territori, nuovi spazi per la realizzazione di politiche territoriali volte a migliorare la fruibilità dei servizi e dei diritti; e investire in nuovi settori e in nuove risorse, rappresentate anche dagli stranieri stabilitisi nel territorio nazionale.
Il fenomeno migratorio nel Sud Italia
I flussi migratori, da qualsiasi parte del mondo essi provengono, provocano grandi cambiamenti nel territorio degli Stati ospitanti. L’impatto di tali flussi è evidente soprattutto per le trasformazioni che producono nel paesaggio urbano: le grandi città del Sud sono impensabili senza i segni impressi dall’arrivo degli stranieri. Da questo punto di vista le capitali delle regioni del Mezzogiorno non sono tanto diverse da altre città europee; si pensi alla zona della Stazione centrale di Napoli o al centro di Palermo dove diversi mondi si incontrano, creando un nuovo e diverso contesto geografico, estremamente variegato e composto da diverse nazionalità e etnie.
Le tracce delle migrazioni internazionali sono anche evidenti se si guarda oltre i capoluoghi regionali; basti pensare al Comune di Riace, o a quello di San Giuseppe Vesuviano per capire l’ampiezza del fenomeno che denota un cambiamento in atto; una trasformazione progressiva del profilo socio-culturale ed economico che tocca tutte le regioni del Mezzogiorno, non più luoghi di passaggio verso altre regioni ma mete di arrivo, luoghi di sedentarizzazione per molti migranti.
I primi arrivi di immigranti nel Sud Italia risalgono, come accennato, alla fine degli anni Settanta; gli stranieri provenivano da diversi nazioni e si poteva osservare una forte ma episodica presenza di nord-africani legata ad un progetto migratorio di natura stagionale e anche al commercio ambulante nei periodi estivi (Amato, 2012). Questi primi fenomeni evidenziavano un carattere decisamente temporaneo e l’assenza di strategie di lungo periodo; un tipo di immigrazione che vedeva nelle regioni del Sud soltanto un ripiego di carattere transitorio, una tappa, a volte obbligatoria, soprattutto verso altre mete dell’Europa come Francia e Germania (Melotti e Petilli, 1993).
Alla fine degli anni Settanta il quadro dell’immigrazione cambia e si arricchisce in quanto la presenza straniera aumenta grazie all’adozione di scelte di lungo periodo; infatti, si registrano i primi ricongiungimenti familiari e l’incremento della mano d’opera straniera in attività lavorative più stabili. Ma è nella decade successiva che il fenomeno migratorio presenta contorni più definiti; infatti, risalgono a questo periodo le prime stime sulla presenza straniera nelle aree urbane del Mezzogiorno contenute nel XII censimento generale della popolazione che evidenziano l’incremento delle presenze, il progressivo radicamento dei nuclei familiari e l’apertura di nuovi fronti di provenienza (Censis, 2004). I dati evidenziano, inoltre, l’emergere di una forte presenza clandestina impiegata prevalentemente nell’edilizia, nel commercio, nei servizi di base e nei lavori connessi al settore agricolo; quest’ultimo spia di un nuovo fenomeno, quello di un flusso verso ambienti rurali ai margini dell’area urbana (Caritas, 2004). In linea di massima l’immigrazione degli anni Ottanta è formata, oltre che da gruppi migranti consolidati dell’Asia e dell’Africa, anche da nuovi migranti provenienti dall’America Latina soprattutto dal Perù e dalla Repubblica Dominicana.
L’impatto dei provvedimenti di regolarizzazione
Con l’adozione dei primi provvedimenti in materia, da parte del legislatore nazionale, si viene a delineare un quadro nuovo che fa emergere una diversa immagine del Mezzogiorno come bacino d’immigrazione.
La regolarizzazione della posizione giuridica di molti stranieri, grazie alla prima sanatoria, avviata con la L. n. 943/86, ha permesso una valutazione più certa della consistenza del fenomeno migratorio. Delle regioni meridionali, sotto questo profilo, la Campania si veniva a trovare fra le cinque prime regioni italiane per volume di domande, pari al 9% di tutte quelle accettate nel territorio nazionale. A questo dato, tuttavia, si doveva affiancare un altro, quello del frequente trasferimento di una parte di coloro che avevano ottenuto la regolarizzazione – in particolari gli africani – verso le medie e grande città del Nord (Amato, 2012); prova delle difficoltà lavorative che gli stranieri incontravano nella regione, come nel Sud in generale.
La L. n. 943/86, e l’effetto regolarizzante ad essa connesso, ha fatto emergere il fenomeno migratorio in tutta la sua complessità: non più percepito come una questione locale e di colorito esotico, ma come vera e propria emergenza sociale di carattere strutturale. Ci si rese conto, inoltre, delle difficoltà dei migranti a trovare spazio nell’ambito della legalità e anche della condizione degradante in cui vivevano alcuni di tali gruppi (Caritas 2004).
Gli aspetti più degenerativi del fenomeno erano dati dalle nuove forme di schiavitù in ambito agricolo, come in Puglia e in Calabria; oppure l’attrazione nella sfera d’influenza della criminalità organizzata di gruppi di stranieri poi impiegati nei circuiti della droga e della prostituzione, come si era verificato in Campania (Ferraris, 2012).
Con la c.d. seconda sanatoria, attuata dalla L. n. 39/90, questo complesso quadro migratorio veniva delineato ancora in maniera più nitida; e alle analisi che facevano delle regioni del Sud un luogo di mero transito si iniziano a contrapporre studi basati sui nuovi dati acquisiti, come l’aumento costante del numero dei migranti e le loro forme di radicamento. Inoltre, la seconda sanatoria confermava il trend in crescita della Campania nella quale si registrano oltre 16.000 stranieri extracomunitari, numeri che la collocavano come la quarta regione italiana per numero di richieste.
L’adozione della nuova normativa nazionale in materia di regolarizzazioni, la terza sanatoria, attuata con il D.lgs. n. 489/95, posizionava la regione al terzo posto nel territorio nazionale, dopo il Lazio e la Lombardia; infatti, in Campania si registrarono, non solo procedimenti amministrativi volti al rilascio del primo permesso di soggiorno provenienti da stranieri extracomunitari, ma anche la presentazione di di 29.000 domande di regolarizzazione.
La conferma di questa linea di tendenza nella regione emerse chiaramente con la L. n. 40/98, la c.d. Turco-Napolitano, con la quale si registrano regolarizzazioni che in percentuale equivalgono al 7,4% del totale nazionale, a conferma della sempre crescente presenza straniera nel territorio campano. Nelle altre regioni le cifre erano minori, ma toccavano i picchi abituali in corrispondenza dell’adozione di provvedimenti nazionali di regolarizzazione (Barbagli et al., 2004).
Questa tendenza, a partire del Duemila, ha conosciuto un rallentamento; ma ciò non mette in dubbio un dato di fatto, ossia che le regioni del Sud costituiscono luoghi di radicamento di fenomeni migratori, e non semplici territori di transito. I successivi valori registrati con l’adozione del provvedimento più restrittivo, la c.d. Bossi-Fini, aiutano a delineare una mappatura più precisa per ciò che concerne le traiettorie dell’immigrazione, soprattutto di quelle dirette verso le regioni settentrionali che costituiscono ancora per molti gruppi migranti una meta di arrivo (Artoni, 2005; Caritas, 2004).
Nel primo decennio del Duemila si conferma questo trend (Censimento 2011) e si assiste, non solo ad un assestamento dell’andamento del numero di richieste di rilascio dei permessi di soggiorno, ma anche ad un ridisegno della composizione straniera nelle regioni meridionali. I gruppi nazionali provenienti dall’America Latina non sono tra i più numerosi nel Sud d’Italia; e tra quelli che contano con le più alte percentuali vi sono il Brasile, il Venezuela e la Repubblica Domenicana.
Migranti e mondo del lavoro
Gli stranieri migranti delle regioni del Sud si inseriscono nel mondo del lavoro seguendo logiche che si riscontrano nel resto d’Italia, come la prevalenza di prestazione non qualificate e fortemente legate al sistema dell’economia informale; quest’ambito lavorativo vede, inoltre, una forte presenza anche di lavoratori nazionali. La mano d’opera stagionale è quasi interamente assorbita dai settori dell’agricoltura e del turismo, data la predisposizione degli stranieri ad accettare compensi ridotti, mobilità sul territorio e mansioni e turni molto faticosi.
È a partire dalla fine degli anni Novanta che l’attività imprenditoriale dei migranti ha sperimentato un nuovo dinamismo; come in altre regioni di Italia, si può evidenziare un dato di partenza, quello dell’attività di assistenza domestica – con una composizione di genere che vede una prevalenza femminile – fino a registrare un aumento di stranieri impegnati in attività autonome alle quali ha corrisposto una maggiore stabilizzazione nella realtà di approdo.
Le attività individuali e temporali prestate, in un primo momento, quasi esclusivamente da gruppi provenienti dall’Asia e dall’Africa sono state, successivamente, svolte da lavoratori e piccoli imprenditori provenienti dall’America Latina, soprattutto in Campania (Amato e Coppola, 2009).
I lavoratori di questo comparto, a differenza di quelli impegnati in altre attività, oltre alla maggiore visibilità sono anche quelli più stanziali, proprio per il carattere continuo delle attività da loro svolte; inoltre, gli operatori di questo settore sono quelli che maggiormente avviano importanti processi di riproduzione sociale i quali vanno a incidere con diverso grado di intensità nel tessuto dei luoghi di radicamento; si pensi, ad esempio, alle forme di associazionismo di matrice comunitaria, al ritrovo in luoghi specifici nel contesto di riferimento, all’uso di determinati spazi pubblici come punto di ritrovo, ecc.
Cittadini e gruppi migranti nazionali: i popoli indigeni
I dati del Dossier Statistico Immigrazione 2015 ci indicano che, di tutte le regioni del Mezzogiorno, solo la Campania ospita una quota significativa di stranieri provenienti dall’America Latina, con un quasi 5% della collettività straniera; forte è la presenza nel capoluogo, come nelle provincie di Napoli e di Caserta (Rossi, 2011). In altre regioni come Puglia o Calabria, la presenza latinoamericana risulta numericamente di lunga inferiore rispetto a gruppi stranieri minori. Ciò di cui non si possiede informazioni statistiche sono, invece, altri gruppi migranti, a volte di carattere nazionale e, a volte, che trascendono i confini di uno Stato dell’America Latina.
La questione è venuta alla luce solo in tempi recenti, quando alcuni Paesi del continente hanno iniziato ad adottare norme a tutela delle etnie e popoli presenti nel territorio nazionale; La Bolivia e l’Ecuador hanno addirittura costituzionalizzato la nozione di Popolo indigeno contenuta nella Dichiarazione dei Popoli indigeni dell’Assemblea delle Nazioni Unite adottata il 2007. Occorre quindi fare una differenza tra i cittadini che appartengono ad uno di questi gruppi e quelli che non ne fanno parte; il dato rilevante è che, a differenza del concetto di minoranza, con il quale si indicano in Europa realtà etnico-linguistiche numericamente inferiori alla popolazione nazionale (Cataldi, 2006) il concetto di popolo indigeno non fa riferimento al dato numerico, ma al rapporto ancestrale intrattenuto col territorio da parte del gruppo umano differenziato (Herman Rodriguez, 2013).
Il fenomeno più rilevante ai nostri fini riguarda i movimenti migratori degli abitanti di Otavalo, in Ecuador; infatti, i cittadini di tale Cantone sono noti per la loro presenza globalizzata, essendo presenti in ogni regione del mondo e fortemente attivi nel mercato di scambio internazionale (Palmisano, 2006). In Italia il popolo indigeno di Otavalo ha messo radici nei primi anni Novanta e attualmente è presente soprattutto nelle regionali settentrionali della penisola; tuttavia, un’importante enclave la si può riscontrare in Sicilia.
Nell’isola i cittadini dell’Ecuador non appartenenti a tale etnia hanno scelto Palermo e altre grandi città come luoghi di residenza; gli ecuadoriani di Otavalo prediligono invece le città di mare e le mete turistiche, essendo la loro principale attività economica legata al commercio di prodotti artigianali provenienti dall’America Latina.
I componenti di questo gruppo etnico hanno mantenuto forti e stabili rapporti con il luogo d’origine ed il loro ingresso nel mercato di scambio internazionale non ha prodotto la dissoluzione dell’identità del gruppo; anzi essa, si è rafforzata e rappresenta un esempio di comunità locale con una precisa identità linguistico-culturale in grado di compiere performances di successo nel mercato internazionale, provocando ricadute positive a livello nazionale; quasi allo stesso modo di una transnational holding, la prima nel continente di carattere non nazionale, ma di matrice squisitamente etnica.
Conclusioni
Nonostante i contesti, come quelli delle regioni del Mezzogiorno, abituati da sempre all’apertura verso l’altro, la crisi economica che ha colpito il Paese ha fatto emergere tensioni sociali che si sono dimostrate difficilmente governabili senza una precisa politica per i flussi migratori. L’erosione delle politiche di sicurezza economica – provocata dalla globalizzazione – ha aumentato quel senso di disaggio e di paura dei cittadini nei confronti del diverso (Azmanova, 2010).
In un tale scenario il lavoro finisce per diventare un bene scarso e l’accesso al mercato del lavoro si converte nella principale arena del conflitto sociale; soprattutto tra cittadini e stranieri. Un conflitto acuito anche dalla diffusione di un linguaggio politico imperniato sulla paura del diverso, ulteriore segno del momento di crisi che attraversa il Paese. Nonostante ciò sembra che tale momento non abbia intaccato quella predisposizione del Mezzogiorno all’incontro e al confronto con il diverso che fa perno su forme di solidarietà profondamente radicate il quel tessuto socio-culturale; da sempre predisposto alla sperimentazione, alla diversità e all’apertura verso l’altro.
Per approfondire:
- Amato, F., Coppola, P. (a cura di), Da migranti ad abitanti. Gli spazi insediativi degli stranieri nell’area metropolitana di Napoli, Guida, Napoli, 2009.
- Amato, F., Le migrazioni internazionali in Campania. Dal transito alla stabilità, in Amato, F., (a cura di), Etica, immigrazione e città. Uno sguardo sulla Napoli che cambia, University Press, Napoli, 2012.
- Artoni, C., L’amore ai tempi della Bossi-Fini, Mondadori, Milano, 2005.
- Azmanova, A., Contro la politica della paura: deliberazione, inclusione ed economia politica della fiducia, in “Queste Istituzioni”, n. 158-159, 2010.
- Barbagli, M., Colombo, A., Sciortino, G. (a cura di), I sommersi e i sanati, Il Mulino, Bologna, 2004.
- Cagiano de Acevedo, R., Le migrazioni internazionali, Giappichelli, Torino, 2007.
- Caponio, T., Città italiane e immigrazione, Il Mulino, Bologna, 2006.
- Caritas (2004), Immigrazione. Dossier Statistico 2004, Anterem, Roma.
- Cataldi, G., Pluralità di culture e universalità dei diritti umani: alcune osservazioni, in “Quaderni Iila”, n. 30, 2006.
- Censis, 38° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, Censis, Roma, 2004.
- Ferraris, V., Immigrazione e criminalità, Carocci, Roma, 2012.
- Franzini, M., Finanza, in “Parole chiave”, n. 48, 2012.
- Herman Rodriguez, C. E., La tutela dei nativi dell’America Latina tra diritto interno e diritto internazionale, in Cataldi, G., Grado, V. (a cura di), Diritto internazionale e pluralità delle culture, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013.
- Mazzei, F., Relazioni internazionali, Egea, Milano, 2012.
- Melotti, U., Petilli, S. (a cura di), Immigrazione in Europa. Solidarietà e conflitto, Ceddis, Roma, 1993.
- Palmisano, A. L., Multiculturalità e diritto nel mondo post-globale, in “Quaderni Iila”, n. 30, 2006.
- Pugliese, E., Diario dell’immigrazione, Edizioni Associate, Roma, 1997.
- Rossi, M., Napoli Barrio latino. Migrazioni latinoamericane a Napoli, Edizioni Arcoiris, Salerno, 2011.
- Russo Krauss, D., Geografie dell’immigrazione, Liguori, Napoli, 2005.