Il modello per l’esplorazione dello spazio che ha prevalso sin dalla fine degli anni Cinquanta, si basava su un coinvolgimento diretto dei governi, nella maggior parte dei casi attraverso agenzie spaziali create appositamente. C’erano molte ragioni per questo: il generale clima di guerra fredda, la programmatica non- esistenza di un settore privato in uno dei due attori principali (l’Unione Sovietica) e forse anche la novità assoluta di questa impresa, che ha portato i costi dell’esplorazione dello spazio ben al di là delle possibilità di qualsiasi organizzazione privata. Inoltre, le tecnologie necessarie per le missioni spaziali erano inizialmente derivate da tecnologie militari a disposizione unicamente delle organizzazioni militari dei due attori principali della guerra fredda.
In principio, solamente le due superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, hanno potuto partecipare alla ‘corsa allo spazio’, e per decenni questi sono stati gli unici paesi che avevano la capacità di mandare esseri umani nello spazio. Altri paesi hanno poi acquisito la capacità di inviare carichi utili in orbita attraverso accordi con la superpotenza ‘di riferimento’.
Da allora l’industria spaziale è cresciuta, e i privati sono diventati protagonisti nei settori commerciali dell’attività spaziale. Tuttavia l’esplorazione dello spazio oltre l’orbita terrestre è rimasta per lo più nelle mani delle superpotenze, con alcuni contributi da parte dell’Europa. Come risultato, i principali trattati internazionali in materia di attività spaziali sono stati influenzati dalla convinzione che gli stati sono gli unici attori nello spazio e che l’esplorazione può svolgersi in modo pacifico solo se gli stati si astengono dal rivendicare ciò che si trova al di là della Terra, che deve quindi essere considerato come appartenente al genere umano in generale.
L’Outer Space Treaty, firmato nel 1967, afferma significativamente che gli Stati si assumono la responsabilità per le attività nazionali nello spazio esterno, sia che tali attività siano svolte da agenzie governative o da enti non governativi. Quando sono svolte da privati, gli Stati devono quindi autorizzarle e controllarle. In seguito, le aziende che svolgono le attività commerciali nello spazio hanno dimostrato di aver appreso la tecnologia necessaria non solo per costruire e far funzionare i satelliti, ma anche per gestire i veicoli di lancio. A partire dal Duemila si è affermata l’idea che anche per le missioni scientifiche e di esplorazione, le agenzie spaziali possono acquistare i servizi di lancio da organizzazioni private, che gestiscono il trasporto dalla superficie terrestre all’orbita bassa. La NASA ha assegnato contratti per servizi di trasporto spaziale (COTS) a società private.
Una delle ragioni di questo approccio, che è attualmente in pieno sviluppo, è stato il fallimento dello Space Shuttle nel raggiungimento degli obiettivi economici per il quale era stato progettato. Vi è, tuttavia, un altro approccio: le missioni di esplorazione possono e devono essere completamente gestite da imprese private, che ne decidono gli obiettivi, reclutano l’equipaggio (se presente), costruiscono le attrezzature, gestiscono la missione e, infine, restano proprietarie dei risultati, di qualsiasi natura siano.
Tutto questo è possibile solo se l’esito della missione è abbastanza redditizio per giustificare gli investimenti e i rischi. Due condizioni devono quindi verificarsi: una riduzione del costo complessivo dei viaggi spaziali e l’identificazione di modelli commerciali con relativi mercati. Queste due condizioni non sono comunque sufficienti: l’esplorazione privata richiede un contesto normativo e, eventualmente, una serie di incentivi, senza i quali nessun privato può investire in questo settore.
Come già detto, la riduzione del costo dei viaggi nello spazio è un prerequisito, ma allo stesso tempo anche un risultato, della privatizzazione delle attività spaziali . A sua volta, l’innovazione tecnologica è essenziale per ridurre i costi, ma richiede enormi investimenti. Ad esempio, i progressi nella tecnologia di propulsione sono essenziali per svolgere missioni di esplorazione, in particolare se con equipaggio, nello spazio trans- lunare, ma non è realistico che siano aziende private a sviluppare i necessari sistemi di propulsione nucleare elettrica o nucleare termica in modo completamente autonomo.
Questo aspetto non è comunque peculiare dell’esplorazione spaziale: gli Stati sono profondamente coinvolti nel finanziamento della ricerca tecnologica. Anche nel caso di un approccio basato sul diretto coinvolgimento dei privati nell’esplorazione spaziale, è necessario che gli Stati finanzino la relativa ricerca, permettendo di realizzare le innovazioni indispensabili.
Un primo modello commerciale per sviluppare una presenza privata nello spazio è il turismo spaziale che è già una realtà grazie ai sette turisti che hanno visitato la Stazione Spaziale Internazionale. Tuttavia, per il suo sviluppo è necessario che i privati raggiungano la capacità di accedere autonomamente allo spazio a un costo abbastanza basso da consentire un aumento del mercato potenziale. Altri modelli commerciali sono lo sfruttamento delle enormi risorse degli asteroidi e di quelle della Luna.
Per avviare davvero una spacefaring society è necessario pertanto sviluppare nuove tecnologie e, in particolare, andare oltre la propulsione chimica; ciò richiede che gli Stati facciano la loro parte finanziando la ricerca. Un altro punto fondamentale è rivedere i trattati internazionali e le leggi in materia di attività spaziale per incoraggiare le organizzazioni private a svolgere un ruolo attivo nello spazio, non solo per quanto riguarda le attività commerciali in orbita terrestre, ma anche nell’esplorazione e lo sfruttamento dello spazio profondo.
A queste condizioni l’esplorazione privata dello spazio può veramente dare un notevole contributo alla costruzione di una spacefaring society.