C’è un noto aforisma, generalmente attribuito a Oscar Wilde, che invita a fare attenzione a ciò che si desidera, poiché tale desiderio potrebbe avverarsi; ebbene, questo motto è facilmente applicabile alle utopie. Questo articolo tratta della prima grande utopia, quella tratteggiata ne La Repubblica di Platone, in relazione alla nostra società, quella della postmodernità; in particolare, s’intende confrontare l’utopia platonica con le più recenti trasformazioni politiche di alcune delle grandi democrazie occidentali, ovvero il passaggio a quella che in scienza politica viene chiamata postdemocrazia (Crouch, 2003). Il nesso verrà evidenziato con gli strumenti della sociologia della conoscenza, una scelta inevitabile vista la centralità del tema dell’accesso alla conoscenza nel presente contributo, come si andrà di seguito a esporre.
Innanzitutto, bisogna evitare un equivoco: La Repubblica, seppur a volte descritta come un’utopia, per quanto riguarda la trattazione dello Stato ideale ha un carattere più fortemente distopico; qui non si vuole arrivare a sostenere che Platone fosse “totalitario”, come lo definisce Karl Popper in La società aperta e i suoi nemici (1973), però che la sua teoria della conoscenza e dello Stato fosse di origine aristocratica è incontrovertibile. Nel sostenere ciò, il riferimento è alla Teoria sociologica della conoscenza (1931) di Paul-Louis Landsberg, il quale vi si interroga sulla concezione della conoscenza implicita nelle società occidentali. In particolare, egli sostiene che la teoria dello Stato di Platone sia impregnata di aristocraticismo gnoseologico, ovvero l’idea per cui la vera conoscenza sia accessibile soltanto a una ristretta cerchia di persone dalle qualità eccezionali. Ciò ha delle conseguenze; le scienze sociali hanno infatti riconosciuto che lo sviluppo di ogni individuo è fortemente influenzato dal contesto in cui si trova, principalmente nell’infanzia e nell’adolescenza, e dunque le caratteristiche che permettono di accedere alla conoscenza non sono innate, ma dipendono dalla socializzazione (al netto di casi patologici). Senza entrare in questo dibattito, basterà, ai fini del presente lavoro, dare per assodato che sia più facile, per l’individuo che ha avuto un percorso di socializzazione meno accidentato, raggiungere quelle qualità eccezionali che consentono l’accesso ai gradi più elevati della conoscenza.
Se trasferiamo il discorso dal punto di vista della conoscenza a quello politico, seguendo la stessa linea di Platone, diventa evidente il carattere distopico di questo ideale: è infatti inevitabile che i governanti-filosofi siano in larga misura espressione della classe aristocratica. Su questo è lo stesso Landsberg a essere molto chiaro:
Platone sembra corrispondere ad una fase più antica di quella dominante ai suoi tempi; anche il fatto che Platone sia rivolto al passato è a sua volta condizionato, storicamente e sociologicamente, dalla sua appartenenza a quelle famiglie aristocratiche che sono state private dalla democrazia del possesso, ovviamente ereditario, del potere (2002, p. 55).
Nel passaggio citato, Landsberg sottolinea che, all’epoca di Platone, la classe aristocratica ad Atene già mostrava segni di declino; ciononostante, è noto che essa includesse pressoché per intero quella che (con una piccola licenza) possiamo definire la classe intellettuale dell’epoca. La legittimazione del potere, in Platone, è la conoscenza; ciò fa sì che si possa individuare La Repubblica come un’anticipazione dal carattere postdemocratico dell’odierna società occidentale.
Il concetto di postdemocrazia è stato elaborato all’inizio degli anni Duemila dal politologo inglese Colin Crouch, che così lo definisce:
Anche se le elezioni continuano a svolgersi e a condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’interazione tra governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente processi economici (Crouch, 2003, p. 6).
Crouch ci tiene a precisare che quella descritta è un’esagerazione ai fini esplicativi, eppure ci sono numerosi segnali indicanti che negli ultimi anni tali tendenze si siano rafforzate. A dimostrazione di ciò, basti citare alcuni dei maggiori eventi politici europei a partire dall’insorgere della crisi economica del 2008: il commissariamento di alcuni governi nazionali europei ad opera della cosiddetta Troika, cabina di regia formata da Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale, come nel caso della Grecia o del governo Monti in Italia; oppure il vincolo del rispetto di precisi parametri finanziari nell’operato dei governi stessi. Si noti bene: BCE e FMI sono istituzioni legittimate non sulla base di un mandato politico, bensì sulla competenza nella gestione dei processi economico/finanziari; allo stesso modo, il governo Monti era un governo tecnico, formato in gran parte da economisti e docenti universitari. Queste istituzioni o governi esercitano il potere in nome di una conoscenza che è assunta come ideologicamente neutrale; si tratta dei modelli economici che vanno sotto il nome di neoliberismo. Con questo termine ci si riferisce qui non soltanto alla fattispecie economica del finanzcapitalismo (Gallino, 2011), ma soprattutto alla costruzione ideologica che la legittima e che, come tutte le ideologie, muove da degli assiomi di partenza non-falsificabili e presenta un’elevata coerenza interna tra le proprie idee di uomo, di Stato, di società, di scienza e di conoscenza.
Chiarito questo punto, va sottolineata nuovamente la centralità della conoscenza in questo sistema: le politiche in atto in alcuni dei sistemi di educazione superiore e ricerca, i gangli nodali del collegamento tra conoscenza e potere politico, rendono chiaro questo legame. L’esempio più chiaro è quello del sistema universitario statunitense: poche università di alto livello, generalmente a finanziamento misto privato/pubblico e basso numero di studenti (rispetto ai numeri europei) rigidamente selezionati; oppure, quello inglese, in cui è stata più forte la tendenza all’introduzione di indicatori standardizzati riguardanti le performance del sistema, con effetti dirompenti sulla dialettica interna alle discipline e sulla stessa libertà di ricerca in discipline quali l’economia (che sappiamo essere strategica proprio in relazione alle decisioni politiche) quali quelli descritti da Donald Gillies in Economics and Research Assessment Systems (2012). Lo stesso caso italiano è estremamente indicativo: le politiche degli ultimi anni, volte a trasformare un sistema pubblico di istruzione superiore tendenzialmente di massa secondo i dettami del mercato, della riduzione della spesa e di un’organizzazione di stampo sempre più aziendalistico, hanno avuto il risultato di portare al “declino” (Viesti, 2016) del sistema stesso; dobbiamo inoltre sottolineare che la massiccia introduzione di numeri chiusi e il mancato investimento sui sistemi di diritto allo studio stanno rendendo sempre più difficile alle fasce economicamente più deboli della popolazione accedere a un’istruzione superiore di qualità.
Abbiamo quindi di fronte una società in cui l’accesso alla conoscenza è sempre più ristretto, e la democrazia sempre più debole nei confronti delle élite; riprendendo il confronto con Platone, è forte la sensazione che si stia avverando la sua utopia, rivelandosi nel contempo molto meno benevola di come era stata raccontata. Processi di tale portata non possono non avere effetti. Quanto fin qui descritto può essere, soprattutto, una delle chiavi per comprendere la contrapposizione tra basso e alto, tra popolo e establishment rivelatasi in alcuni dei più rilevanti passaggi politici dell’anno appena trascorso. Possiamo ad esempio considerare la Brexit, la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali statunitensi e il risultato del referendum costituzionale italiano (al netto delle valutazioni sul merito della riforma) come una mass backlash, una frustata di massa, che definiamo così per analogia con la white backlash con cui i bianchi, negli Stati Uniti, reagivano all’avanzata del movimento per i diritti civili; sennonché ciò avviene ora a parti invertite rispetto all’accesso al potere. Questa frustata resta però all’interno della dinamica postdemocratica: essa infatti utilizza il solo canale del voto, che è comunque arginabile, come dimostra ad esempio l’avanzamento lentissimo del processo di Brexit o il rifiuto del governo italiano (nonostante il cambio di Presidente del Consiglio in seguito alla sconfitta referendaria) di ripensare le politiche attuate negli ultimi anni.
Tutto ciò avviene nel quadro di una assenza di riferimenti dovuta all’indebolimento delle grandi tradizioni politiche; azzardando un paragone, si può dire che ciò abbia l’effetto di una perdita di memoria rispetto ai grandi conflitti che hanno costruito la storia della modernità, in particolare quello «rispetto alla polarizzazione sociale e politica creata dal conflitto capitale/lavoro» (Biorcio, 2011). Se riconosciamo valido l’assunto di Joel Candau (2002) per cui «la perdita di memoria è una perdita di identità», dobbiamo inevitabilmente concludere che ci siano delle ricadute sull’identità, che non viene più costruita all’interno di un quadro in grado di fornire chiari riferimenti valoriali (Fattori, 2016). Come nota Fabrizio Di Bonaventura:
il declino del senso di unità generazionale e il distacco tra i giovani e la politica, non costituiscono le manifestazioni di una mutazione antropologica o di una crisi morale. Tali fenomeni sono piuttosto da mettere in relazione con la crisi dei meccanismi tradizionali di governo dell’economia e della società (Bonaventura, 2006).
Ci troviamo in un periodo storico che risente con forza dell’assenza di utopie e, stanti il superamento storico della società fordista e l’insostenibilità sociale, politica e ambientale della società neoliberista, avrebbe bisogno di una nuova idea di società su cui costruire delle coordinate valoriali. Probabilmente non è un caso che le forme di attivismo politico che si stanno più sviluppando in questa fase storica sono legate perlopiù a questioni tematiche e sono a bassa intensità ideologica: attivismo di quartiere, riqualificazione di aree urbane degradate, o anche sostegno/aggregazione su piattaforme umanitarie, consumo critico, e così via. C’è una molteplicità e una fluidità di forme di impegno che hanno in comune un’implicita resistenza alla forma sociale post-democratica, ma che a oggi non sembrano integrarsi in un macro-pensiero unificante.
L’unica grande narrazione che attualmente sembra avere un elevato grado di coerenza interna e la forza di diffondersi in tutto il mondo, integrando al suo interno modelli sociali e di consumo di provenienze diverse, sembra essere quella ecologista; come già nel secolo scorso suggeriva Ulrich Beck, la “questione ecologica” «costituisce un fenomeno la cui matrice è radicalmente sociale poiché attiene, più che all’ambiente naturale, alle difettose dinamiche istituzionali della società tardo-moderna» (Beck, 2000). Secondo Antonio Camorrino, l’ecologismo «sembra dunque rappresentare un potente dispositivo di senso adatto ad incorporare nel proprio orizzonte le esistenze sociali della tardo-modernità concorrendo ad integrare i significati delle biografie individuali […] per mezzo di una promessa di senso» (Camorrino, 2015).
In conclusione, è sicuramente troppo presto per dire con certezza se questi aspetti si integreranno all’interno di una idea di mondo comprensiva (che sia quella ecologista o meno), se questa sarà in grado di contrastare la forza del capitalismo finanziario, o se le cose prenderanno tutta un’altra strada. L’unica cosa di cui possiamo essere ragionevolmente certi è che la Storia non è finita.
Bibliografia
- Beck U., La società del rischio, Carocci, Roma, 2000.
- Biorcio R., Gli antecedenti politici della scelta di voto: l’identificazione di partito e l’autocollocazione sinistra-destra, in Bellucci P., Segatti P. (a cura di), in Votare in Italia 1968-2008, Il Mulino, Bologna, 2011.
- Camorrino A., La natura è inattuale, Ipermedium libri, S. Maria Capua Vetere, 2015.
- Candau J., La memoria e l’identità, Ipermedium, Napoli, 2002.
- Crouch C., Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2009.
- Di Bonaventura F., La partecipazione politica giovanile, Cavinato, Brescia, 2006.
- Fattori L., La nostalgia della politica nella satira in Facebook, in “H-ermes”, n. 8, 2016.
- Gallino L., Finanzcapitalismo, Einaudi, Torino, 2011.
- Gillies D., Economics and Research Assessment Systems, in “Economic Thought”, vol. 1 n. 1, 2012.
- Landsberg P.L., Teoria sociologica della conoscenza, Ipermedium, Napoli, 2002.
- Platone, La Repubblica, Laterza, Roma-Bari, 2007.
- Popper K., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 2004.
- Viesti G. (a cura di), Università in declino, Donzelli, Roma, 2016.