La storia dell’umanità è caratterizzata profonde riorganizzazioni della vita, sotto la spinta di continui processi di “transizione”. Si tratta di percorsi di cambiamento sociale che riguardano almeno una generazione, in cui la struttura della società muta profondamente a partire da trasformazioni che si animano a livello tecnologico, economico, territoriale, socio-culturale e istituzionale, influenzandosi e rafforzandosi vicendevolmente (de Haan e Rotmans, 2011; Martens e Rotmans, 2005).
Senza andare troppo indietro nel tempo, è possibile fare certamente riferimento alla Rivoluzione Industriale che, a partire dal Settecento in Inghilterra, ha gradualmente riguardato tutto il mondo, segnando un importante passaggio da un’economia agraria e artigianale ad un’economia dominata dall’industria. Si tratta di un cambiamento fondamentale, che ha generato effetti così inediti nel tessuto sociale e urbano da stimolare le prime riflessioni sociologiche volte, da un lato, a intercettare e analizzare le conseguenze dell’industrializzazione sulla società e, dall’altro, ad accompagnare i sistemi sociali in un processo di riorganizzazione complessiva (Bar e Leukhina, 2010; Žmolek, 2013). Se, attraverso i lavori di Comte e Spencer, la scuola positivista ha sostenuto una visione del mondo incentrata sulla fiducia nella scienza e nel progresso, l’approccio critico, di cui Marx rappresenta il principale capostipite, si è caratterizzato per le attente riflessioni sulle conseguenze politiche e urbanistiche sulla vita delle persone, come la creazione – ma anche la scomparsa – di centinaia di mestieri, lo spopolamento delle campagne per l’esodo dei contadini nelle periferie urbane, le inedite forme di sfruttamento e di alienazione di cui la classe operaia è stata protagonista (Justman e Gradstein, 1999).
A partire dal secondo dopoguerra, il prevalere del lavoro intellettuale su quello manuale e la crescente diffusione di attività economiche immateriali hanno dato il via a una nuova transizione socio-economica, che ha condotto alla terziarizzazione delle economie avanzate (Alcorta et al., 2021; Baramendi et al., 2015). Entro le fila di questa trasformazione si è gradualmente assistito sia al decongestionamento insediativo degli spazi urbani, sia alla despecializzazione dei contesti rurali (Davis e Tajbakhsh, 2005; Geyer, 2004). Gli assetti sociali sono stati investiti da una accresciuta mobilità materiale e immateriale, che ha riguardato a livello globale non solo persone e beni, ma anche brevetti e informazioni, grazie ad una rete di trasporti e di comunicazione diffusa e capillare (Szerszynski e Urry, 2006; Sheller, 2017; Urry, 2002). Ciò ha gettato le basi per la costituzione di una società interculturale e multietnica e la diffusione di consumi e stili di vita più globalizzati. In questo scenario, la liberalizzazione dei flussi e degli scambi finanziari e commerciali ha avuto, di fatto, diverse conseguenze sulla vita dei lavoratori. Ad esempio, la deregolamentazione parziale dei rapporti contrattuali, da un lato, ha favorito percorsi biografici più flessibili e personalizzabili, ma, dall’altro, ha contribuito ad accrescere in molti soggetti una sensazione di precarietà e insicurezza occupazionale, accentuata dal rischio di delocalizzazione delle attività (Abbiati, 2012; Basso, 2020; Benach et al., 2014). Tale situazione ha riguardato soprattutto il lavoro meno qualificato, maggiormente delocalizzabile per le potenzialità delle applicazioni in rete. Il deterioramento delle prospettive occupazionali ha ridefinito anche i modelli più tradizionali della divisione del lavoro e della riproduzione sociale, che erano basati sulla piena occupazione della popolazione maschile nelle classi di età centrali e sulla buona capacità di spesa dei ceti medi utile a garantire condizioni di vita decorosa. Hanno iniziato a fare così la propria comparsa sulla scena nuove figure sociali, come quella dei cosiddetti poor workers, soggetti impiegati ma al di sotto della soglia di indigenza relativa (Bergamaschi, 2013; Morlicchio e Pirone, 2015; Simmel, 1998). Inoltre, sono aumentate le difficoltà della vita attiva delle donne all’interno di un mercato del lavoro sempre più competitivo e talvolta discriminatorio (Altieri, 2007; Berton Richiardi e Sacchi, 2009; Naldini e Saraceno, 2011).