Questo contributo nasce dalla rilettura di un’esperienza di ricerca (condotta insieme alle colleghe Carolina Facioni e Sabrina Spagnuolo) relativa a due conflitti territoriali avvenuti rispettivamente in Spagna (Gamonal, Burgos) nel 2014 e in Italia (Falcognana, Roma) nel 2013. I due oggetti di studio erano rappresentativi, per caratteristiche e oggetto del contendere, di molte mobilitazioni emerse nella maggioranza dei paesi occidentali e nei paesi economicamente emergenti. Le domande di ricerca erano legate alla constatazione, sottolineata da Bobbio (2005) e Pellizzoni (2011), di un progressivo aumento dei conflitti territoriali/urbani negli ultimi dieci anni e basate sull’ipotesi che la diffusione di questa tipologia di protesta potesse avere delle radici comuni in un conflitto più ampio, diverso per caratteristiche e forma dai conflitti fino ad oggi studiati. Obiettivo centrale era scorgere nuove categorie teorico/concettuali per leggere il nuovo oggetto generale del conflitto e le possibili linee di sviluppo future. In ultimo vorrei sottolineare come il rileggere il libro a un anno di distanza dalla sua pubblicazione, partendo dalla linea di riflessione del convegno “Vivere bene nel 2030”, mi ha permesso di riflettere su linee e percorsi di lettura che durante la stesura del libro avevo sottovalutato.
Il frame teorico
Il frame teorico di partenza che ci ha consentito di spiegare la diffusione dei conflitti territoriali e individuare il substrato comune nelle diverse mobilitazioni territoriali è stato rielaborato dalla teoria esposta da Touraine nel testo Un nouveau paradigme (2005), in cui lo studioso teorizza «la fine di un tipo di società, e in primo luogo di una rappresentazione della società nella quale il mondo occidentale ha vissuto nel corso di diversi secoli» (Touraine, 2005) e quindi la “nascita di nuove forme di società” (Touraine, 2009) e per conseguenza nuove forme di conflitto. Secondo Touraine (2012, 2008) gli attori sociali in questa “nuova società” confliggono per la «capacità di controllare e gestire le dimensioni eminentemente culturali della storicità (conoscenza scientifica e creatività), ovvero dalla capacità di programmare e influenzare gli orientamenti generali dell’azione, dei valori, dei bisogni, del consumo delle relazioni e dell’esistenza stessa; ciò avviene al di fuori dei contesti del lavoro (…) sull’autoproduzione e l’autorappresentazione di sé» (Villa, 2010).
L’oggetto del contendere è la difesa dei modelli culturali, dei valori e della personalità degli attori ed è questa resistenza che accomuna, secondo chi scrive, le diverse mobilitazioni che appaiono frammentate in ragione della natura dell’oggetto del contendere che non può essere distaccato dal locale. Nei due conflitti territoriali oggetto di studio i residenti lottano per il diritto ad usufruire e gestire i propri spazi e luoghi di vita “obbligandosi” (Weil 1949) verso la comunità locale e il resto della società civile per migliorare e dove necessario ricostruire il territorio e la comunità. Il nuovo conflitto verte sulla gestione del territorio e dei luoghi di vita, che come la Weil (1949) ricordava sono parte dell’identità e della cultura degli individui; è per questo che sembra apparentemente scollegato nei singoli conflitti territoriali. Prestipino (2006) segnala però una deriva possibile del disagio sociale nella nostra società attuale e futura, sottolineando come, laddove prevalga l’individualismo, la liquidità sociale, l’assenza di identità, la povertà e la frustrazione di alcune fasce di popolazione, soprattutto giovanile, può realizzarsi un ripiegamento, alla ricerca di un identità nel polo collettivista degli attivisti/cittadini dando vita a comunitarismo, settarismo, integralismo religioso e politico lontano dai movimenti di resistenza culturale.
Breve descrizione delle mobilitazioni: la nuova resistenza culturale, tattiche, strategie e dinamiche
Prima di descrivere i due conflitti territoriali è importante considerare gli elementi di novità che contraddistinguono i nuovi movimenti culturali. Gli elementi che caratterizzano l’organizzazione e la formazione della resistenza culturale sono: la struttura “liquida” a rete, le multi-identità, l’assenza di una leadership e l’ancoraggio alle diverse realtà e criticità territoriali locali concreti, che riescono a coinvolgere quasi tutta la popolazione nella mobilitazione; l’aggancio del locale con temi generali legati alla gestione della connessione globale e della globalizzazione finanziaria. Si può quindi affermare che le nuove forme di resistenza culturale, quali ad esempio i No Tav o i No Triv, hanno un forte radicamento locale con aspirazione globale. Uno degli elementi di novità che conferisce forza all’azione di questi attivisti è la struttura reticolare senza centro. I movimenti culturali hanno forme di multi-appartenenza fluida e integrata. Tra gli attivisti possiamo infatti trovare partiti politici appena nati di diversi orientamenti, collettivi di hacker, attivisti antitecnologici, ambientalisti, istituzioni locali, singoli individui. Osserviamo inoltre l’adozione di metodi decisionali di tipo assembleare e il superamento del metodo decisionale, tipico ad esempio del movimento operaio (o dei movimenti giovanili del 1968 e degli alterglobal) dell’aggregazione delle preferenze nell’emergere di una maggioranza. Le tattiche e le modalità di protesta sono anche queste estremamente innovative e hanno colto spesso di sorpresa in molti casi l’establishment mondiale e locale.
Gamonal: no al Bulevar
Gamonal De Rio Pico era un antico municipio della provincia di Burgos, con una sua identità e storia di cui i residenti vanno fieri. Il paese restò indipendente da Burgos fino al maggio del 1954, quando per volontà del regime franchista, dopo una negoziazione fittizia, divenne un quartiere periferico di Burgos in cui vennero confinati operai e gitanos (considerati pericolosi dalla Chiesa e dal regime). In breve tempo vennero costruiti palazzi e strade che stravolsero il paesaggio e gli spazi senza nessuna pianificazione urbanistica. I residenti hanno negli anni lottato per il territorio, tanto da autodefinirsi ed essere riconosciuti come “el barrio que lucha” (il quartiere che lotta). Il conflitto del 2014 è ricordato tra tutti gli altri per aver avuto risonanza internazionale ed essere divenuto simbolo per tutte le mobilitazioni a carattere territoriale, indipendentiste (Catalogna) avvenute in Spagna e riconducibili a un movimento culturale (costituito da vari gruppi tra cui indignados, indipendentisti, podemos, gruppo locali, anonymous, asociaciones de vecinos ecc.) a suo modo collegato. Oggetto dichiarato del contendere, la ristrutturazione della calle Vitoria (asse logistico del trasporto di persone e merci) attraverso la costruzione di un bulevar (viale) pedonale e ciclabile. Il progetto prevedeva la deviazione del traffico all’interno del quartiere, la costruzione di infrastrutture al fine di attrarre grandi eventi e, secondo i residenti, l’avvio nel lungo periodo di un processo di gentrificazione. Le forme e i repertori della protesta hanno seguito quello che potremmo definire un percorso classico in crescendo. La protesta inizia il 9 gennaio 2014 con azioni non convenzionali, seguite da azioni dirette di occupazione del territorio, azioni illegali indirizzate, oltre che verso l’opera contestata e le forze dell’ordine, ai simboli della finanza. Il 17 gennaio la popolazione ottiene il blocco dei lavori, il ripristino della situazione precedente e la possibilità di utilizzare i fondi stanziati per ristrutturare il quartiere sulla base delle esigenze dei residenti.
Falcognana: no alla discarica
La mobilitazione di Falcognana ha inizio il 30 agosto 2013 a seguito della dichiarazione del Commissario Straordinario ai rifiuti che deliberava che l’area poteva essere idonea, come sito alternativo a Malagrotta, per raccogliere i rifiuti trattati di Roma capitale. Falcognana è una borgata di Roma, nata in parte dai piani di edilizia popolare a cui è seguito uno sviluppo abusivo. È situata al km 15 della via Ardeatina, in prossimità del Santuario del Divino Amore, ed è parte dell’agro romano; importante in questo territorio l’indotto dovuto ad allevamento, agricoltura e viticoltura. La discarica doveva sorgere ampliando una preesistente discarica di rifiuti speciali. Gli attivisti costituiscono un presidio nel luogo scelto per i lavori e organizzano manifestazioni in tutta Roma. La partecipazione è forte e sentita dalla comunità, che chiede una gestione razionale ed ecosostenibile dei rifiuti urbani di Roma. Il 7 febbraio il progetto viene fermato ma il presidio rimane attivo seppure con poca partecipazione. A partire dalla mobilitazione si è ricostituito un tessuto di vicinato e un’identità legata alla storia del luogo.
L’utilizzo della rete e i big social data
Nelle mobilitazioni studiate, ma anche nei diversi conflitti territoriali in diverse realtà geografiche, l’utilizzo dei social network e in alcuni casi i big data sono stati vitali per l’organizzazione delle diverse manifestazioni e proteste, per comunicare con le istituzioni e/o con altri attivisti (non solo sul territorio) e per reperire informazioni in tempo reale. L’utilizzo di Internet ha assunto grande importanza contribuendo a rafforzare la struttura a rete, le multi-appartenenze, l’assenza di ideologie dominanti e leadership forti, favorendo una comunicazione diffusa tra i diversi attivisti, simpatizzanti e a volte individui o istituzioni contrari alla protesta. Gli attivisti a Gamonal e nel resto della Spagna (spesso attraverso “hackeraggio”) sono riusciti a diffondere informazioni non sempre accessibili, rendendole fruibili a tutti gli utenti dei social network e ai residenti disconnessi attraverso l’organizzazione di riunioni nel quartiere. Gli attivisti, oltre che produrre dati e tracce sul web al fine di condividere la loro scelta di lotta e resistenza, sono in grado di utilizzare e analizzare questi nuovi dati. Il tracciamento e l’utilizzo dei big data o dei social big data, per loro natura destrutturati per lo scienziato sociale, a differenza che per l’attivista, non può prescindere da un adeguato processo di ricerca volto tra le altre cose a consentire una strutturazione (in parte theory laden) di questi dati e la formazione di indicatori che li rendano interpretabili alla luce del problema oggetto della ricerca. È sull’utilizzo, la strutturazione e la sintesi di questi nuovi dati che in parte le scienze sociali dovranno lavorare.
Rivalutazione del locale per una globalizzazione democratica
Nei nuovi conflitti territoriali assume centralità per gli attivisti la difesa del proprio territorio come perno di resistenza contro la globalizzazione generalista, l’omologazione culturale alle ideologie e narrazioni economiche (neoliberismo) dell’establishment politico e finanziario. Negli ultimi anni il tema legato alla valorizzazione delle specificità locali ha assunto un’importanza crescente per i “movimenti culturali” che nel dibattito politico sono riusciti a valorizzare tale scelta. Nel dibattito economico la rivalutazione del locale viene proposta da molti studiosi come possibile alternativa al sistema economico neoliberista (Becattini, 2015). Il territorio e i luoghi dovrebbero essere interpretati e gestiti, nell’ottica di resistenza dei movimenti culturali, come del resto suggerito anche da Becattini (ibidem), riaffermando l’ancoraggio dei sistemi produttivi ai saperi delle comunità, agli stili di vita delle comunità locali, agli ambienti fisici e alla storia dei luoghi che sono patrimonio e ricchezza degli stessi. Quindi in altri termini alle culture e modalità di vita dei diversi “individui-soggetti”.
Le supply chain e la connettività che si sviluppano dalle infrastrutture sono, secondo Khanna (2016) i principi organizzativi del XXI secolo, ed è intorno alla gestione, presenza/assenza di queste che si addenserà il nuovo conflitto sociale e si tracceranno le nuove povertà e marginalità. Una richiesta importante mossa dagli attivisti nei due casi di studio e in futuro sempre più rilevante tra gli oggetti del contendere culturale è la richiesta di una gestione partecipata delle infrastrutture, dell’urbanizzazione e delle supply chain. La richiesta di gestione e controllo partecipata e bottom up è volta a evitare che nei diversi territori, in un sistema mondiale definito da Khanna supply chain world, il tentativo delle istituzioni locali di rimanere aggrappati alle reti globali che rappresentano lavoro e benessere, contrapposto alla libertà delle multinazionali globali di lasciare i territori liberamente, porti a una svendita dei luoghi e dei diritti dei residenti. Molti conflitti territoriali negli ultimi anni hanno avuto come oggetto del contendere la cessione a imprese private del territorio al fine di attivare infrastrutture o supply chain (Gamonal ne è un piccolo esempio). Altra istanza fortemente sentita dagli attivisti è l’opposizione ai mercati finanziari globali, accusati di aver arricchito le classi agiate ed impoverito tutte le altre portando diseguaglianza economica, politica e a una conseguente perdita dei diritti e diminuzione della qualità della vita nel nome della crescita economica.
Aumento dei flussi migratori: integrazione e radicamento vs conflitto e sradicamento
Un aspetto importante che abbiamo potuto osservare a latere della protesta di Gamonal, nello studio del contesto storico e sociale del barrio, è il legame tra radicamento, identità ed integrazione. Lo sradicamento è per Weil la più «pericolosa tra le malattie delle società umane in quanto si moltiplica da sola» (Weil, 1990). Secondo la studiosa lo sradicamento può essere favorito dalla presenza di alcuni elementi tra cui miseria, disoccupazione, precariato e degrado urbano. In particolare la concertazione tra tempi di vita e di lavoro riporta il lavoratore “flessibile” a una situazione simile a quella del lavoratore a cottimo individuato da Weil e allontana le persone dal territorio allentando le maglie delle relazioni di vicinato un tempo costitutive del tessuto sociale. Gli elementi individuati da Weil sono oggi, con le dovute differenze, presenti nella società contemporanea; secondo Barbera, a meno di un cambiamento di paradigma economico, con l’abbandono del neoliberismo, il trend non dovrebbe migliorare (Barbera et al., 2016).
Un ulteriore meccanismo che secondo Weil può rafforzare lo sradicamento è l’invasione. In molte situazioni le contestazioni dei residenti storici contro l’allocazione di migranti deriva dalla percezione di “invasione” da parte di una cultura estranea. I luoghi appaiono loro stravolti a livello di coordinate spaziali e identitarie e i residenti reagiscono al sentimento di sradicamento cadendo in quel circolo vizioso che indirizza l’odio e il conflitto verso l’elemento che le comunità percepiscono come l’elemento sradicante. A Gamonal, invece, i diversi gruppi di migranti (dai contadini e operai provenienti da altre zone della Spagna, ai gitanos negli anni Cinquanta-Sessanta fino all’immigrazione dal Sud America e oggi dall’est Europeo, dall’Asia e dai paesi islamici) si sono integrati nella comunità condividendone lotte e identità, portando un valido contributo alla vita del quartiere. Secondo Delle Donne (2016), questo potrebbe dipendere dalla «presenza di un’identità precedente» che «rende Gamonal differente dalla maggioranza dei quartieri popolari che si sviluppano a partire dagli anni Cinquanta». Il radicamento della comunità residente non respinge ma funziona da collante per integrare i nuovi venuti. Sembra quindi confermata la teoria di Weil che la partecipazione sociale (costruita anche sulla partecipazione alle diverse mobilitazioni) e l’identità culturale legata ai luoghi di vita genera radicamento, e che una comunità “radicata” non sradica e ha una maggiore capacità di integrare i soggetti esterni.
Conclusioni
Dai punti che brevemente si è cercato di delineare emergono delle possibili linee di sviluppo del conflitto sociale che in futuro potrebbe essere sempre più incentrato sulla difesa dell’identità e della cultura. La resistenza culturale teorizzata da Touraine non può non essere legata al territorio, ed è proprio dalla riscoperta del locale che si potrebbe delineare una globalizzazione democratica (Khanna, 2016) e un’uscita dalla stagnazione economica. È importante sottolineare come il nuovo conflitto culturale potrebbe avere delle connotazioni differenti dal passato e probabilmente diverrà sempre più difficile riconoscere in questa resistenza del soggetto un movimento unico e compatto sotto l’egida di un’ideologia collettiva dominante, ma sarà comunque volto a ottenere una gestione condivisa e partecipata del territorio, dell’economia ed in generale di tutto quello che concerne la vita sociale e fisica degli individui e delle comunità. La resistenza del soggetto e la lotta alle ideologie sociali ed economiche dominanti di cui l’establishment è depositario potrebbe portare, come abbiamo visto negli ultimi anni, a dei ripiegamenti sul collettivo e a una ricerca identitaria non inclusiva perché frutto di sradicamento. Ma se si vuole cercare di costruire un futuro più inclusivo ed equo è dal radicamento, dalla condivisione di informazioni e risorse e dalla partecipazione che si deve ripartire, come già nel 1945 una studiosa come Simone Weil, legata al suo tempo, ma con una costante attenzione alla costruzione del domani, aveva teorizzato.
Bibliografia
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- Delle Donne M., A nord, a sud del mediterraneo alla ricerca del senso perduto, Ediesse, Roma, 2015.
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- Pellizzoni L., (a cura di), Conflitti ambientali, Il Mulino, Bologna, 2011.
- Prestipino G., Non conclusioni ma impressioni fugaci ed inquiete, in Istanze Etico Sociali e Globalizzazione – Atti del Convegno organizzato da Università di Cassino e Centro per la Filosofia Italiana 2004, Milella, Lecce, 2006.
- Barbera F., Dagnes J., Salento A., Spina F., Il capitale quotidiano, Donzelli, Roma, 2016.
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- Touraine A., La globalizzazione e la fine del sociale. Per comprendere il mondo contemporaneo, Il Saggiatore, Milano, 2008.
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- Khanna P., Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, Roma, 2016.
- Villa A., Movimenti e soggetto nella sociologia di Alain Touraine, XXIV Convegno della Società Italiana di Scienza Politica, Università di Venezia IUAV, 16-18 settembre 2010.
- Weil S., La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, SE, Milano, 1990.