Devo confessare che, quando ho iniziato a pensare a questo contributo per Futuri, ho dovuto ammettere che il tema del futuro mi crea qualche problema, perché indubbiamente la complessità è notevole e credo ci voglia molta prudenza nel fare previsioni su quello che verrà. Zygmunt Bauman parlava di “presente assoluto”, cioè di persone che vivono solo in un contesto quotidiano, avendo perso la memoria del passato e la fiducia nel futuro (Bauman, 2004). Quindi in questo senso proverò a dare qualche indicazione su un tema come quello del cibo, che indubbiamente è di grande interesse per il nostro paese, soprattutto in questo periodo attraversato da profondi cambiamenti, perché una serie di condizioni e avvenimenti rendono il cibo uno degli aspetti più interessanti del sentire e del parlare comune. Proverò a tracciare alcune antinomie, alcuni paradossi, da cui estrapolare le prospettive per i prossimi anni.
La prima antinomia da osservare è da un lato l’indubbia grande attenzione che si ha per il cibo. Abbiamo programmi televisivi come Masterchef che in qualche modo pervadono l’attenzione anche dei giovani; abbiamo riviste, film, libri (nelle librerie la parte di sociologia è sempre più ristretta e si amplia sempre di più quella della gastronomia), e anche le persone quando si incontrano oggi parlano spesso di cibo. Potrebbe quindi sembrare che il cibo sia il centro dell’attenzione della società contemporanea, soprattutto nel nostro paese, che di fatto è una delle patrie della gastronomia e della cucina, insieme a Francia, Giappone e altre realtà. Poi però i dati quantitativi ci mostrano come il consumo di cibo e di generi alimentari in Italia sia in progressiva diminuzione. È ovvio che non possiamo pensare che la spesa alimentare ammonti a quel 30% della spessa complessiva che si registrava trent’anni fa, quando l’Italia viveva il periodo precedente al boom economico, dal momento che, come è noto, quando cresce il benessere economico generalmente diminuisce la spesa per i consumi alimentari. Però adesso siamo scesi al 13-14% della spesa generale in un solo mese. È interessante in tal senso il lavoro di IPSOS, che ha chiesto alle persone quale sia la loro situazione economica, se in crescita, decrescita, in possibile decrescita ecc. Ebbene, tutte queste categorie hanno una tipologia specifica di prodotto che in qualche modo non decresce mai, e cioè computer, nuove tecnologie e smartphone.
Indubbiamente questo è un fattore significativo che ci mostra come, nonostante il nostro interesse per il cibo sia in crescita, in realtà nella pratica non gli diamo una valenza così importante; evidentemente non abbiamo dunque un’educazione alimentare sufficiente e tale da far pensare che sia importante spendere qualcosa in più per un cibo di qualità. Evidentemente ancora oggi gli smartphone restano uno status symbol. In prospettiva, il futuro in questo senso è molto complesso. Credo che occorerrà che parte delle istituzioni, delle associazioni e dei movimenti che si occupano di cibo e anche di noi singoli consumatori facciamo più attenzione a questi aspetti, perché l’alimentazione significa benessere, significa salute, ed è chiaro che bisognerà considerare anche altre priorità oltre alle tecnologie. Le cose potranno cambiare in meglio solo se ci sarà un’attenzione che può partire, ad esempio, dalle mense scolastiche delle scuole primarie e secondarie. Il ministro delle Politiche alimentari Maurizio Martina ha firmato un accordo molto importante e positivo in questo senso che prevede l’introduzione di prodotti biologici nelle mense scolastiche e pubbliche.
Un’altra antinomia importante in prospettiva futura: fast food e slow food. È evidente quanto sia scontato segnalare la correlazione forte tra fast food e l’aumento dell’obesità tra gli adolescenti del nostro paese. Ma il concetto di slow non riguarda solo il cibo: è una sorta di dimensione culturale che bisogna avere rispetto al fast. Il fast oggi pervade certamente la nostra vita. Tutti noi abbiamo sempre problemi legati alla mancanza di tempo, e il fast viene considerato lo stile di vita migliore. Probabilmente, però, dovremmo essere in grado di recuperare il pensiero mediterraneo di slow e non vedere il “lento” nella sua accezione negativa.
Il punto è che evidentemente slow significa vivere diversamente la nostra vita, ridare importanza alle cose, al pensiero critico, alla riflessione. Nel cibo il problema non è legato alla quantità, ma alla qualità: è pensare a ciò che si mangia, alla filiera, a chi ha prodotto quel cibo, al mangiare insieme agli altri, alla convivialità. In ogni caso, è indubbia la necessità che i prodotti di qualità non costino così tanto come oggi. In molti casi assistiamo a una speculazione anche nel mondo del biologico, che tende a consegnare lo slow solo a una élite: questo non deve accadere. È chiaro, quindi, che occorrerà responsabilità e impegno anche da parte degli operatori di questo settore.
L’ultima antinomia riguarda il rapporto paradossale tra, da un lato, il recupero dei prodotti tipici locali, e dall’altro il cibo multietnico. Credo che il cibo locale abbia avuto un forte risveglio anche in risposta alla globalizzazione, che ha dato importanza all’unica realtà identitaria possibile, vale a dire la terra, il terreno, il luogo dove siamo nati e quindi i prodotti tipici locali. Anni fa trovare prodotti prettamente tipici in grandi ristoranti stellati era quasi impossibile; oggi non è più così, anche se il loro prezzo in contesti del genere è sicuramente aumentato. Tutto questo perchè il prodtto tipico locale ha riacquisito un grande significato. Al tempo stesso, tuttavia, assistiamo alla crescita di interesse nei confronti del cibo multietnico. Ci sono più di centocinquanta etnie presenti nel nostro paese, che rappresentano una straordinaria risorsa. Non a caso i grandi chef hanno subito colto quest’opportunità arricchendo la loro tavolozza di sapori, di saperi e di ricette prendendo spunto dalle cucine mutietniche. Il miscelare il locale e il multietnico rappresenta oggi una grande prospettiva per il nostro futuro; l’ibridazione del cibo può diventare non solo retorica ma l’auspicio è che possa aiutare a unire le persone. Il cibo, così come il turismo, rappresenta uno straordinario vincolo di comunicazione che può aiutare a superare l’ostacolo della non comprensione dell’altro.
Nonostante i pessimismi, quindi, direi che ci sono segnali di un cambiamento concreto, e il nostro comportamento alimentare deve essere considerato come un comportamento e una scelta politica che possa dare concretezza ad alcune speranze. Bisogna rifuggire quindi dalle tentazioni negative di rassegnazione, nel momento in cui sembra che la globalizzazione ci impedisca di poter agire per cambiare alcune situazioni, laddove il mondo del cibo ci fornisce invece quest’opportunità di scegliere il futuro che vogliamo.
Bibliografia
- Bauman Z., Vite di scarto, Laterza, Bari-Roma, 2005.
- Corvo P., Fassino G., Quando il cibo si fa benessere. Alimentazione e qualità della vita, Franco Angeli, Milano, 2015.