Entro il 2050 l’80% della popolazione mondiale sarà urbanizzata, segnando il passaggio della nostra specie da Homo sapiens ad Homo sapiens urbanis. L’incremento dell’intera popolazione globale verrà assorbita dai tessuti urbani che secondo le previsioni dell’Onu, ospiteranno, in termini assoluti, ben 6,3 miliardi di persone. L’aumento della popolazione urbana non sarà, però, un fenomeno con caratteristiche omogenee in tutti i paesi del mondo: la maggior parte della crescita demografica si realizzerà nei Paesi in via di sviluppo. Secondo le previsioni, infatti, nei cosiddetti paesi industrializzati la popolazione urbana aumenterà lentamente, passando dall’attuale miliardo di persone all’1,1 nel 2050; mentre nei PVS il tasso di crescita sarà notevole, con un aumento della popolazione da 2,1 miliardi a 5,1 miliardi. Le città dell’Africa e dell’Asia ospiteranno ben il 73% della popolazione urbana mondiale (rispettivamente 53% e 20%).
Diverse sono le cause di una differenziazione così notevole nei tassi di crescita demografica delle città. Processi endemici come l’aumento (o la diminuzione) dei tassi di fertilità sono, certamente, tra gli elementi che influiscono maggiormente. Il rapporto delle Nazioni Unite a riguardo dimostra come sembra esserci una relazione inversamente proporzionale tra la crescita economica e i tassi di fertilità. Basti pensare che si stima un tasso di fertilità intorno ai 3.1 figli per donna nei paesi africani (cifra che in ogni caso diminuirà rispetto all’attuale 4.9) a confronto di 1.8 figli per le donne europee. Ad ogni modo, si prevede che i tassi di natalità a livello mondiale subiranno una flessione, (negli ultimi 40 anni si è passati da 4.5 a 2.5 figli per donna) probabilmente dovuta alla crescente urbanizzazione globale che porterà le famiglie a desiderare pochi figli a vantaggio, ad esempio, della carriera nei paesi più industrializzati, e di un minor costo in termini di scolarizzazione e sostentamento nei paesi in via di sviluppo.
Lo smodato incremento dell’urbanizzazione, va però rintracciato, anche se in misura più piccola rispetto ai fenomeni prima descritti, nelle continue migrazioni dalle aree rurali alle città, soprattutto nei PVS. In Africa il più grande esodo dalle campagne verso i sistemi urbani ha avuto inizio negli anni 70, continuando senza sosta nei decenni successivi, quando i programmi di aggiustamento strutturali voluti da FMI e Banca mondiale avevano non solo creato un surplus di manodopera nelle campagne, a causa della stagnazione della produttività agricola, ma, ancor peggio, avevano reso le città incapaci di produrre nuovi posti di lavoro. L’urbanizzazione forzata e i tagli statali permisero agli slums urbani si assorbire la nuova popolazione che veniva dalle aree rurali. In generale, in tutto il Sud del mondo, dagli anni 70 in poi la maggior parte dello sviluppo delle città è avvenuto in baraccopoli.
Ma la crescita degli slums non si arresta e non può essere assolutamente considerato un fenomeno relegato ad un passato vicino. Le previsioni a riguardo ci dicono che nel 2030 la popolazione mondiale residente negli slums raddoppierà, passando da un miliardo di persone a circa due miliardi. Una buona percentuale di tale incremento sarà dato dall’arrivo negli slums dei cosiddetti migranti ambientali, costretti ad abbandonare i propri territori, soprattutto nelle zone rurali, perché vittime dei cambiamenti climatici.
Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change, nel 2050 si raggiungerà una temperatura globale di 2° C più alta rispetto alla situazione attuale. Le continue emissioni di gas serra nell’atmosfera, provocate dalle attività umane, avranno effetti disastrosi per il nostro ecosistema sia nel breve che nel lungo periodo. Lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento del livello medio dei mari, la desertificazione di nuove aree, la fusione del permafrost , i cicloni tropicali, le alluvioni e la siccità sono solo alcuni dei problemi che da qui a poco saremmo costretti ad affrontare. Come accennato, i disastri ambientali avranno effetti terribili soprattutto nelle aree rurali, costringendo intere popolazioni a spostarsi nelle città più vicine, che nei Paesi in via di sviluppo vedranno incrementare pesantemente il numero di residenti negli slums.
Il rapporto di Cities Alliance sugli effetti dei cambiamenti climatici mostrano come i migranti ambientali da qui al 2050 aumenteranno vertiginosamente: se nel 2008 erano 20 milioni le persone costrette a migrare per i disastri naturali, in quarant’anni la media salirà a 200 milioni e la maggior parte di essi abiterà nei PVS. I dati mostrano, infatti, che esiste una relazione inversa tra i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra e chi soffre in misura più grande gli effetti dell’azione umana sull’ambiente. Se si considerano, inoltre, le condizioni abitative nelle quali versano gli abitanti delle aree suburbane delle megalopoli dei PVS, la situazione appare ancora più drammatica. Oppressi da una povertà massiccia e da governance deboli, questi sistemi urbani sono e saranno incapaci di ridurre o adattarsi agli effetti del cambiamento climatico, divenendo sempre più vulnerabili. L’innalzamento del livello del mare porterà alla contaminazione delle acque di falda con acqua salata e aggraverà l’erosione costiera; l’aumento delle temperature porterà ad una crescita del tasso di mortalità legato alle malattie infettive, che avranno un maggiore potere di trasmissione, e al caldo; le precipitazioni più cospicue causeranno allagamenti e alluvioni con conseguenti danni al sistema di erogazione di acqua potabile e ai sistemi sanitari.
Rapportando queste previsioni alle popolazioni che affollano gli slums del Sud del mondo, è evidente che gli scenari ipotizzati assumano dimensioni catastrofiche, sia per gli effetti che gli impatti climatici causerebbero direttamente agli abitanti e alle strutture abitative delle baraccopoli, sia per la pressione demografica che potrebbe scaturire dalle future migrazioni ambientali. Considerando il primo punto, un disastro naturale, come un’alluvione ad esempio, spazzerebbe via intere abitazioni costruite con materiali di riuso, precari e, sicuramente, non resilienti. I sistemi igienico-sanitari, già oggi estremamente insufficienti ai bisogni della popolazione, verrebbero completamente interrotti e probabilmente assisteremmo ad esodi di massa verso nuovi slums. Situazioni simili a quanto descritto sono già oggi riscontrabili in diverse città del Sud del mondo. Si pensi, ad esempio, al caso del Bangladesh, paese estremamente vulnerabile, la cui popolazione, vittima negli ultimi anni di diversi disastri climatici, è stata costretta a spostarsi nello slum della capitale Dhaka. Ma la fuga dalle calamità ambientali potrebbe essere solo momentanea, considerando che Dhaka è tra le città più pericolose in termini di rischio legato al cambiamento climatico.
È, quindi, ora il momento di riflettere su quale futuro è previsto per le popolazioni più povere del pianeta. Se i paesi industrializzati stanno iniziando a lavorare sui piani di adattamento climatico per mitigare e gestire gli effetti dei cambiamenti ambientali, per i paesi in via di sviluppo la strada sembra sicuramente più tortuosa. Jorgen Randers, autore nel 1972 del Rapporto del Club di Roma sui Limiti dello sviluppo, nel suo ultimo lavoro (2052. Scenari Globali per i prossimi quarant’anni) vede una possibile soluzione alla povertà e alla vulnerabilità delle baraccopoli urbane, soprattutto africane, in movimenti auto-organizzati nati all’interno degli stessi slums. Una rivoluzione sociale quindi, che parte dal basso, e che probabilmente, secondo Randers, sarà l’unica mezzo con cui realizzare un futuro più equo.
Per approfondire:
- Devis M., Planet of slums, Londra, 2006.
- Legambiente, Profughi ambientali: cambiamento climatico e migrazioni forzate, Roma, 2012.
- Randers J., 2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni. Rapporto al Club di Roma, Edizione Ambiente, Bologna, 2013.
- UN-HABITAT, The challenges of slums. Global Report on human settlements, 2003.
- UN-HABITAT, Cities and climate changes: policy direction. Global Report on human settlements, 2011.
- UN-POPULATION DIVISION, Fertility Levels and Trends as Assessed in the 2012 Revision of World. Population Prospects,2013.
- UN-POPULATION DIVISION, World Population Prospects. The 2012 Revision, 2013