Il “Grand Old Party” (GOP o partito Repubblicano) ha subito una trasformazione radicale durante l’era Trump. Prima della attuale amministrazione, le correnti ideologiche dominanti erano il reaganismo e il neo-conservatorismo, rispettivamente in difesa del libero mercato senza interferenza governativa e una politica estera interventista. Tutto questo è stato stravolto in pochi mesi, da quando Donald Trump ha ottenuto la leadership del Partito Repubblicano nel giugno 2016 e ha in seguito vinto le Elezioni Presidenziali del 2016. Da allora, i vecchi principi sono stati ribaltati e il GOP è diventato il perno di un’ondata globale di populismo autoritario, influenzando i partiti di destra in Europa e in America Latina con le sue politiche protezioniste e isolazioniste.
In realtà il Trumpismo non è inedito nella politica USA (Cillizza, 2019), poiché appena dopo la crisi finanziaria del 2008 nacque il movimento conservatore anti-establishment noto come Tea Party Movement (il cui nome ricorda il Boston Tea Party, l’evento storico che ha scatenato la Guerra d’Indipendenza). Venne visto da alcuni commentatori come la nuova corrente principale del Partito Repubblicano, ma non riuscì ad aggregarsi sotto un’unica figura politica, e svanì in pochi anni. Al contrario, vecchi e nuovi membri del GOP si sono uniti nello sforzo di rimodellare il partito sotto Trump, guadagnandosi il soprannome di enabler, “facilitatori”, ovvero persone che promuovono e giustificano fanaticamente le sue politiche (Reich, 2016).
Nel processo di trasformazione in corso dal 2016, il definitivo punto di non ritorno è stato probabilmente rappresentato dalla Convention nazionale repubblicana dello scorso agosto. Quasi la metà dei relatori apparteneva alla famiglia Trump, gli altri erano enabler di vecchia data (Cai et al., 2020). Al contrario della convention del 2016, non c’era spazio per eminenti repubblicani delle passate amministrazioni o intellettuali appartenenti all’opinione pubblica. Invece, c’era la coppia di St. Louis che ha puntato le armi contro i manifestanti lo scorso giugno, e che ora deve affrontare problemi legali per uso illegale di armi da guerra. Inoltre, Trump ha guadagnato nuovi alleati durante lo scorso anno: i seguaci della teoria del complotto QAnon. Secondo questa teoria, Trump è l’unico baluardo contro il “Deep State”, cioè una cabala di pedofili e satanisti che orbitano attorno al Partito Democratico che cerca di ottenere segretamente il controllo degli Stati Uniti e imporre il Nuovo Ordine Mondiale (Wendling, 2020). Per quanto ridicola possa sembrare questa teoria del complotto, sta guadagnando un supporto crescente, tra cui anche candidati al Congresso, allontanando alla svelta molti conservatori moderati.
Trump ha ribaltato una serie di consolidate convinzioni neo-conservatrici, ha deteriorato le relazioni con partner cruciali (in particolare l’UE) e sfidato regolarmente lo stato di diritto, ma ci sono solo una manciata di Repubblicani di alto rango che resistono apertamente al Trumpismo. In particolare ci sono state faide con il candidato presidenziale del 2008 e veterano della guerra del Vietnam, John McCain, che ha servito come Senatore dell’Arizona durante l’amministrazione Trump.
Le prime grandi ostilità con McCain sono iniziate quando quest’ultimo, dopo aver ricevuto una diagnosi di cancro al cervello, ha effettuato il voto decisivo contro l’abrogazione dell’Affordable Care Act (ACA, ai più noto come Obamacare n.d.t.), sfidando la maggioranza del GOP, e facendola mantenere in vigore. Il presidente Trump ha quindi iniziato a calunniare McCain, anche dopo la sua morte, per non essere stato un vero eroe di guerra, dato che venne catturato dai soldati vietnamiti durante una missione. Dopo queste e altre insinuazioni, riportate da The Atlantic, sui soldati caduti al cimitero di Aisne-Marne (dove sono sepolti gli americani caduti durante le ultime fasi della Prima guerra mondiale), persino le forze armate, istituzioni tradizionalmente conservatrici, sembrano non gradire Trump (Goldberg, 2020). Questa è stata probabilmente una delle prime crepe tra Trump e la fetta di popolazione di tendenza conservatrice. Al contrario, altre comunità conservatrici moderate non sono rimaste in silenzio.
Tra i conservatori moderati nella società civile sembra esserci molto più malcontento nei confronti di Trump che all’interno dei ranghi politici, soprattutto dopo il primo dibattito presidenziale a settembre, quando si è rifiutato di prendere le distanze dalle organizzazioni suprematiste bianche. Gli ultimi mesi hanno segnato un’impennata esponenziale del numero di associazioni ideologicamente conservatrici, ma opposte a quello che è diventato il GOP trumpista. Curiosamente, la maggior parte di loro è guidata da funzionari o intellettuali coinvolti nelle precedenti amministrazioni repubblicane di Reagan e dei due Bush. Il più famoso è il Lincoln Project, che produce video alquanto caustici che evidenziano la sua incompatibilità con gli ideali conservatori dell’onore, del rispetto per le istituzioni e del minimo intervento del governo. Inoltre, non solo si oppongono a Trump, ma sollecitano anche a votare per Joe Biden, un centrista che probabilmente riprenderà gli accordi di libero scambio con partner di vecchia data e ascolterà gli esperti quando si tratterà di affrontare catastrofi globali.
Le crescenti divisioni nella comunità conservatrice riguardo al Trumpismo sollevano la questione della successione di Trump nel GOP. Ha plasmato i repubblicani come un proprio partito personalistico, mescolando cariche elettive e affari di famiglia, senza fornire alcun chiaro erede politico. Inoltre, il suo approccio politico non si fonda su dei principi guida che possano essere raccolti dai suoi successori, ma sull’istinto, come evidenziato dalle sue ricorrenti e famigerate sfuriate su Twitter. In effetti, la capacità di Trump di costruire consenso attirando grandi folle ai raduni e polarizzando il dibattito ha dato i suoi frutti nel breve termine, ma creerà molti problemi nel prossimo futuro. Se Trump dovesse perdere le elezioni presidenziali del 2020 – ammesso che accetti il risultato che sarebbe favorevole a Biden – ci sarà una caotica lotta per il potere all’interno del GOP, soprattutto se quest’ultimo perdesse anche la corsa al Senato. Questo è il risultato più probabile, secondo gli aggregatori di sondaggi come The Economist (che prevede che Biden abbia circa il 95% di possibilità di vittoria e che i Democratici che ottengono la maggioranza al Senato siano al 75%).
Nel caso di un’ampia vittoria per il Partito Democratico, diventerà evidente che il termine enabler per l’elettorato indichi coloro che hanno permesso che un uomo gettasse il Paese in una crisi sanitaria ed economica senza precedenti. In questo caso, il partito si allontanerà dalla retorica apertamente xenofoba e radicale della presidenza Trump. La mossa immediata sarebbe tentare di ottenere il sostegno delle minoranze e ristabilire la fiducia di base nella scienza, che è tra i punti più deboli dell’attuale amministrazione. A tal proposito, una serie di riviste scientifiche di calibro mondiale hanno iniziato a supportare Biden, in dichiarazioni politiche senza precedenti ad esempio Nature e Scientific American. Questo è un segno che gli elettori con maggior grado di istruzione, per non parlare delle élite intellettuali, non tollereranno più il GOP trumpista.
Ciò richiederà che i Repubblicani cambino il loro approccio alle questioni di scienza e razzismo. Sta diventando impossibile sostenere ancora a lungo la situazione attuale, soprattutto perché nel 2022 ci saranno le elezioni di metà mandato, e il GOP potrebbe riconquistare la maggioranza al Senato, che nel 2020 sarà comunque minima, anche se dovessero vincere i Democratici. I Repubblicani non sprecheranno questa occasione. Perciò ci sarebbe indubbiamente poco spazio, in caso di sconfitta alle elezioni del 2020, per la maggior parte degli enabler di Trump, in particolare per il vicepresidente Mike Pence, il suo più fedele alleato. Pence sembrerebbe la scelta intuitiva per il futuro del Partito Repubblicano, dal momento che è estremista come il presidente, ma meno controverso nelle esternazioni e nella vita personale. Nonostante ciò, non possiede il carisma di Trump, fondamentale per accendere gli animi dei seguaci che hanno fatto la fortuna della sua strategia comunicativa. Questo significa che non sarà probabilmente una figura vitale nel futuro GOP.
Invece, il partito farà affidamento su figure più popolari anche tra elettori indipendenti e moderati, disfacendosi dell’eredità trumpista, almeno nella facciata. Il primo politico che potrebbe diventare il leader di fatto del GOP dopo Trump è il candidato presidenziale del 2012, Mitt Romney. Attenuerebbe di sicuro le critiche all’autoritarismo del GOP; infatti, rispetta lo stato di diritto e si preoccupa per la giustizia razziale. Si è persino unito alle proteste Black Lives Matter, generalmente considerate dai trumpisti al pari di sommosse anarco-comuniste. Sicuramente attrarrebbe un più ampio bacino elettorale rispetto a Trump, ma ha raggiunto il suo apice politico quasi un decennio fa, durante la presidenza Obama. Nel caso in cui riprenderà il controllo del GOP, sarà un periodo di transizione, non certo una nuova era.
Anche se Trump vincesse le elezioni presidenziali del 2020, non potrà beneficiare di un terzo mandato, a causa del 22° emendamento, che limita a due i mandati per i quali una persona può essere eletta presidente. A meno di stravolgimenti costituzionali, dovrebbe uscire di scena. A questo punto, nonostante il successo del trumpismo, il problema è che il bacino elettorale chiave per i repubblicani, cioè i bianchi, maschi e Baby Boomer, sta declinando numericamente e le nuove generazioni non sono così conservatrici come lo sono i Boomer (Igielnik e Budiman, 2020). Questo è evidente nell’imminente blue-shift (una metafora per indicare il passaggio al Partito Democratico, il cui colore è il blu) del Texas. In passato era una roccaforte repubblicana, ma ora, sotto la pressione degli ispanici e di abitanti sempre più istruiti, anno dopo anno è più probabile che viri verso il Partito Democratico. Già nel 2020 potrebbe votare un candidato democratico per la prima volta dal 1976. Se il GOP non vuole diventare il partito di riferimento della sola popolazione rurale e nazionalista, deve cambiare strategia.
In questo contesto, il senatore della Florida Marco Rubio è un potenziale leader e possibile candidato presidenziale 2024. È orgoglioso delle sue origini cubane e non ha disdegnato di parlare un impeccabile spagnolo in televisione, il che suggerisce un approccio più morbido all’immigrazione e alla politica estera. Recentemente ha anche abbracciato il “capitalismo del bene comune”, sostenendo le imprese a conduzione familiare e la dignità del singolo lavoratore. Queste politiche sono in diretto contrasto con la resistenza dell’attuale GOP a nuovi pacchetti di aiuti per i lavoratori colpiti dalla pandemia, e la sua tendenza a fornire invece aiuto alle multinazionali nel mercato finanziario.
A conti fatti, potremmo assistere a breve alla fine dell’era trumpista, che segnerà un tempo in cui gli Stati Uniti hanno ignorato deliberatamente i loro migliori scienziati e hanno vissuto invece nell’illusione che una pandemia globale sarebbe miracolosamente scomparsa. Il loro fallimento è evidente, e sempre più organizzazioni e centri di ricerca di destra stanno sfruttando questo fiasco per rafforzare la loro fondamentale opposizione al Trumpismo. Il Partito Repubblicano dovrà riconoscere l’esistenza di una spaccatura nella sua base elettorale e ridefinire la sua posizione per tornare ad accogliere gli elettori insoddisfatti, rigettando le tendenze populiste e autoritarie della presidenza Trump, altrimenti rischia di perderli tutti.
Traduzione dall’originale inglese e editing di Nicolò Romano
Riferimenti
- Cai W., Corasaniti N., Gamio L., Koeze E., Exactly How Much Air Time Did the Trump Family Get?, «The New York Times», 28 agosto 2020.
- Cillizza C., The day the tea party died, «CNN Politics», 23 luglio 2019.
- Goldberg J., Trump: Americans Who Died in War Are ‘Losers’ and ‘Suckers’, «The Atlantic», 3 settembre 2020.
- Igielnik R., Budiman A., The Changing Racial and Ethnic Composition of the U.S. Electorate, Pew Research Center, 23 settembre 2020.
- Reich R., Trump’s Three Big Enablers, RobertReich.org, 6 novembre 2016.
- Wendling M., QAnon: What is it and where did it come from?, «BBC News», 20 agosto 2020.
Come Donald Trump uscirà di scena: il presente e il futuro prossimo del Partito Repubblicano americano – FUTURI
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