È proprio in questo momento storico che, festina lente, si sta riaffermando l’idea che gli Stati moderni siano in possesso di loro prerogative, tali da essere incardinate perfettamente in una riflessione sugli interessi nazionali e, in particolare, su quali sono gli strumenti per salvaguardarli, affiancando l’indicazione del futuro preferibile, delle azioni da mettere in campo per assecondarlo, o per contrastare, all’opposto, la realizzazione dei futuri non auspicabili.
Finita l’era della glaciazione portata dalla guerra fredda, sono stati avviati nuovi processi di scongelamento da cui si sono rinvigoriti nuovi Stati e scaturite nuove vettorialità di rischio che incideranno sul futuro. Se questo si declinerà nella ridefinizione di una nuova ondata di globalizzazione finora a stelle e strisce o nella creazione di un ordine internazionale basato su un G2 anziché su un G20, al momento non è dato sapere. Tuttavia, la riscrittura di tali processi provenienti dal passato rappresenta al tempo stesso la contrapposizione al presente che nasconde, al suo interno, l’obiettivo di riappropriarsi di un futuro diverso, anche se fievole: per dirla a là Kissinger, nella ricerca di un nuovo equilibrio di moderazione, forza e legittimità da parte di uomini di Stato saggi.
La nuova guerra fredda
Nelle diverse fasi di questa sorta di neoprotezionismo trumpiano in atto, il gioco tra le due potenze globali si è fatto progressivamente sempre più duro. Nel 2019 l’amministrazione americana ha incrementato dal 10 al 25% le tariffe su circa 200 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina, in particolare quelle relative a beni intermedi come componentistica per automobili e computer e beni finali, tra cui la telefonia, introdotte a settembre 2018, che si aggiungevano ad altri 50 miliardi di dollari di importazioni in macchinari, attrezzature elettriche e altri beni capitali già sottoposti nel corso del 2018 a dazi del 25%. Oltre alla Cina, anche altri diversi Paesi sono stati colpiti: nel caso specifico dell’acciaio e dell’alluminio, per esempio, Canada, Messico, Turchia e India, insieme ai membri dell’Unione Europea. La presidenza Trump, infatti, ha finora utilizzato la leva dei dazi commerciali, anche solo come minaccia.