Scontenti del presente e incerti circa il futuro, i cittadini delle democrazie liberali di questo XXI secolo, in vent’anni già pesantemente colpito da due crisi globali, quella economico-finanziaria del 2007-2008 e l’attuale pandemia di COVID-19, guardano inevitabilmente al passato (cfr. Tooze, 2018). In Retrotopia (2018), l’ultima opera di Zygmunt Bauman, tra i massimi sociologi contemporanei, si afferma che allorché il futuro appare incerto e pauroso, l’Uomo contemporaneo è tentato dall’idealizzare il passato (la “retrotopia”), vagheggiando magari il ritorno a Stati-nazione autoritari e autarchici, guidati da presunti uomini forti, e a società fortemente identitarie e pre-multiculturali (cfr. Bruno, Cozzolino, Cimini e Ferrara, 2020). Un altro autorevole sociologo, Colin Crouch (2019), ha parlato invece di “pessimismo nostalgico politicizzato” nel tentativo di spiegare la rinnovata fortuna a livello mondiale di movimenti e partiti politici appartenenti alla destra estrema e al populismo radicale di destra.
È fuor di dubbio che tale elemento di nostalgia e idealizzazione del passato costituisca uno dei fattori in grado di spiegare, pur in tutta la sua irriducibile complessità, quello che viene definito il “mainstreaming” della destra radicale e di tanti elementi caratteristici delle sue narrazioni, dalle teorie del complotto all’identity politics (sulla destra radicale a livello globale, cfr. i due recenti lavori di Leidig, 2020; Miller-Idriss, 2020). Se la retrotopia ha avuto modo di attecchire ed essere politicizzata così velocemente è perché in molti paesi, Stati Uniti in primis, l’ineguaglianza economica ha raggiunto livelli spaventosi, come hanno dimostrato, tra i tanti, due lavori divenuto ormai “classici” quali Milanovic (2016) e Piketty (2016).
Per riuscire a essere il presidente di tutti gli americani, Joe Biden dovrà proprio dimostrare di essere all’altezza di due gigantesche sfide, che soltanto una leadership visionaria, ma pragmatica, potrà riunire sotto una sola bandiera, in una nazione lacerata: (1) la disintossicazione della società dal mix esplosivo di sovraeccitazione e bugie che hanno caratterizzato questa stagione del ritorno alla “great America” e (2) il riequilibrio “dell’economia dell’1%”. Se a queste si aggiunge una terza sfida, ossia la gestione responsabile della pandemia di COVID-19, Biden e la nuova vicepresidente Kamala Harris potranno davvero sperare di gettare le basi per il rilancio della leadership americana nel mondo, perché – come recentemente affermato da Ikenberry (2020), tra i massimi teorici dell’internazionalismo liberale – democrazia liberale e ordine liberale internazionale non possono che essere in maniera inesorabile due facce della stessa medaglia.
L’ordine internazionale liberale (Liberal World Order, LWO) è l’insieme di principi e istituzioni attraverso i quali il sistema internazionale è stato governato a partire dal secondo dopoguerra. Imperniato sulla leadership degli Stati Uniti ed esercitato attraverso cinque istituzioni principali (le Nazioni Unite, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, sostituito poi dall’Organizzazione mondiale del commercio, e l’Alleanza Atlantica), esso ha garantito lo sviluppo economico e la sicurezza politica di gran parte del mondo durante la Guerra Fredda. La sua ideazione risale alla Seconda guerra mondiale, quando Roosevelt e Churchill iniziarono a delineare i tratti dell’ordine internazionale che avrebbe dovuto rimpiazzare quello che era stato spazzato via dal conflitto allora in corso. (Parsi, 2018)
La dinamica ha funzionato bene fino agli anni Ottanta, allorché la lungimiranza di preservare un equilibrio così fragile è gradualmente svanita. Le premesse liberali (uguaglianza delle opportunità) e le promesse liberali (un mondo più eguale, pacifico e ricco) sono state sovvertite dalla politica neoliberale e dalle posizioni ideologiche di natura regressiva e anti-progressista (Parsi e Bruno, 2020a). Oggi, un ordine mondiale neoliberale ha quasi del tutto sostituito quello liberale, attraverso l’apertura dei mercati, la privatizzazione economica, la finanziarizzazione e la deregolamentazione, e con governi nazionali incapaci di proteggere i cittadini dalle disuguaglianze sociali derivanti da una globalizzazione non regolamentata (cfr. Nölke, 2017). La politica neoliberale e le tecnocrazie, spesso approfittando di emergenze e crisi, hanno infatti prodotto bolle finanziarie e crescenti disuguaglianze economiche (cfr. Cozzolino, 2019). Ciò è avvenuto in nome di un’ortodossia intellettuale astratta, spesso ridotta all’apertura dei mercati internazionali anche quando dannosa per l’ordine sociale.
Insomma, gli Stati Uniti a guida Biden possono sicuramente contribuire molto al sistema internazionale liberale e veramente multilaterale, anche perché Russia e Cina, per riprendere Ikenberry, cosa avrebbero da offrire? Tuttavia, gli Stati Uniti non sono e non saranno il deus ex machina in grado di risolvere tutte le falle del sistema. Sul “versante esterno”, un nuovo equilibrio tra la sovranità degli Stati e l’azione di coordinamento delle istituzioni internazionali è di primaria importanza, se si vuole salvare l’ordine liberale internazionale. È fondamentale trovare elementi di convergenza diversi dallo status quo e immaginare un interesse generale, che sia maggiore della somma di interessi particolari, per modificare il comportamento non cooperativo (cfr. Parsi e Bruno, 2020b). Mentre sul “versante interno” è necessario che le democrazie liberali sfuggano al dilemma di dover scegliere tra Scilla e Cariddi, ovvero tra la banalizzazione della politica proposta dai populisti o l’iper-complessità grigia e opaca del governo tecnocratico (Bruno, 2020). Seguendo l’analogia con il mito narrato da Omero e Virgilio, non è da sottovalutare la relazione dialettica esistente tra i due fenomeni: spesso, il proposito di porre rimedio al populismo, ha portato irrimediabilmente verso la tecnocrazia (o viceversa), come può essere compreso, ad esempio, dalla gestione della “crisi dello spread”, riguardante i debiti sovrani in Grecia o in Italia all’inizio di questo decennio (Bruno, 2019, Chesney 2018) o la stessa gestione del COVID-19 sotto Trump.
Recentemente Biden ha annunciato un programma di interventi pubblici e di nuova regolamentazione dell’economia persino superiore a quelli presenti nel programma di Obama. È la sola rotta percorribile, per quanto ardua, affinché gli Stati Uniti possano tornare a essere il Paese leader delle democrazie. Le angosce che hanno gonfiato le vele di populismo e sovranismo rimangono tutte. E devono essere affrontate senza illudersi che un ritorno al passato sia la soluzione (cfr. Parsi, 2020a). Una globalizzazione meno selvaggia, un mercato più inclusivo ed equo, uno sviluppo più attento alla salvaguardia del pianeta, una società che non mortifichi qualità e aspirazioni della sua metà femminile: sono tutti obiettivi più a portata di mano con l’America che senza l’America o contro l’America. Ecco perché la vittoria di Joe Biden è stata accolta con tanta soddisfazione da tutti i leader europei. Da sola non basterà a rimettere in carreggiata multilateralismo e internazionalismo liberale, né risolverà magicamente i problemi ambientali. Neppure cambierà la realtà di una crescita relativa del ruolo cinese nel mondo o delle tensioni esplosive del Medio Oriente: ma ci fa guadagnare tempo, ci fornisce rassicurazioni sul metodo e sulla responsabilità con cui Washington si muoverà nei prossimi quattro anni (cfr. Parsi, 2020). Ci offre, in sintesi, maggiori speranze di successo.
Riferimenti
- Bauman Z., Retrotopia, Laterza, Bari-Roma, 2018.
- Bruno V.A., Tra Populismi e Tecnocrazia. La crisi democratica dell’Unione negli anni della Grande Recessione, in A. Cozzolino, F. Iury Forte, F. Palazzi (a cura di), Europa che fare? L’Unione Europea tra crisi, nuovi conflitti e prospettive di rilancio federali, Guida, Napoli, 2019.
- Bruno V.A., Cozzolino A., Cimini, G., Ferrara R., Dall’ordine globale all’Unione europea. Megatrend, rischi, futuri possibili, Italian Institute for the Future, Napoli, 2020.
- Bruno V.A., Between Scylla and Charybdis: Technocratic and Populist Fears compressing Liberal Democracies, in M. Feix, M.-J. Thiel, P.H. Dembinski (a cura di), Peuple et populisme, identité et nation. Quelle contribution à la paix? Quelles perspectives européenne?, Strasbourg University Press, Strasburgo, 2020.
- Chesney M., A Permanent Crisis: The Financial Oligarchy’s Seizing of Power and the Failure of Democracy, Springer, 2018.
- Cozzolino A., Reconfiguring the state: Executive powers, emergency legislation, and neoliberalization in Italy, «Globalizations», vol. 16 n. 3, 2019.
- Crouch C., The ‘left behind’ and pessimistic nostalgia, «Medium», 3 settembre 2019: https://bit.ly/36USbnH.
- Ikenberry G. John, A World Safe for Democracy: Liberal Internationalism and the Crises of Global Order, Yale University Press, 2020.
- Leidig E. (a cura di) The Mainstreaming the Global Radical Right, Columbia University Press/Ibidem-Verlag, 2020.
- Miller-Idriss C., Hate in the homeland: The new global far right, Princeton University Press, 2020.
- Milanovic B., Global inequality: A new approach for the age of globalization, Harvard University Press, 2016.
- Piketty T., Il capitale nel XXI secolo Bompiani, Milano, 2016.
- Nölke A., Financialisation as the core problem for a “Social Europe”, «Revista de economía mundial», n. 46, 2017.
- Parsi V.E., Bruno V.A. (2020a), US presidential election: last call for the liberal world order?, «Social Europe», 26 ottobre 2020: https://bit.ly/370gmBl.
- Parsi V.E., Bruno V.A., What the US Election Means for the Liberal World Order, «Fair Observer», 28 ottobre 2020: https://bit.ly/36XHfWr.
- Parsi V.E., Titanic. Il Naufragio dell’ordine liberale, il Mulino, Bologna, 2018.
- Parsi, V.E., Scenari mondiali. Quali obiettivi rimangono irraggiungibili per gli USA, «Il Messaggero», 8 novembre 2020: https://bit.ly/338goGd.
- Tooze A., Crashed: How a decade of financial crises changed the world, Penguin, Londra, 2018.