Anche se l’attribuzione all’attuale era geologica del termine “Antropocene” è stata di recente messa in discussione dall’Unione Internazionale di Scienze Geologiche, non c’è dubbio che i cambiamenti impressi dall’antroposfera sul pianeta siano radicali, se non sul piano geologico, sicuramente su quello della biosfera nel suo complesso, dato che all’espansione dell’impero umano corrisponde il ritrarsi di quello non-umano, attraverso una vera e propria estinzione di massa che sta caratterizzando sia le specie animali che quelle vegetali. Come controreazione a questo processo, diverse sono le proposte per “decentrare l’umano” e provare così a rompere gli schemi dell’Antropocene, ripristinando il più possibile un equilibrio tra l’umano e il resto della biosfera. Proposte che spaziano dalla filosofia al diritto, dall’antropologia alle religioni, e che in comune hanno l’obiettivo di un approccio oggi definito more-than-human, in cui cioè l’essere umano è considerato solo una parte di un ecosistema più complesso, nel quale peraltro in futuro potranno diventare parte anche le intelligenze artificiali.
Di questi temi abbiamo discusso nel secondo incontro delle Indagini sul Postumano alla libreria The Spark a Napoli martedì 9 luglio insieme con:
- Antonio Camorrino, Professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Napoli Federico II, membro della sezione Religione dell’Associazione Italiana Sociologi, esperto di spiritualità e immaginari della natura, autore tra gli altri di La natura è inattuale. Scienza, società e catastrofi nel XXI secolo (2018).
- Gianfranco Pellegrino, Professore associato di Filosofia politica alla LUISS di Roma, dove è anche titolare dell’insegnamento di “Population Environment and Sustainability”, autore tra gli altri di Etica e politica delle piante (2019) e Nell’Antropocene. Etica e politica alla fine di un mondo (con Marcello Di Paola, 2018).
- Delio Salottolo, Ricercatore in Filosofia morale all’Università di Napoli L’Orientale, dove insegna Etica e comunicazione interculturale, redattore della rivista Scienza&Filosofia, autore di testi su Bachelard, Canguilhem, Foucault, Arendt ed esperto di politiche della relazione natura/cultura nell’umano.
Il dibattito si apre con alcune domande intorno al tema della cosiddetta “ecospiritualità”, di cui Camorrino si occupa. Sorta di neo-tribalismo basato sulla sacralizzazione della natura, il suo successo è strettamente connesso alla questione dell’Antropocene. È infatti una conseguenza dell’immaginario dell’apocalisse ambientale, apocalisse che però non è immaginaria ma reale, in quanto genera conseguenze reali a tutti ben note. Anche la pandemia ha contributo a generare da un lato il sospetto verso l’azione umana, dall’altro un’ulteriore spinta alla presentificazione. La conseguenza è che nell’attuale condizione postmoderna il futuro “speranza” è stato sostituito dal futuro “minaccia”, che non contempla più la figura dell’umano e che vede la natura assumere contorni escatologici, un “oggetto sacro” che sostituisce l’umano. In questa concezione non è più il Dio persona ma la Terra a giudicare l’essere umano. La Madre Terra, inoltre, è figura femminile, che si oppone al Dio padre letto come figura apicale della modernità antropocentrica, quindi da respingere.
Gianfranco Pellegrino osserva come, secondo le note teorie di Lynn White, l’atteggiamento rapace dell’Uomo nei confronti della natura derivi da Genesi 1, e quindi sia strettamente connesso alla religione. Mentre peraltro il filosofo John Passmore metteva in guardia da un atteggiamento di personificazione della natura, la recente enciclica Laudato Si’ propone una visione della Terra come creatura, oltre che come casa comune. Al contempo gli eco-modernisti sostengono un’accezione positiva del concetto di Antropocene, nella convinzione che scienza e tecnologia potranno sistemare tutto, inclusi i danni ambientali prodotti dalla modernità. La moderna idea secondo cui la natura possiederebbe diritti nasce da una causa mossa contro la Disney, intenzionata a costruire un parco divertimenti in una valle naturale. La causa avrebbe richiesto di attribuire alla valle diritti in quanto personalità giuridica; e sulla base del fatto che il diritto consente di attribuire personalità giudica a enti astratti come imprese o Stati, la proposta è stata considerata percorribile. Al tempo stesso, sacralizzare la natura consente di attribuirle diritti, poiché sacralizzare le cose è un modo per attribuirgli valore. Più che diritti, Pellegrino propone di parlare di “cittadinanza”. Gli enti naturali possono avere cittadinanza nel nostro moderno diritto? Dopotutto, riconoscendo l’esistenza dell’Antropocene riconosciamo che l’Uomo ha generato un impatto significato su qualcosa a cui evidentemente attribuiamo esistenza. Si può obiettare che gli enti naturali non si esprimono, non votano, quindi non hanno diritto di cittadinanza nelle odierne democrazie; ma la situazione non è molto diversa da quelle persone che vivono di sussidi e aiuti statali e che nondimeno chiamiamo “cittadini”. Da qui l’esigenza di una teoria politica gradualistica dell’Antropocene.
Delio Salottolo parte da una riflessione sull’ecospiritualità, notando come, rispetto alle diverse “divinità naturali” proposte negli ultimi tempi (Pachamama, il Chtulu di Donna Haraway), forse l’immagine più adatta ai tempi moderni è quella di Solaris di Stanislaw Lem. Gli interrogativi dei protagonisti intorno alla natura del pianeta Solaris fanno saltare in aria tutte le coordinate con cui interpretiamo la realtà. Cos’è? È una macchina? È deterministica? Ha volontà? Ha coscienza? Solaris sfugge a ogni interpretazione e alla fine viene abbandonato perché fa paura. Anche la Terra oggi fa paura, perché sembra sempre meno controllabile. Il dispositivo della scienza è entrato in crisi dopo la pandemia, favorendo l’emergere del negazionismo sul cambiamento climatico, che offre risposte rassicuranti. L’Antropocene mette in discussione tutti i sistemi di pensiero della modernità, come la scienza, la tecnica, il diritto. Gli strumenti che abbiamo usato in questi secoli per spiegare il mondo sono oggi in crisi. Per questo oggi proposte apparentemente radicali come il riconoscere una “etica delle piante” ha senso, nella misura in cui l’immaginazione morale ha oggi superato l’ambito dell’umano.
Eric Voegelin – osserva Antonio Camorrino – afferma che il rapporto tra essere umano e Dio è un “abisso creaturale”: l’Uomo è in debito con Dio che gli ha donato la vita e non può quindi sostituirsi al creatore. Questo sancisce il limite della condotta umana: non è da Dio ma dall’assenza di Dio che nasce l’Antropocene e il dominio dell’umano. Di questi temi Camorrino anticipa che parlerà in un libro di imminente uscita dal titolo Da Dio all’Io. In generale la condizione postmoderna vede il ritorno di quello che nella sociologia dell’immaginario è il “notturno”, contrapposto al diurno: la dimensione non dominatrice della realtà (da qui il Dio padre che diventa “dea madre”, l’indifferenziazione tra gli enti della natura che è tipico del regime del notturno). Camorrino difende l’utilità del concetto di postmoderno in quanto include la categoria del “reincanto”. Il processo di disincanto del mondo ha eliminato l’invisibile, mentre il reincanto lo ha fatto tornare. Il ruolo dell’invisibile è diventato evidente negli anni della pandemia, attraverso la nozione del contagio.
Gianfranco Pellegrino torna sul tema politica/scienza osservando come le posizioni di Bruno Latour sul tema non siano state chiare. Gli scienziati, dice, dovrebbero fare politica. Ma gli scienziati non offrono certezze; quelli semmai sono gli scientisti, di cui i negazionisti sono una componente, paradossalmente, perché credono che la scienza debba dare certezza. Sul cambiamento climatico, al contrario, non si può fare dibattito politico, perché il punto di vista della scienza resta essenziale. Chiarito questo punto, si sofferma sul concetto di “mente estesa” proposto in anni recenti da David Chalmers per comprendere come l’utilizzo dei dispositivi tecnologici sta cambiando la nostra idea di “cognizione”. Se infatti noi perdiamo il nostro smartphone, dove abbiamo memorizzato numerose informazioni e da cui possiamo accedere alle informazioni presenti in Rete, cognitivamente non siamo molto distanti da una persona affetta da Alzheimer, anche se la nostra mente interna non è stata menomata. L’intelligenza e la cognizione non sembrano quindi essere rinchiusi nella scatola cranica. Feynman rispondeva, a chi sosteneva che i suoi calcoli fossero il frutto della sua mente prodigiosa, che in realtà i calcoli sono la sua mente. Ora, il paradigma della mente estesa permette di pensare l’intelligenza artificiale così come l’intelligenza delle piante o degli animali non-umani. Nella modernità abbiamo iniziato ad allargare o a negare caratteristiche umane che credevano rilevanti: il censo, il colore della pelle, il sesso, la nazionalità; siamo passati dall’idea di “popolo eletto” a quella di “genere umano” e ora stiamo estendendo questa università agli animali. Ma non sappiamo ancora se abbiamo tutti in comune una stessa intelligenza. Qual è la proprietà moralmente rilevante nel concetto di “coscienza”? Oggi diremmo il dolore: il fatto di provare dolore ci permette di affermare che un essere è cosciente. Ma è un concetto difficile da definire. Le piante provano dolore? Possiamo privare una pianta di una parte integrante di sé, come le foglie di un albero, o interi rami, e questa continuerà a vivere e riprenderà a formare foglie e rami. Ciò differenzia le piante dagli esseri umani, in cui il dolore gioca una funzione evolutiva, poiché serve a capire che stiamo rischiando la vita, e che se perde un arto o una componente essenziale del proprio corpo spesso muore, o comunque non può ricrearla. Forse dunque non c’è una sola caratteristica da estendere al mondo non-umano.
Salottolo condivide il fatto che possiamo trovare una chiave darwiniana per capire il concetto di dolore/vita, ma non possiamo dire se questi concetti abbiano senso solo per noi. Per tornare all’esempio di Solaris: gli scienziati sottopongono il pianeta a diversi esperimenti e si chiedono se soffra, senza riuscire a dare una risposta. Bisogna trovare dei punti condivisi che non siano politici, ossia dominanti. Siamo davvero sicuri di aver superato le discriminazioni etiche, censitarie, sessuali? Avere un diritto non significa poterlo agire. L’allargamento dei diritti è una cosa positiva su cui tutti concordano, ma occorre cominciare a rimettere in discussione concetti come la democrazia come la intendiamo oggi. È il caso della “giustizia intergenerazionale”: oggi anche nella costituzione italiana si riconosce che le generazioni future hanno diritti che non vanno violati, ma il riconoscimento di questi diritti non si sposa con la democrazia elettorale, che richiede di assumere scelte nell’arco di una legislatura (4-5 anni). Questa forma di democrazia non consente di affrontare l’Antropocene. Sul tema della mente estesa, Salottolo riconosce che l’IA e la robotica sociale possano aiutarci a capire l’intelligenza umana. In questo ha ragione Luciano Floridi quando afferma che l’IA segna la rottura tra intelligenza e azione: secondo il paradigma umano, un’azione è sempre conseguenza di un’intelligenza che la pensa prima di compierla; ma le azioni dell’IA non hanno dietro un’intelligenza nel senso umano del termine. Non c’è una coscienza per come la intendiamo noi. Ci può quindi essere azione senza intelligenza. Se ripartiamo da qui, dalla possibilità che ci sono altri enti nel mondo che agiscono, al di là dell’attribuire loro una coscienza “antropizzata”, allora diventa possibile questo tentativo di realizzare un paradigma more-than-human per il futuro post-Antropocene.