Esistono diverse strategie attualmente in uso per realizzare un ambiente a gravità ridotta, o – per estensione – alterata rispetto a quella comunemente sperimentata sulla superficie terrestre. Ma cosa si intende propriamente quando si parla di ridurre o alterare la gravità? Sebbene tale terminologia sia ormai ampiamente diffusa negli ambienti tecnici e scientifici secondo un’accezione quantomeno “operativa”, è opportuno concederle maggiore attenzione in ambito divulgativo, dove non è raro imbattersi in narrazioni fuorvianti. Le stesse espressioni assenza di gravità, assenza di peso, microgravità o gravità ridotta possono dare adito a equivoci interpretativi piuttosto grossolani. Familiarizzare con tale terminologia per coglierne le differenze concettuali potrebbe dunque rivelarsi un’utile premessa.
Iniziamo subito col rilevare che in generale non è possibile spegnere un campo gravitazionale, realizzando istantaneamente un’assenza di gravità. Sarebbe comunque concettualmente possibile ottenere un ambiente a gravità fortemente attenuata – al limite, nulla – se si viaggiasse nello spazio profondo a una distanza estremamente elevata dal nostro pianeta. Per sperimentare un’accelerazione gravitazionale terrestre pari a un milionesimo di quella a cui siamo soggetti a terra, occorrerebbe infatti viaggiare nello spazio fino a una distanza di 6 milioni di km. Tuttavia, se volessimo ridurre al medesimo livello anche la gravità solare, bisognerebbe percorrere una distanza pari a circa 3.7 miliardi di km, rendendo al momento fortemente impraticabile un’eventuale sperimentazione scientifica in assenza di gravità. A una distanza di circa 400 km dalla superficie terrestre – dove attualmente orbita la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) – la gravità è ancora circa il 90% di quella sulla superficie terrestre. La stessa ISS, i passeggeri e gli oggetti a bordo, continuano dunque a essere attratti verso il centro della Terra in una condizione che quindi sbaglieremmo fortemente a definire assenza di gravità. Per motivare le fluttuazioni di astronauti e oggetti a bordo di piattaforme orbitanti, sarebbe concettualmente (oltre che lessicalmente) più opportuno riferirsi a tale condizione come assenza di peso. Questa condizione è riproducibile localmente all’interno di un qualunque sistema di riferimento in caduta libera in un campo gravitazionale, ovvero soggetto esclusivamente alla forza di gravità.
Supponendo di trovarci ad esempio in un ascensore in caduta libera a causa di un campo gravitazionale diretto verso il basso, la forza di gravità a cui saremmo soggetti (diretta verso il basso) eguaglierebbe la forza non-inerziale (diretta verso l’alto), ovvero la forza fittizia che risentiremmo per l’effetto stesso dell’accelerazione dell’ascensore, che è pari proprio all’accelerazione di gravità con cui sta cadendo. Grazie a questa equivalenza – incorporata nel Principio di Equivalenza di Einstein – all’interno dell’ascensore in caduta libera saremmo localmente soggetti a una forza netta nulla, che di fatto vanificherebbe la percezione del nostro peso. Infatti, se ci ponessimo su una bilancia, questa non sarebbe soggetta ad alcuna forza netta da parte nostra, registrando un peso nullo.
Orbitando attorno alla Terra, la ISS è costantemente in caduta libera: in questo caso la forza non-inerziale che bilancia l’attrazione gravitazionale è la forza centrifuga dovuta al moto orbitale, facendo sì che a bordo si verifichino le condizioni di assenza di peso. Quanto appena descritto è tuttavia un caso ideale. Più precisamente, la forza di gravità non è l’unica ad agire sulla stazione spaziale. La resistenza di attrito causata dall’atmosfera residua, le vibrazioni generate dalle attività a bordo, e il gradiente di gravità dovuto alla posizione relativa al centro di massa della piattaforma orbitante (una sorta di effetto mareale) sono alcune delle perturbazioni che non consentono di annullare completamente il peso. Livelli residui di gravità – dell’ordine del milionesimo del valore sperimentato sulla superficie terrestre – ancora sussistono a bordo, portando più propriamente a riferirsi a tale condizione come microgravità.
Numerose sono le discipline di ricerca tradizionalmente interessate dalla sperimentazione a zero-g. Nella sola scienza dei fluidi in microgravità, che la ricerca italiana in particolare ha arricchito di contributi pioneristici, è possibile distinguere un numero considerevole di aree di interesse dai forti risvolti applicativi, come la ricerca sui dispositivi di trasporto di calore per il controllo termico dei sistemi spaziali. Altri esempi di ambiti tecnico-scientifici storicamente e fortemente esplorati con la sperimentazione in microgravità si trovano nelle biotecnologie, nella scienza dei materiali e nella medicina spaziale.
Sebbene dunque la necessità di disporre di un laboratorio di microgravità sia soddisfatta dalla Stazione Spaziale Internazionale e da altre piattaforme orbitanti, queste soluzioni possono comportare costi molto elevati per la preparazione di un esperimento scientifico, nonché procedure complesse e tempistiche molto lunghe sia tra le fasi di progettazione e implementazione dell’esperimento, sia per il suo recupero a terra per la successiva fase di analisi. Esistono tuttavia diverse strategie alternative per realizzare – almeno in brevi lassi temporali – degli ambienti a gravità ridotta. Una di queste consiste nell’utilizzo di voli parabolici. Si tratta di far compiere a un velivolo una traiettoria coincidente con un arco di parabola, idealmente sotto l’effetto della sola forza gravità, realizzando una condizione di assenza di peso per tutta la durata della manovra in caduta libera, ovvero circa 20 secondi in genere. Anche in questo caso, però, la presenza di disturbi esterni, quali turbolenza aerodinamica o il non perfetto bilanciamento tra le forze aerodinamiche e l’azione propulsiva dosata dal pilota durante la manovra, determinano la presenza di accelerazioni residue a bordo. Questo avviene in misura ancora maggiore rispetto alle piattaforme orbitanti, garantendo di fatto una minore qualità della microgravità ottenibile a bordo. Più che di microgravità si dovrebbe in realtà parlare di gravità ridotta, dato che il livello di accelerazione gravitazione residua a bordo è circa un centesimo di quella sulla superficie terrestre (contro circa un milionesimo ottenibile sulla ISS).
L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) organizza regolarmente campagne di voli parabolici per consentire a ricercatori e studenti di condurre esperimenti a gravità ridotta, testare hardware per future missioni spaziali e addestrare astronauti. Nel novembre 2019 ho avuto modo di partecipare alla 72ma campagna di voli parabolici dell’ESA, in quanto membro del gruppo di ricerca del Microgravity Research Center dell’Université Libre de Bruxelles. In quella occasione, ho operato un esperimento volto a indagare le proprietà di auto-emulsione artificiale di alcuni sistemi chimici per applicazioni spaziali, durante tre giorni di volo a bordo dell’Airbus A310 ZERO-G. Si tratta di un airbus A310 adattato per la sperimentazione in microgravità operato dall’azienda Novespace, il contraente dell’ESA responsabile della preparazione ed esecuzione delle campagne di voli parabolici.
Ma vediamo come funziona più nel dettaglio un volo parabolico. In partenza dall’aeroporto di Bordeaux-Mérignac, generalmente il velivolo si porta su un corridoio di volo preassegnato sul Golfo di Biscaglia dove poi, a un’altitudine di circa 6000 metri, inizia la manovra parabolica con un angolo di inclinazione di 45° e piena potenza dei motori. In questa fase, i passeggeri a bordo sperimentano una fase di ipergravità (poco meno del doppio di quella terrestre) a causa dell’aggiunta dell’accelerazione dei motori alla normale attrazione gravitazionale. Dopo circa 20 secondi, il velivolo si trova a 7600 m di quota e il pilota porta i motori al minimo della potenza, regolando la spinta solamente per bilanciare le forze aerodinamiche e assicurare che il velivolo sia quanto più possibile in caduta libera. Questa è propriamente la fase a gravità ridotta, della durata di 20 s, in cui il velivolo percorre l’arco di parabola. A fine arco, i motori si riaccendono, si ritorna in ipergravità per altri 20 s e la manovra giunge a conclusione. In una giornata di volo, il velivolo esegue un totale di 31 parabole di 20 s di microgravità ciascuna.
Novespace offre anche la possibilità di effettuare voli a gravità alterata rispetto a quella terrestre. Infatti, volando a diversi angoli di attacco è possibile percorrere archi di parabola per simulare i livelli di gravità lunare o marziana (rispettivamente circa 1/6 e 1/3 di quella terrestre). In tal senso, la sperimentazione di microgravità offre dunque l’occasione di affrontare tematiche di estrema aderenza alle nascenti visioni di espansione dell’umanità dello spazio nel breve e nel lungo periodo. Di forte rilevanza è la ricerca portata avanti nell’ambito dell’astrobotanica in merito alla possibilità di coltivare piante in ambienti in microgravità o a gravità ridotta, quali la superficie lunare o quella marziana. Tali studi potrebbero fornire le fondamenta per la realizzazione di sistemi ecologici autosufficienti in futuri avamposti umani nel sistema solare, in combinazione con un utilizzo ottimale delle risorse in loco e la progressiva riduzione dell’approvvigionamento da Terra. Altrettanto significative continuano a rivelarsi le indagini sugli effetti della microgravità sulla fisiologia umana e su attività cognitive quali la percezione del moto o l’elaborazione delle informazioni in assenza di peso, step chiaramente propedeutici a studi di fattibilità per missioni interplanetarie di lunga durata con equipaggio umano. Anche la scienza dei materiali risulta fornire contributi particolarmente stimolanti. Abbastanza recente è l’interesse nello studio di tecnologie di 3D-printing a zero-g, con l’obiettivo di realizzare e assemblare strutture in orbita, con una sostanziale riduzione dei costi di traporto dalla Terra. Mentre di forte attualità è la ricerca finalizzata a indagare gli effetti della gravità lunare sui meccanismi di diffusione durante l’estrazione di ossigeno e acqua dalla regolite lunare.
Questi sono solo alcuni degli esempi significativi di come la sperimentazione in ambienti a gravità simulata sia ancora chiamata a rivestire un ruolo di primo piano negli immediati sforzi tecnologici e scientifici necessari all’avanzamento dell’espansione dell’umanità nello spazio.