Lo spazio possiede un proprio corpus giuridico, elaborato a partire da quando, ai primissimi albori dei programmi spaziali russi e statunitensi, la comunità internazionale avvertì la necessità di dare una regolamentazione alla materia al fine di evitare che potesse diventare luogo e motivo di conflitto. Già nel 1958, con la creazione dell’UNCOPUOS (la Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico), iniziò il dibattito che portò alla conclusione, quasi dieci anni dopo, del Trattato sui principi che regolano le attività degli Stati in materia di esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico ivi compresa la Luna e gli altri corpi celesti, più noto col nome di “Trattato sullo spazio”. Tale trattato, strumento di diritto internazionale e pertanto non strettamente vincolante, rappresenta tuttora il principale testo normativo dedicato allo spazio. Nel corso degli anni successivi alla sua conclusione, altri trattati hanno ampliato la regolamentazione in materia spaziale (a titolo di esempio il Trattato sulla Luna, il Rescue Agreement e le varie convenzioni sulla responsabilità per danni provocati dagli oggetti nello spazio, sulla loro registrazione ecc.)
Tuttavia, già di per sé il corpus giuridico spaziale gode di ben poco vigore: all’intrinseca mancanza di cogenza dei trattati internazionali[1], infatti, si aggiungono due elementi di vulnerabilità: i trattati relativi a questa materia sono stati scritti decine di anni fa, quando molti e importantissimi aspetti dell’utilizzo dello spazio che rappresentano il presente e il prossimo futuro delle attività che attori pubblici e privati programmano di svolgere fuori dall’atmosfera terrestre non erano nemmeno immaginabili. Le norme che regolano l’uso dello spazio sono state infatti determinate quando ancora era ad esempio impensabile la creazione di una base lunare o marziana, quando i voli suborbitali a scopo turistico e di trasporto non erano ancora stati concepiti e quando la possibilità di sfruttare l’estrazione mineraria sugli asteroidi era pura fantascienza. I trattati inoltre spesso sono poco chiari, in nome della volontà di mantenere pace e mutuo consenso tra i maggiori soggetti internazionali. Pertanto, le definizioni e le norme che contengono sono vaghe, aperte a interpretazioni discordanti. Se in un’epoca di primissima esplorazione tali manchevolezze potevano non creare particolari conflitti, nella realtà odierna in cui lo spazio sta cominciando ad affollarsi di player pubblici e privati rivolti al suo sfruttamento economico rischiano di mettere in seria difficoltà lo stesso corpus normativo che, se non rinnovato e supportato da meccanismi di controllo condivisi e adeguati sistemi di creazione e applicazione del diritto, rischia di rimanere uno strumento inefficace e incapace di far fronte alle nuove frontiere dell’utilizzo dello spazio.
Sfruttamento e appropriazione delle risorse presenti nello spazio: analisi dello space mining e delle questioni relative al diritto di proprietà
Un esempio lampante della necessità di ripensare e rinnovare il diritto dello spazio viene dagli Stati Uniti, dalle compagnie statunitensi che si stanno approcciando allo space mining e dallo Spurring Private Aerospace Competitiveness and Entrepreneurship Act (noto anche come Space Act). La questione, in particolare, riguarda il diritto di proprietà. Il Trattato sullo Spazio, infatti, vieta al suo articolo II l’appropriazione dello spazio e dei corpi celesti in qualsiasi forma. Allo stesso tempo, però, l’articolo I della medesima carta sancisce la libertà di esplorazione e uso delle risorse presenti nello spazio. Delle due l’una: o si guarda alla lettera del trattato e si nega ogni possibilità di sfruttamento e appropriazione di risorse nello spazio, o ci si schiera a favore dell’interpretazione più favorevole alle nuove imprese spaziali in nome della libertà d’uso (cfr. Marchisio, Iacopini, 2016).
A dirimere la questione ci ha già tentato in passato il Trattato sulla Luna (Accordo che disciplina le attività degli Stati sulla Luna e altri corpi celesti), il quale ha tra i suoi princìpi fondamentali che ogni risorsa non terrestre costituisce patrimonio comune dell’umanità e non è quindi rivendicabile. Per inciso va specificato che tale principio rimanda al diritto del mare, precisamente alla materia delle acque internazionali e alla Convenzione di Montego Bay da cui il diritto dello spazio ha preso nel corso degli anni vari spunti. A differenza di quanto riguarda gli asteroidi e le risorse che essi contengono, però, i quali sono per definizione di diritto spaziale “res communes omnium” (ovvero di tutti), i fondali marini sotto le acque internazionali sono patrimonio comune dell’umanità e per il loro sfruttamento è previsto un sistema preciso di concessione e autorizzazione da parte di un’autorità internazionale. Al contrario, per quanto riguarda il diritto di sfruttare le risorse minerarie degli asteroidi, non essendo nemmeno chiaro se ciò sia lecito o meno, tale meccanismo non è ancora stato nemmeno immaginato. La genesi del procedimento di autorizzazione previsto per l’uso dei fondali in acque extraterritoriali, tuttavia, può servire come spunto per comprendere quanto sta succedendo e, presumibilmente, accadrà con riferimento allo sfruttamento delle risorse degli asteroidi.
Prima che si raggiungesse il compromesso necessario a creare un procedimento condiviso in grado di regolare lo sfruttamento dei fondali, infatti, ci fu un’ondata di legislazioni nazionali che vi dettavano legge unilateralmente. In ambito spaziale, lo Space Act e la legge lussemburghese sullo sfruttamento minerario a fini commerciali dei corpi celesti sono segno chiaro e innegabile della analoga tendenza a colmare il vuoto del diritto internazionale con leggi interne che permettano di non rimanere imbrigliati dal dettato di trattati obsoleti e perdere l’opportunità di avviare quel business che sarà senz’altro parte del futuro dell’economia.
È evidente che interrogarsi sulla questione riguardante la liceità o meno delle attività minerarie nello spazio sia, allo stato dei fatti, un’attività puramente giuridica che ha già a priori la necessità di arrivare a una soluzione positiva. Ciò non tanto ad appannaggio delle imprese commerciali e delle loro mire di business, ma per una oggettiva aderenza ai fatti e alle obiettive direzioni in cui l’economia si muoverà nel prossimo futuro. Alla luce del dettato normativo statunitense, il quale recita che «un cittadino americano impegnato nel recupero di risorse da un asteroide o dallo spazio ha il diritto di possedere, trasportare, vendere, usare qualsiasi risorsa ottenuta in osservanza alle leggi vigenti e agli obblighi internazionali statunitensi», è pertanto indispensabile riflettere su come risolvere il contrasto che tale norma crea con l’articolo II del Trattato sullo Spazio, chiarendo peraltro se il diritto di uso a cui fa riferimento la norma internazionale comprenda anche la possibilità di sfruttamento a fini economici. É indispensabile che, a fronte di una legge (peraltro rientrante in una prassi a cui gli Stati Uniti non sono nuovi) che legifera autonomamente su una materia e un settore posti al di fuori dalla territorialità di sua competenza, si risponda con un coordinamento internazionale che dia serie e chiare soluzioni condivise in grado di evitare il moltiplicarsi di leggi nazionali in un ambito, com’è quello dello spazio, per definizione internazionale.
Un possibile punto di partenza per ammettere la possibilità di sfruttare le risorse presenti nello spazio può venire già da un esame più attento del Trattato. Con riferimento ai corpi celesti e allo spazio, esso infatti esclude la possibilità di appropriazione nazionale e di rivendicazione di sovranità. Ad essere rifiutati paiono essere infatti con chiarezza i diritti di proprietà rivendicati a livello nazionale: nulla si dice con trasparenza in riferimento alla proprietà di aziende private e singoli privati. Non uno sdoganamento della possibilità per i privati di rivendicare come propri appezzamenti lunari o interi asteroidi, come pure è stato tentato da qualcuno in passato: certamente, e come ben specificato dalla norma statunitense, le nazioni devono accertarsi che i loro cittadini agiscano in conformità col trattato, ma lo stesso Space Act e sulla sua scia la legge lussemburghese rispondono sul punto tramite il meccanismo di autorizzazione e l’analisi di fattibilità da cui l’impresa deve necessariamente passare per poter accedere allo sfruttamento economico dei corpi celesti. Ciò che in definitiva ci si può e deve auspicare è che tale autorizzazione derivi al più presto da un’autorità internazionale a ciò dedicata e non da organismi nazionali.
Vuoti normativi da colmare: l’attività turistica nello spazio
Voli suborbitali
È indubbio che le frontiere del trasporto stiano cambiando, tanto sulla Terra (un esempio su tutti la tecnologia di Hyperloop) ma anche per via aerea e, analogamente, nello spazio. Il trasporto aereo e quello spaziale necessitano oggi di un’analisi più profonda, dal momento che il trasporto spaziale sta diventando una realtà non più circoscritta a pochi facoltosi e alla luce del fatto che il labile confine tra ciò che è aereo e ciò che è spazio determina regole differenti e la necessità di intervenire per creare apposite norme dedicate al turismo spaziale. Il primo punto di differenza tra i due sistemi normativi è che mentre il diritto aereo soggiace alla sovranità statale, il diritto dello spazio, come analizzato in precedenza, ne nega ogni sovranità. Eppure si tratta di ambiti necessariamente connessi.
Posto che quanto avviene nello spazio aereo di uno Stato ricadrà senza dubbio nel diritto dello stesso, indipendentemente dalla natura dell’attività di trasporto interessata, aderendo alla tesi funzionalistica del trasporto spaziale (cfr. Catalano Sgrosso, 2014) si può affermare che finché i voli suborbitali prevedono periodi di transito fuori dall’atmosfera di breve durata e non preponderanti nel piano di volo l’attività del mezzo rientra nel diritto aereo. In caso contrario, sarà necessario applicarvi il diritto dello spazio. Analogamente a quanto detto in riferimento al diritto di proprietà, anche nel settore del trasporto spaziale è necessario un intervento normativo che colmi i vuoti derivanti dall’obsolescenza dei trattati. Ed esattamente come nel caso dello space mining a prendere provvedimenti, finora, ci hanno pensato gli Stati Uniti che, con il Commercial Space Launch Amendment Act, hanno previsto la possibilità che l’autorità pubblica (la FAA) conceda al privato i permessi necessari per il trasporto spaziale, che così potrà trarre profitto dall’investimento a patto di soggiacere alla sorveglianza statale durante le operazioni.
Norme specifiche vanno previste anche con riferimento alle condizioni di trasporto: analizzando il Rescue Agreement e per vari aspetti anche la Convenzione sulla responsabilità per danni, si può ricavare che ai passeggeri non solo è necessario fornire adeguata copertura assicurativa, ma anche che essi debbano prendere visione e coscienza dei rischi connessi al tipo di trasporto (Catalano Sgrosso, 2014): ciò per evitare conflitti riguardo alla responsabilità per colpa dello Stato di lancio del mezzo in caso di danni nello spazio.
Insediamenti permanenti extra-atmosferici
Quello delle assicurazioni è un altro terreno molto fertile per gli operatori del diritto nel settore aerospaziale, e non solo per quanto riguarda i vettori. Basta considerare i programmi spaziali statali e di business privato, tutti orientati a permanenze umane sempre più lunghe fuori dall’atmosfera e dal “prototipo” della ISS, per poter facilmente prevedere che nel futuro scenario dello sfruttamento spaziale si arriverà a costituire insediamenti permanenti extra-atmosferici. Insediamenti votati non solo alla ricerca ma all’abitabilità, a cui possano accedere non solo specialisti della ricerca spaziale ma anche lavoratori dello spazio e persino turisti. Un’ipotesi questa che impone di prendere in considerazione altri aspetti normativi oggi tralasciati dal diritto dello spazio.
Oltre alla questione sopra esposta della possibilità di creare tali insediamenti in accordo con i Trattati, si pone brevemente l’attenzione sull’aspetto umano più immediato, relativo ai turisti e ai lavoratori coinvolti. Ciò, ovviamente, tenendo conto che quanto previsto in termini di giurisdizione, tutela, diritti e responsabilità degli astronauti a bordo della ISS, “ambasciatori dell’umanità”, difficilmente potrà applicarsi in via analogica a privati e semplici lavoratori. Si avrà pertanto la necessità di stipulare adeguate polizze assicurative, che comprendano anche i rischi derivanti dalle radiazioni presenti nello spazio; un’opportuna estensione di quanto previsto dalla Carta dei diritti umani che consenta di tutelare gli “abitanti” degli insediamenti extra-atmosferici; si porrà inoltre l’esigenza di adeguare ed estendere i trattati del corpus spaziale che oggi, alla lettera, non contemplano tutele e responsabilità di soggetti non facenti parte dell’equipaggio perché, banalmente, quando sono stati scritti non si immaginava la presenza nello spazio di soggetti non addetti ai lavori, cosicché, astrattamente, si potrebbe sottolineare che a una lettura puramente tecnica essi resterebbero esclusi persino dalle previsioni dell’Accordo sul salvataggio degli astronauti. Per quanto riguarda i lavoratori dello spazio, categoria a oggi inesistente, oltre a darne una definizione dovrebbero essere stipulati contratti di lavoro ad hoc, pensando a tutele adeguate e regimi adatti al luogo e alle modalità in cui dovranno svolgere il proprio lavoro.
Come accennato poc’anzi, anche con riguardo allo stesso insediamento si pongono problematiche di diritto. Esse riguardano la liceità di creare strutture permanenti nello spazio ma anche la relativa giurisdizione, le questioni di competenza e di regolazione delle controversie che possono scaturirne, senza dimenticare la problematica di inserire una struttura simile in uno spazio saturo di detriti con conseguente pericolo per l’insediamento stesso e problemi derivanti dal suo contributo all’inquinamento dello spazio attorno alla Terra.
Un futuro più lontano
In conclusione, guardando più lontano è possibile ipotizzare che in futuro verranno create (per cominciare) colonie stabili sul suolo lunare o quello marziano. Sono tante e ardue le sfide che costellano il cammino che l’umanità dovrà affrontare per arrivare a tale traguardo. Sfide scientifiche, tecnologiche, ma anche di diritto. Quali leggi si applicheranno nella vita quotidiana di una colonia marziana? Quale forma di governo, quale forma di stato si può immaginare per una colonia nel lontano futuro del suo sviluppo indipendente dal Pianeta Terra? Come affrontare il tema della nazionalità per coloni di seconda generazione? E i discendenti dei primi coloni saranno ancora esseri umani, con pari diritti, o una volta intervenute ipotetiche modificazioni biologiche incompatibili con la vita a Terra essi cesseranno di essere definibili “umani”?
È una strada piena di interrogativi su cui è necessario cominciare a riflettere per dare risposte concrete in grado di scongiurare il pericolo di dover affrontare il problema quando ormai si sarà già presentato. Interrogativi, questi, a cui è necessario dare risposta attraverso gli strumenti di cui è fatto il diritto dello spazio, ovvero quella collaborazione e quella condivisione che rappresentano il punto di partenza imprescindibile per poter affrontare la colonizzazione dello spazio e per essere in grado di accostarsi ad essa non come Stati ma come intera Umanità.
Bibliografia
Catalano Sgrosso G., Diritto aereo o diritto spaziale per i voli suborbitali? Il punto di vista del giurista, relazione tenuta a “Hypersonic. First Symposium on Hypersonic Flights”, giugno 2014: https://bit.ly/2GOMtcp.
Marchisio S., Iacopini A., Lo Space Act 2015 è una legge illegale?, «Flyorbitnews», 19 febbraio 2016: https://bit.ly/2EooIEA.
I testi integrali dei Trattati e dei Principi sullo spazio sono consultabili sul sito dell’UNOOSA: http://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/treaties.html
[1] I trattati internazionali non hanno di per sé forza vincolante, ma la assumono solo per gli Stati che li hanno ratificati. Per tutti gli altri Stati, valgono come principi guida e hanno lo status legale delle risoluzioni dell’Assemblea Generale ONU.