La pubblicazione del Libro Bianco della Commissione Europea (Marzo 2017) è giunto a quasi dieci anni da uno degli eventi chiave del primo decennio degli anni Duemila: lo scoppio della crisi finanziaria globale (2007-8), punto culminante di un processo di accumulazione di squilibri macroeconomici, finanziari e sociali. Negli anni della crisi, numerose sono state le iniziative di riforma intraprese in ambito europeo. Le innovazioni della governance economica, in particolare, si sono susseguite con interventi mirati a rendere più stringenti le procedure macroeconomiche e di bilancio, e ad introdurre meccanismi finanziari di “salvataggio” di quei paesi minacciati dal pericolo di default dei loro debiti sovrani. Pacchetti di riforme come il Six Pack (2011) e il Two Pack (2013), il Treaty on Stability, Coordination and Governance (noto come fiscal compact: 2012), sono esempi di una intensa attività di intervento volta alla ridefinizione delle procedure macroeconomiche, fiscali e di bilancio sovranazionali. Il principale risultato degli anni di riforma nella crisi è il Semestre Europeo (SE).
Il SE consiste in una serie di procedure finalizzate al rafforzamento del coordinamento della disciplina macroeconomica, finanziaria e di bilancio. Il perno istituzionale del Semestre è la Commissione Europea, il cui potere di supervisione e disciplinamento delle politiche economiche degli Stati Membri è stato ulteriormente accresciuto negli anni della crisi (Bauer e Backer, 2014; Sandbeck e Schneider, 2014; Obendorfer, 2016).
Il presente saggio, ricostruendo storico-criticamente gli elementi fondamentali della governance economica europea in particolare dal Trattato di Maastricht in poi (1992), prova a fare luce sulle continuità e innovazioni delle linee evolutive affermatesi nelle ultime due decadi, e ad inquadrare il Libro Bianco Sul futuro dell’Europa – Scenari verso il 2025 in quest’arco storico.
Brevi note sulla governance economica dell’Unione Europea in prospettiva storica
Per comprendere gli attuali sviluppi della governance economica europea è necessario ripercorrere schematicamente alcuni degli elementi fondamentali della traiettoria economico-istituzionale dell’Unione. Il punto di partenza di queste brevi note è il Trattato di Maastricht (1992), che ha costituzionalizzato, nel Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il paradigma macroeconomico neoliberale e monetarista[1] (Dyson e Quaglia, 2010a, 2010b), fissando altresì i parametri macroeconomici che i paesi candidati ad entrare nell’Unione Economica e Monetaria (EMU: 2001) dovevano rispettare.[2] Partiamo da quest’ultimo punto. Per essere parte dell’EMU, i paesi candidati dovevano avere un tasso di inflazione non superiore all’1.5 percento della media dei tre paesi con il tasso di inflazione più bassa; i tassi di interesse non dovevano eccedere il 2 percento della media dei tre paesi con il tasso d’interesse più basso; il deficit di bilancio non doveva eccedere il 3 percento in rapporto al PIL; il debito pubblico non doveva eccedere la misura del 60 percento; non dovevano esservi state svalutazioni nei due anni precedenti all’entrata in vigore dell’EMU (De Grauwe, 2016: 170-190). Per rientrare in questi parametri[3] (che sono tutt’ora quelli di riferimento per la disciplina macroeconomica dell’Eurozona), tutti paesi e segnatamente l’Italia hanno intrapreso (in particolare dagli inizi degli anni Novanta) programmi di ristrutturazione economica su vasta scala: da un lato, implementando programmi di consolidamento fiscale, ossia riduzione della spesa primaria di bilancio; dall’altro, introducendo programmi di privatizzazione, liberalizzazione, e deflazione salariale[4].
Sotto un profilo istituzionale, nel Trattato di Maastricht e nel successivo Patto di Stabilità e Crescita (1997), la Commissione Europea, in concerto con il Consiglio Europeo, si vedeva riconosciuto il ruolo fondamentale di supervisione e disciplina della politica economica comunitaria. In particolare, grazie all’attivazione della Procedura per Deficit Eccessivo (art. 126 TFUE), la Commissione otteneva il potere di monitorare il percorso dei paesi membri di rientro dal deficit/debito pubblico, avendo anche facoltà di imporre una serie di misure sanzionatore nel caso di non adeguamento alla disciplina dell’austerity dei conti pubblici – indipendentemente dalla congiuntura dell’economia nazionale.
Nella Costituzione europea, dunque, due elementi interdipendenti devono essere sottolineati. Il primo è la costituzionalizzazione di una visione dell’economia e della società basata sulla centralità del mercato come – in termini Foucaultiani – meccanismo generale di regolazione sociale (1994). Il secondo è un processo istituzionale di centralizzazione verticale del processo decisionale delle questioni dell’economia politica europea, dunque enfatizzando il ruolo generale dell’Esecutivo dell’Unione (in particolare Commissione e Consiglio Europeo) (Obendorfer, 2016). Questo doppio movimento di centralizzazione istituzionale e centralizzazione del ruolo del mercato nella società costituisce il fondamento dell’economia politica e dell’architettura istituzionale dell’Unione: è in questo quadro di continuità e coerenti innovazioni che l’ultimo Libro Bianco della Commissione deve essere letto.
La politica economica dell’Unione Europea negli anni della crisi
La crisi del 2008 è la crisi del paradigma neoliberale come sviluppatosi nelle ultime quattro decadi (Duménil e Lèvy, 2011). Tuttavia, stante la recessione (e poi stagnazione) economica amplificata dall’austerity (Streeck, 2016) e l’inasprimento delle diseguaglianze sociali negli anni successivi alla crisi (Piketty, 2014), questa visione economico-politica è stata riconfermata come il paradigma dominante, tuttavia con rilevanti innovazioni istituzionali. Alla luce dei vari pacchetti di riforma susseguitisi negli anni di crisi[5], emerge in particolare un ulteriore rafforzamento del potere di supervisione e disciplina della Commissione. Il perno dell’attuale procedura di definizione della politica macroeconomica, di bilancio e fiscale dell’Unione è il già menzionato Semestre Europeo.
Nel processo di riforma, dunque, è stato innanzitutto implementato il potere di disciplinamento della Commissione tramite strumenti come il monitoraggio, le missioni in loco, le raccomandazioni, gli avvertimenti e la facoltà di imporre sanzioni fiscali; inoltre, il generale potere di sorveglianza è stato rafforzato in relazione sia alla prevenzione sia alla correzione degli squilibri di bilancio degli Stati Membri – ovvero laddove questi non conseguano il pareggio del bilancio primario. L’aspetto tuttavia più significativo del ciclo di riforme nella fase post-2008 è il rafforzamento del coordinamento della politica macroeconomica degli Stati Membri. Fino allo scoppio della crisi globale, i settori della finanza pubblica e della moneta erano stati quelli caratterizzati dal livello di integrazione sovranazionale più avanzato[6]. Nei diversi pacchetti di riforme post-2008, anche il coordinamento nel settore macroeconomico è stato rafforzato tramite la Procedura di Squilibrio Macroeconomico[7], che conferisce alla Commissione un ulteriore potere di valutare e sanzionare (con sanzioni finanziarie) il percorso degli Stati Membri nel cammino delle “riforme strutturali”[8]. Questa procedura si inserisce in un quadro di rafforzamento del potere della Commissione di indirizzo macroeconomico, in particolare tramite l’Annual Growth Survey, un documento nel quale (all’inizio del ciclo del Semestre Europeo) la Commissione traccia gli obiettivi di policy e le riforme strutturali che gli Stati Membri devono poi perseguire nell’elaborazione delle loro politiche a livello domestico. Qualora queste dovessero divergere da quelle tracciate dalla Commissione, allora scatta la già menzionata Procedura di Squilibrio Macroeconomico.
L’estensione dei poteri della Commissione riguarda anche le procedure di bilancio dei Paesi Membri. In questo caso, la principale innovazione è il Budgetay Draft Plan (BDP). Il BDP è il “tipico” documento di bilancio di uno stato, ma su questo documento è la Commissione ad esercitare un controllo ex-ante (ossia nella fase di delineamento della politica finanziaria) ed ex-post (ossia nella fase di implementazione delle politiche fiscali e di bilancio). Anche in questo caso, nell’ipotesi di non adeguamento alla disciplina di fatto imposta dalla Commissione, viene attivata la Procedura per Deficit Eccessivo.
Il Semestre Europeo, dunque, e i vari meccanismi e iniziative politico-economiche che ne fanno da corollario, ha rafforzato ulteriormente il ruolo della Commissione e l’economia politica neo-liberalizzatrice e dell’austerity. Il prossimo paragrafo, alla luce di queste brevi note di ricostruzione dei principali elementi dell’economia politica dell’Unione, illustra gli scenari tracciati nell’ultimo libro bianco della Commissione. Il Paragrafo 5, invece, ne discute criticamente il contenuto.
Libro bianco Sul Futuro dell’Europa: gli scenari tracciati dalla Commissione
Il Libro Bianco Sul Futuro dell’Europa giunge, dunque, a quasi dieci anni dalla crisi globale. Nella prima parte, il Testo contiene un inquadramento generale dei cambiamenti sistemici dell’attuale fase globale. Nella seconda, il cuore del Libro, la Commissione, quasi a modo di esercizio, delinea cinque potenziali scenari che possono caratterizzare l’UE a 27 nel 2025; vediamo entrambe le dimensioni del Documento.
In relazioni alla prima parte, il Libro Bianco riconosce la natura sistemica della crisi, sancendo che
La crisi finanziaria e mondiale scoppiata nel 2008 negli Stati Uniti ha scosso l’Europa fino alle fondamenta. Grazie ad un’azione incisiva, ora l’economia dell’UE poggia su basi più solide […] Sormontare il retaggio della crisi, della disoccupazione di lunga durata agli elevati livelli di debito pubblico e privato in molte parti d’Europa, rimane una priorità impellente (p. 9)
Al contempo, la Commissione fotografa alcuni tra i cambiamenti sistemici dell’economia contemporanea: frequente cambiamento nell’arco vitale del posto di lavoro (da uno nel dopoguerra ai dieci attuali, secondo il Documento); informatizzazione della società e dunque del processo lavorativo con la creazione di nuovi tipi di lavoro; riduzione della differenza tra lavoratori autonomi e dipendenti, e tra consumatori e produttori.
Sotto un profilo politico, la Commissione sottolinea che «i cambiamenti che avvengono nel mondo e il senso di insicurezza reale avvertito da molti» (p. 12) hanno generato una crisi di fiducia nei confronti delle autorità pubbliche, creando un vuoto colmato da forze nazionaliste e xenofobe. «Il sostegno – continua la Commissione – all’Unione Europea è ancora solido, ma non è più incondizionato» (ibid.): attualmente, circa un terzo dei cittadini ha fiducia nell’UE, la metà di dieci anni fa.
In questo quadro di cambiamenti storici e sistemici, la Commissione, in quella che è la seconda e principale sezione del Libro Bianco, delinea cinque scenari alternativi che immaginano l’UE a 27 verso il 20205; vediamoli:
- «Avanti così»: questo scenario si innesta nel percorso di attuazione e potenziamento del programma di riforme come delineato negli anni precedenti. Si rafforza, dunque, il potenziamento della vigilanza finanziaria, la “sostenibilità” delle finanze pubbliche (cioè il processo di aggiustamento macro-fiscale), e lo sviluppo dei mercati di capitali.
- «Solo il mercato unico»: questo scenario enfatizza la necessità di “rifocalizzarsi” (sic) sul mercato unico, potenziando la libertà di circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. Questo scenario, pienamente in linea con la filosofia Monnettiana dell’integrazione tramite il mercato («Il funzionamento del mercato diventa la principale ragion d’essere dell’Europa a 27», p. 18), viene immaginata anche alla luce della difficoltà di conseguire forme di integrazione più stringente in settori come la sicurezza, il fenomeno migratorio e la difesa.
- «Chi vuole di più fa di più»: la Commissione delinea uno scenario in cui alcuni Stati definiti “volenterosi” decidono, alla luce del quadro legale e istituzionale vigente, di intensificare la cooperazione nei settori economico-finanziario, sociale, della difesa e sicurezza.
- «Fare meno in modo più efficiente»: in questo scenario, la Commissione delinea un quadro in cui l’intervento coordinato dell’UE a 27 si concentra in modo più rapido e incisivo su settori specifici, come ad esempio l’innovazione, gli scambi commerciali, la sicurezza, difesa e gestione delle frontiere, oltre all’implementazione del mercato unico in nuovi settori economici.
- «Fare molto di più insieme»: quest’ultimo scenario – utopia o distopia? – è quello più roseo per il processo d’integrazione europea: «gli Stati membri decidono di condividere in misura maggiore poteri, risorse e processi decisionali in tutti gli ambiti» (p. 24). In questo scenario, nel 2025 l’Unione a 27 evolve in vari modi: agisce come soggetto unico negli scambi commerciali; la sicurezza e la difesa diventano prioritarie con la creazione di un’Unione europea della difesa; si completa il mercato unico nei settori energetico, digitale e dei servizi, incentivando la creazione di poli sinergici tra start-up, grandi imprese e centri di ricerca; aumenta il coordinamento in materia fiscale, sociale e di bilancio.
L’esercizio della Commissione, giova sottolinearlo, traccia un quadro del futuro dell’Unione che preconizza, in ultima istanza, due futuri: il primo è in sostanziale continuità, in termini temporali e settoriali, con il tasso di crescita e della direzione dell’integrazione come visto sin d’ora (in particolare per gli scenari 1 e 2). Questo scenario è prevalentemente incentrato sul ruolo del mercato come motore propulsivo dell’Unione. Il secondo scenario tracciato dalla Commissione prevede un’accelerazione del processo di integrazione (in particolare punti 3, 4 e 5) o alla luce di una maggiore cooperazione tra gruppi ristretti di stati; o alla luce di una maggiore intensità cooperativa in settori specifici (ça va sans dire: il mercato); o nel complesso dell’UE a 27 e in tutti i settori oramai “sovranazionalizzati”.
Per una lettura critica del Libro Bianco
Come spesso accade nei documenti prodotti dall’Unione Europea, non è sempre agevole identificare la sostanza delle questioni trattate sotto il profluvio di retoriche e ideologia che sovente ne ammantano le sorti magnifiche e progressive. Compito dello studioso è provare a sollevare alcuni punti che emergono da una lettura critica delle visioni – nel nostro caso – della Commissione, ed inserirle in un quadro storico.
Il primo elemento da sottolineare è l’assenza, da parte della Commissione, di una revisione critica della politica economica dell’Unione negli ultimi anni – meglio: nelle ultime decadi. La Commissione, quantunque debolmente e tacendo su alcuni dei nodi principali della società contemporanea (in primo luogo l’aumento delle disuguaglianze), indica alcuni tra gli elementi critici che caratterizzano l’economia e la società europea. Tali elementi critici, tuttavia, restano indefiniti nelle cause e nei processi storico-sociali che hanno concorso a determinarli. In altre parole, vengono assunti a mo’ di fatti naturali. La politica economica ordo-liberale, le riforme supply-side e le politiche di deregolamentazioni dei mercati non vengono mai analizzate come possibili con-cause dell’aumento delle disuguaglianze sociali, della disoccupazione, e della stagnazione economica. Eppure, ad oggi sappiamo che proprio nella fase neo-liberale del capitalismo le disuguaglianze socio-economiche sono cresciute sensibilmente, contestualmente a tendenze di diminuzione dei livelli salariali e della proliferazione delle tipologie contrattuali che hanno reso il lavoro a tempo determinato la norma (Harvey, 2005; Glyn, 2006; Piketty e Atkinson, 2010). Altro elemento che merita di essere sottolineato è quello della diade austerity-debito pubblico. La disciplina finanziaria dell’austerity ha come ragion d’essere la riduzione del debito pubblico, accanto ad una politica monetaria che mantenga prezzi stabili favorendo la formazione di aspettative da parte degli investitori finanziari[9]. Ebbene, in particolare nella fase post-2008, l’azione congiunta della crisi economico-finanziaria, dei salvataggi bancari e dell’austerity di bilancio ha comportato un costante aumento del livello del debito pubblico (De Grauwe, 2016).
La Commissione lamenta dunque una crisi di fiducia nei confronti delle pubbliche autorità e il contestuale rafforzamento dei partiti nazionalisti ed euroscettici – e tuttavia, ciò che risalta è l’incapacità di legare questi nuovi fenomeni politici ad una riduzione globale delle risorse e delle possibilità per i più. In altre parole, l’avanzata delle forze nazionaliste è un risposta regressiva agli squilibri che inevitabilmente accadono quando il mercato viene posto al centro della società e non vengono creati meccanismi di protezione sociale. Karl Polanyi descrisse questo fenomeno nella sua opera più famosa, La Grande Trasformazione, mostrando come la società cerchi, nelle forme e nei modi del proprio tempo storico, di difendersi dalla violenza e dalle tensioni generate dal “libero mercato” ([1945]2001). A ciò, dunque, segue la refrattarietà ad aprire una revisione critica, da parte della Commissione, della striking coherence[10] dell’indirizzo di politica economica che ne ha guidato nel tempo l’azione – e dei suoi fallimenti su larga scala. Verosimilmente, questa politica economica è destinata a condurre, se non verranno introdotti meccanismi per difendere le fasce sociali più deboli ed esposte, ad ulteriori peggioramenti della condizioni sociali generali dell’UE, e dunque delle relazioni politiche e istituzionali in Europa.
In questo contesto, gli scenari della Commissione appaiono particolarmente poco attrezzati a tracciare un insieme di quadri realistici ed auspicabili sui possibili futuri dell’Europa.
Conclusione: salvare l’Unione da se stessa
I cinque scenari descritti dall’Unione nel Libro Bianco sono degli esercizi condotti ceteris paribus. Alla luce di ciò, il loro valore euristico e predittivo è oltremodo limitato. In altre parole, nessuno di questi scenari si realizzerà nei modi e nei termini preconizzati dalla Commissione, specie alla luce della temporalità che contraddistingue la nostra epoca, così caratterizzata da cambiamenti continui e repentini.
Più interessante è, invece, il valore politico del Documento. Alla luce della lettura critica fatta (cfr. Paragrafo 5) è lecito aspettarsi, nell’immediato futuro, l’irrigidimento delle tendenze politiche ed economiche emerse nelle ultime decadi. In questo contesto, giova sottolineare che i partiti nazionalisti non sono elementi immobili sullo sfondo, ma sono soggetti che attivamente provano ad imporre le loro ragioni, favoriti dall’aumento delle disuguaglianze e della diminuzione delle risorse disponibili per larghe fasce della popolazione europea. In tal senso, non solo la Commissione sembra sguarnita di strumenti teorici e pratici per contrastare il fenomeno, ma, di fatto, ne favorisce l’ascesa riproducendo una politica economica che aumenta i fattori di squilibrio sistemico.
Esiste, poi, un problema consustanziale al dogma “mercatista” che caratterizza storicamente la politica economica dell’Unione. Tale problema viene sovente descritto come deficit democratico, in parte legato alla concettualizzazione dell’Unione come progetto di élite transnazionali, e dunque all’assenza di un demos europeo, in parte dovuto alla specifica architettura istituzionale sovranazionale, che relega il parlamento in una posizione di marginalità decisionale[11] (tacendo sulla partecipazione effettiva dei cittadini nel processo decisionale). Importanti studi recenti, inoltre, hanno colto nei processi di rafforzamento dell’esecutivo, e nella svalutazione dei luoghi istituzionali della mediazione politica (in particolare i parlamenti nazionali), il tratto dominante dell’evoluzione costituzionale dell’Unione (Sandbeck and Schneider, 2014; Bruff, 2014, 2016; Obendorfer, 2016).
A giudizio di chi scrive, non è possibile separare la politica economica dal processo decisionale che si compie nelle istituzioni: in tal senso, la centralizzazione dei processi decisionali in capo specialmente alla Commissione, e l’imposizione – non mediata politicamente – della disciplina dell’austerity e del mercato costituiscono due dimensioni interrelate. In relazione a questa considerazione, il Libro Bianco della Commissione non fornisce scenari futuri che lascino intravvedere una Unione più giusta socialmente e più democratica politicamente, amplificando verosimilmente la crisi di legittimità e autorità che è già pienamente in atto. Del resto, è difficilmente attribuibile ad un difetto di percezione di massa l’impressione che l’Unione Europea sia una macchina tecnocratica vicina alle ragioni dei poteri economici: di fatto lo è. E d’altro canto, allo stato dell’arte un ritorno alle patrie nazionali non è né auspicabile, né percorribile.
Ci troviamo, per venire alle conclusioni, in una fase di interregno. Nelle parole di Antonio Gramsci, il vecchio ordine (neoliberale) sta morendo e il nuovo non può nascere: è in tale fase che emergono i sintomi morbosi. Non esistono, tuttavia, soltanto i sintomi morbosi della xenofobia, del nazionalismo e del fondamentalismo del mercato contro le ragioni di solidarietà e coesione sociale. In Europa, crescono visibilmente anche quei movimenti ed organizzazioni che, fuori e dentro le istituzioni, lavorano attivamente per rendere l’Unione al contempo più democratica e giusta socialmente. Alla formazione di un demos europeo e democratico spetterà il difficile compito di realizzare lo scenario assente: salvare l’Unione da se stessa.
Bibliografia
- A.B. Atkinson e T. Piketty, Top Incomes. A Global Perspective, Oxford, 2010.
- Bauer e S. Becker, “The Unexpected Winner of the Crisis: The European Commission’s Strengthened Role in Economic Governance”, Journal of European Integration, 36(3), pp. 213-229.
- Brenner, J. Peck, N. Theodore, “After Neoliberalization?”, Globalizations, 7(3), pp. 327-345.
- Bruff, “The Rise of Authoritarian Neoliberalism”, in Rethinking Marxism: A Journal of Economics, Culture & Society, 26(1), pp. 113-129.
- Bruff, Cease to Exist? The European ‘Social’ Model and the Hardening of ‘Soft’ EU Law, in B. Tansel (a cura di), State of Discipline. Authoritarian Neoliberalism and The Contested Reproduction of the Capitalist Order, Londra, 2017.
- De Grauwe, Economics of the Monetary Union (11th ed), Oxford, 2016.
- Duménil e D. Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Cambridge, 2011.
- Foucault, Nascita della Biopolitica, Milano, 1994.
- Glyn, Capitalism Unleashed. Finance, Globalization and Welfare, Oxford, 2006.
- Harvey, A Brief History of Neoliberalism, Oxford, 2005.
- Obendorfer, A New Economic Governance through Secondary Legislation? Analysis and Constitutional Assessment: From New Constitutionalism, via Authoritarian Constitutionalism to Progressive Constitutionalism, in N. Bruun, K. Lorcher, K. Schomann (a cura di), The Economic and Financial Crisis and Collective Labour Law in Europe, Londra, 2016.
- Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Cambridge, 2014.
- Polanyi, The Great Transformation. The Political and Economic Origins of Our Time, Boston, ([1945]2001)
- Quaglia and K. Dyson, Commentary on Key Historical and Institutional Documents (Vol. I), Commentary on Key Policy Documents (Vol II) Oxford, 2010.
- Saad-Filho, Monetary Policy in the Neo-liberal Transition: A Political Economy Critique of Keynesianism, Monetarism and Inflation Targeting, in B. Jessop, R. Albritton, R. Westra (a cura di)Political Economy and Global Capitalism, , Londra, 2010.
- Sandbeck e E. Schneider, “From the Sovereign Debt Crisis to Authoritarian Statism: Contradictions of the European State Project”, in New Political Economy, 19(6), p. 847-871.
- Streeck, How Capitalism Will End? Essays on a Failing System, Londra, 2016.
Note
[1] Secondo il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (Titolo VIII) l’Unione Europea e i paesi membri devono coordinare le loro politiche in relazione al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.
[2] Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, un altro libro bianco della Commissione, intitolato Completing the Internal Market (1985), diede nuova linfa al processo di integrazione europeo tramite il progetto di completamento del mercato interno per il 1990. Nel 1990 venne a compimento la liberalizzazione, nello spazio comunitario, della circolazione dei capitali finanziari, delle merci, dei lavoratori e dei servizi. Nello stesso anno, il Rapporto Delors diede l’impulso decisivo al processo di integrazione, stendendo le linee guida di quello che sarà il Trattato di Maastricht.
[3] Non è superfluo sottolineare che nessuno dei paesi diventati membri dell’EMU rientravano in tutti i parametri su menzionati.
[4] Per una esatta panoramica del discorso in questione, si veda a titolo di esempio, il principale documento economico Italiano, il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria, pubblicato dal 1988 al 2009. La lettura del documento rivela una schiacciante continuità negli indirizzi di politica economica.
[5] Si vedano in particolare i già menzionati Six Pack (2011), Two Pack (2013), che hanno apportato innovazioni di grande rilievo al Patto di Stabilità e Crescita. Le innovazioni concernono anche forme di coordinamento finanziario tramite lo European Stability Mechaism Treaty (2011) MEGLIO CORSIVO e il già menzionato Treaty on Coordination, Stability and Governance (2012) MEGLIO CORSIVO.
[6] Nel primo caso (la finanza pubblica) grazie in particolare ai benchmarks fissati nel Trattato di Maastricht, che hanno vincolato costituzionalmente i Paesi Membri ad una politica di aggiustamento fiscale. Nel secondo caso (politica monetaria), la sovranità monetaria è competenza esclusiva dell’Unione, ed è affidata al modello rigidamente monetarista della Banca Centrale Europea.
[7] Tale Procedura inizia con l’Alert Mechanism Report (AMR) MEGLIO CORSIVO. L’AMR è un Documento tramite il quale la Commissione informa le altre istituzioni europee che uno Stato Membro è caratterizzato da una serie di squilibri macroeconomici, che vengono identificati tramite una serie di indicatori quantitativi (cfr. la nota seguente).
[8] La valutazione e il monitoraggio dell’implementazione delle “riforme strutturali” sono affidati ad undici indicatori quantitativi come bilancio primario, debito privato, debito pubblico, export, settore finanziario, indicatori sulla competitività dell’economia del Paese.
[9] Per una lettura critica di questa politica economica si veda in particolare Saad-Filho, 2010.
[10] Il termine è ripreso dall’analisi di uno studioso di questioni europee, Kenneth Dyson, che analizzando la storia dell’integrazione europea non ha mancato di sottolinearne la “straordinaria continuità” negli indirizzi neoclassici e monetaristi (2010a).
[11] Per una ricostruzione critica della questione si veda Goodhart, 2007.