Il Global Innovation Index 2014, il rapporto annuale sui Paesi del mondo più innovativi (basato su 81 indicatori incrociati con parametri politici, economici e socioculturali) stilato da WIPO (Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale) e Cornell University, ha posto in cima alle priorità il “fattore umano”, considerato il motore principale dei processi di innovazione. Nello stesso periodo il team di ricerca della Fondazione Human+ di Torino, che svolge ricerca scientifica allo scopo di far crescere il capitale umano nella società, e che si occupa in modo specifico di figure che rivestono un’importanza chiave per la crescita del Paese (innovatori, neo-imprenditori, ricercatori, insegnanti, specialisti delle risorse umane), ha cominciato ad analizzare in profondità la dimensione “soft” dell’innovazione – ovvero gli aspetti che riguardano le persone: competenze, team, culture organizzative –, conducendo uno studio preliminare che è poi scaturito, dal 2016, nel progetto di ricerca applicata Spiriti innovativi.
L’assunto di partenza è che i processi di innovazione sono abilitati non solo dalla tecnologia, dall’accesso agli investimenti o da una “visione” all’avanguardia: l’innovazione infatti rimanda sempre all’innovatore, cioè a un soggetto – individuo, team, organizzazione, comunità – che “sa far accadere l’innovazione”. Pertanto, il capitale umano è la condizione basilare affinché ci sia innovazione in qualsiasi sistema, settore, organizzazione, territorio. Il nostro Paese, per trovare un nuovo posizionamento in uno scenario mondiale molto cambiato, ha l’esigenza di far crescere, valorizzare e supportare un ampio numero di individui e gruppi con forte potenziale innovativo.
A fronte di ciò, sono stati prodotti molti studi sull’innovazione ma si sa poco, in particolare in Italia, sulla figura dell’innovatore (quali caratteristiche possiede, come opera, come può essere agevolato). Gli studi si sono focalizzati prevalentemente sulla valorizzazione economica dell’innovazione (Ramella, 2013). Invece le persone, pur essendo considerate il vero driver dell’innovazione, sono state tipicamente escluse dalla ricerca empirica, e di conseguenza non se ne utilizzano a pieno le potenzialità nel sociale, nelle professioni, nella cultura, nelle aziende.
Esistono innovatori potenziali in tutti i settori (imprese, PA, non profit, comunità locali) e si differenziano da “creativi”, puri inventori, “early adopter”. Inoltre, gli innovatori condividono alcune caratteristiche di fondo (motivazioni, capacità, tratti psicologici) che, se pure in ambiti differenti, consentono loro di concepire, realizzare e diffondere una proposta innovativa.
La ricerca, svolta in collaborazione con il Dipartimento di Culture, Politiche e Società dell’Università di Torino, ha evidenziato che è possibile individuare il “talento innovativo” nei diversi contesti (organizzativi e non), farlo crescere e creare le condizioni affinché si esprima in forma individuale o collettiva. In particolare, lo studio, che è stato condotto da un team interdisciplinare (dalla sociologia alla psicologia del lavoro, dalla comunicazione al management), ha indagato su basi scientifiche le condizioni che consentono di accelerare i processi di innovazione attraverso gli innovatori.
Comprendere l’innovazione e l’innovatore
In una fase iniziale, analizzando i principali e più accreditati approfondimenti sul tema, si è definito il “perimetro semantico”, formulando il concetto di “innovazione” come fenomeno attraverso il quale si producono idee, soluzioni, prodotti nuovi, il cui valore – economico, culturale, sociale, ambientale, politico ecc. – viene riconosciuto (e promosso, adottato, utilizzato, acquistato ecc.) dagli appartenenti a un dominio (stakeholders, utilizzatori finali, cittadinanza, clienti, opinion leaders ecc). L’innovazione si esplicita dunque, utilizzando una formulazione sintetica, nel “riconoscimento di un valore nuovo”. A partire da tale assunzione, il progetto Spiriti innovativi vuole fornire risposte alle seguenti “domande di ricerca”: chi sono e quali caratteristiche possiedono gli innovatori? Quali sono i fattori che abilitano l’innovazione e facilitano gli innovatori? Il disegno generale, pensato per fornire sostanza a tali quesiti, si è sviluppato in 4 macro-fasi.
Il lavoro è partito dalla perlustrazione della letteratura scientifica sull’argomento in diversi ambiti: la psicologia del lavoro, la sociologia, la storia delle idee, la cultura manageriale, la socio-semiotica. Lo scopo è costruire una visione originale e completa sul tema, mettendo insieme le conoscenze scientifiche sulle caratteristiche professionali, sociali e psicologiche, degli innovatori.
A seguire viene definito un primo modello dell’innovatore, basato sui fattori descrittivi degli innovatori, costruito sulle evidenze raccolte nella letteratura specialistica e rinforzate da un lavoro di indagine qualitativa (interviste in profondità a 15 opinion leader appartenenti ai settori profit, pubblico e non profit). L’obiettivo di questa azione è generare un modello descrittivo delle caratteristiche dell’innovatore e progettare le metodologie per lo scouting e l’analisi del potenziale innovativo.
A questo punto è stata impostata la verifica sul campo del modello, attraverso il coinvolgimento di organizzazioni dei tre settori (profit, pubblico e non profit), con un campione di oltre 1200 professionisti eterogenei (varie età, vari livelli organizzativi ecc.), che hanno contribuito al testing del modello. L’obiettivo è individuare un campione di circa 100 soggetti considerati innovatori per consensus, e un corrispondente campione di controllo, e selezionare i fattori per i quali si evidenzia una differenza statisticamente rilevante tra innovatori e non innovatori.
Infine, il modello validato viene applicato a casi reali allo scopo di utilizzare gli strumenti e le metodologie elaborati e testati per individuare gli innovatori “manifesti”, e attraverso l’analisi del potenziale innovativo, intercettare anche gli innovatori “potenziali”, cioè gli individui con talento innovativo ancora inespresso.
Innovazione e complessità
L’esplorazione della letteratura ha consentito di rifinire il significato dell’innovazione, che può essere definita come una proprietà emergente di un sistema complesso (per es. un’organizzazione), più che nei termini di un prodotto specifico creato da una singola componente. Così descritta, l’innovazione necessità di diverse capacità e comportamenti volti a proporre, adottare e condividere nuove idee. L’innovazione non è un oggetto ma un processo, che da una parte richiede la generazione creativa e dall’altro la connessione di nuove idee alle possibilità presenti nel contesto (Bartel e Garud, 2009). Incorpora dunque il concetto di “complessità”, comprendendo l’attività di creazione di idee e risoluzione di problemi, insieme alle dinamiche organizzative per realizzarle, fino all’utilizzo in chiave economica dell’intero processo: prodotti o servizi innovativi, nuovi processi e nuove modalità organizzative, innovazione economica, tecnologica, culturale, sociale, politica ecc. (Meyer e Marquis, 1969).
A monte del processo, tuttavia, vi sono alcuni “antecedenti” necessari affinché si creino i presupposti per innovare: la disponibilità di adeguate e avanzate tecnologie (non solo quelle digitali, ma in senso più ampio, comprendendo anche metodologie); la presenza di talenti innovativi, ossia persone dotate di forte propensione e capacità per innovare; determinate condizioni abilitanti a livello di contesto e cultura. Gli innovatori possono emergere spontaneamente, ma senza il supporto di un’organizzazione (spazi appropriati, processi di lavoro, cultura interna, management, apertura all’esterno) il loro contributo all’innovazione può rimanere nel migliore dei casi un evento fortunato, mentre nel peggiore fa sì che i potenziali innovatori si arrendano (Howell et al., 2005). Questo significa che un’organizzazione che persegua davvero l’innovazione deve muoversi proattivamente per ottenerla.
Tra input e output si sostanziano i comportamenti innovativi: cioè un insieme di pratiche e prestazioni, replicate dagli innovatori in maniera non lineare, ma ciclica e destrutturata. Tali attività si sintetizzano in tre categorie di azione: generare idee; svilupparle in modo sperimentale; promuoverle e creare consenso e coinvolgimento intorno a esse. Il progetto Spiriti innovativi si colloca a livello degli input, con l’obiettivo di studiare le persone e i fattori di contesto.
Gli innovatori nell’immaginario collettivo
I primi approfondimenti, nei quali si fa prioritaria l’esigenza di circoscrivere il senso e di trovare definizioni, hanno spinto i ricercatori ad avviare un’indagine parallela, di taglio socio-semiotico, volta a rispondere alla domanda: chi è l’innovatore nel senso comune? Quali sono le caratteristiche dell’innovatore nell’immaginario collettivo? Come viene rappresentato l’innovatore sui media italiani? Un gruppo di lavoro specializzato ha quindi svolto una mini-ricerca realizzando un’analisi di contenuto sui media italiani nel periodo 2016-2017, con focus sui più diffusi secondo il Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione del 2015: la Tv (diffusione del 97%) e Internet (71%).
In particolare, per ciò che riguarda la Tv, sfruttando i cataloghi di archivio messi a disposizione dagli operatori televisivi, sono stati posti sotto osservazione i canali generalisti di Rai e Mediaset (escludendo, per motivi di scarsa rilevanza in termini di share, secondo i dati Auditel 2016, i canali tematici).
Per quanto concerne il Web, invece, sono stati studiati i siti editoriali e di informazione (escludendo i siti che propongono servizi ma non contenuti), in riferimento alle classifiche di web-audience elaborate tramite strumenti di analisi del traffico online: Repubblica.it e Corriere.it sono risultati i più visitati, mentre per quanto riguarda i social network in vetta si trovano Facebook e Twitter (come riportato nell’indagine Global Digital 2018 condotta da We Are Social e Hootsuite, attori accreditati nell’analisi dei dati di audience su internet).
Sui diversi database (televisivi e web) sono stati raccolti i dati che si riferiscono alle ricorrenze, nei palinsesti e nelle pubblicazioni editoriali, dei termini “innovatore” e “innovatrice” (declinati anche al plurale) – i termini sono stati cercati anche sul più diffuso motore di ricerca, Google, registrando i risultati sulla tipologia di occorrenze ottenute come risposte alle ricerche.
Parallelamente, è stata realizzata un’indagine “vox popoli”, raccogliendo le opinioni di circa 200 individui in alcuni luoghi pubblici in tre città del nord (Torino, Milano, Genova).
L’esito del lavoro è stato quindi utilizzato come oggetto di discussione in un focus group che ha coinvolto un gruppo di 8 esperti di media del mondo accademico (sociologi della comunicazione, ricercatori dei nuovi media e semiotici dei media dell’Università di Torino).
Ne è scaturito un profilo rappresentato sui media italiani in cui l’innovatore è una figura, piuttosto mitizzata, riconducibile a queste tipologie: maschio (si ritiene tipicamente che sia un uomo, e spesso anche giovane), ricco (possessore di un enorme patrimonio economico, attuale o potenziale), informale (non convenzionale nei modi, nel dress code, nei contenuti), visionario (lungimirante, capace di “vedere” molto lontano e in particolare ciò che altri non vedono), comunicatore (persuasore ispirazionale, dotato di grande carisma, capace di attivare persone e attrarre risorse, energie, consenso), ossessionato (dai propri obiettivi, costi quel che costi; i rapporti umani, per esempio, sono a volte un accessorio strumentale, altre volte sono vissuti come un intralcio), imprenditore (si occupa di business e lavora per raggiungere risultati economici, di solito riuscendoci in maniera eccezionale) e scienziato (o comunque connesso alla scienza e agli scienziati).
Innovatori: campioni o promotori?
D’altra parte, invece, quanto emerge dalla letteratura scientifica sugli innovatori solo in parte conferma l’idea comune rappresentata nell’immaginario collettivo. Esistono due differenti prospettive nello studio degli innovatori: le teorie che concettualizzano gli innovatori come “campioni” e quelle che li descrivono in termini di “promotori”. Il primo gruppo di teorie, di matrice prevalentemente anglo-americana, indaga in modo esplicito quelle caratteristiche “eroiche” ed eccezionali di alcuni individui (per esempio l’orientamento flessibile al ruolo, il bisogno di autonomia, la capacità di dedicarsi al progetto) e definiscono gli innovatori come “champions”. Le prospettive più attuali ridimensionano il contributo del singolo a favore di un’ottica più distribuita e di team, in cui sono necessarie più figure per contribuire all’innovazione in un determinato contesto, dal momento che l’innovazione stessa è un processo che coinvolge molti aspetti organizzativi (Van Laere e Aggestam, 2016).
Il secondo filone di ricerca, radicato nella tradizione tedesca, include nello studio degli innovatori anche elementi organizzativi quali ad esempio le strutture di potere. In particolare, le ricerche si concentrano sulle barriere all’innovazione che gli innovatori riescono a superare. Gli innovatori sono quindi definiti nei termini delle barriere che concorrono a superare: barriere di potere, di conoscenza, di processo o relazionali (Gemunden et al., 2007).
L’analisi ha evidenziato una oscillazione degli studi tra teorie “individualiste” – secondo le quali gli innovatori hanno caratteristiche quasi “eroiche”, connesse alla persistenza di fronte alle avversità e all’entusiasmo generato per raggiungere con successo l’innovazione – e teorie “olistiche” – che considerano gli innovatori come soggetti collettivi; le prospettive attuali ritengono necessario un approccio integrato. Gli innovatori, in sintesi, devono avere capacità di creare nuove idee, capacità di svilupparle e renderle applicative, e capacità di promuoverle e favorirne l’adozione.
Gli studi svincolano il concetto di innovazione dall’idea di possesso di attitudini straordinarie: si tratta di una combinazione complessa di capacità ordinarie, attitudini di personalità e aspetti motivazionali (Sawyer, 2011). L’integrazione di aspetti esplorativi e ideativi con dimensioni pragmatiche e implementative e capacità di promuovere e generare consenso intorno all’innovazione (di qualsiasi tipo sia) forniscono una panoramica già piuttosto esaustiva del profilo degli innovatori.
Anche gli esiti delle interviste in profondità che hanno coinvolto 15 opinion leader di diverse organizzazioni nei tre settori (che ricoprono ruoli di management e vertice in aziende, PA e non profit, in varie regioni italiane) hanno consolidato l’articolazione di un modello che mette insieme capacità per innovare, struttura motivazionale e tratti di personalità specifici.
Chi è l’innovatore?
Differentemente dalle procedure tipiche delle ricerche in ambito accademico o scientifico, sono stati realizzati infatti anche tre incontri di divulgazione e raccolta in corso d’opera, invitando alcuni rappresentanti – imprenditori, dirigenti, manager, specialisti HR, responsabili dell’innovazione – di organizzazioni private, pubbliche e non profit (per un totale di 25 realtà complessivamente raggiunte).
Questi incontri hanno avuto la finalità di focalizzare, definire meglio e consolidare i contenuti dell’indagine, sciogliendo alcuni dubbi sull’applicabilità di determinate conoscenze o metodologie, o facendone emergere altri, innescando di conseguenza la ricerca di ulteriori prove e testimonianze.
Il profilo dell’innovatore costruito a valle di queste azioni è così descritto:
- l’innovatore non è un solitario: l’innovazione è un fenomeno collettivo, che richiede cooperazione e scambio;
- in molti possiedono il talento innovativo, chi in maniera più elevata e già “espressa”, chi “in potenza”;
- ha una professionalità, conosce un ambito o settore, è padrone di un dominio, altrimenti non potrebbe avere impatto sulla realtà, tuttavia non è un “esperto”, non ha una specializzazione molto focalizzata e prevalente sulle altre;
- si trovano innovatori a tutti i livelli organizzativi e in tutte le professioni, dalle più semplici alle più sofisticate: gli innovatori non ricoprono ruoli specifici;
- non ha un’età precisa, non ci sono generazioni più propense a innovare;
- mette in atto pratiche comportamentali in modo non lineare di idea generation, sviluppo e promozione.
In conclusione, il modello descrittivo progettato si articola nelle seguenti dimensioni, che contengono diversi fattori:
- CAPACITÀ: leadership (ispirazionale); networking; analisi del contesto; pensiero laterale; agilità sperimentale.
- STRUTTURA MOTIVAZIONALE: propensione al rischio; bisogno di autonomia; motivazione intrinseca / motivazione al lavoro.
- TRATTI DI PERSONALITÀ: resilienza; ottimismo; autostima; apertura all’esperienza.
Individuare gli innovatori
Il lavoro di modellizzazione ha consentito di mettere a punto alcune metodologie per lo scouting e l’assessment degli innovatori. È stata utilizzata la Peer Nomination per risolvere uno dei problemi più spinosi: individuare gli innovatori in un contesto. Già nel 1990 Howell e Higgins pongono questo problema tra i metodologicamente più rilevanti. Negli approcci contemporanei all’innovazione (Sawyer, 2011) vi è il riconoscimento che un’idea è innovativa non solo se originale, ma deve anche risultare appropriata. Il criterio di appropriatezza implica una qualche forma di riconoscimento sociale all’interno della comunità di riferimento; inoltre, le persone innovative non lo sono in generale, ma solo in particolari sfere di attività.
La Peer Nomination, nata negli anni Sessanta, per l’analisi di team, organizzazioni e collettività, consiste nel chiedere a ciascun membro di un determinato gruppo di indicare uno specifico individuo come colui che è “il più” in una specifica dimensione (potendo esprimere una sola preferenza e non potendo nominare se stessi), nel nostro studio “il più innovativo”. Permette quindi di far emergere gli innovatori “visibili”, cioè quei soggetti che hanno già contribuito a realizzare innovazioni o hanno dato prova di attivare i comportamenti tipici dell’innovatore (Kane e Lawler, 1978; Love, 1981). Nel caso specifico sono state poste 4 domande: chi è il più bravo nel generare nuove idee, nel fare proposte innovative? Chi è il più abile nello sviluppare le idee nuove, reperendo risorse, verificando la loro fattibilità? Chi è il più capace di ispirare gli altri, coinvolgerli e convincerli della bontà di una nuova idea? Chi è in sintesi il più innovativo nel tuo ambiente di lavoro?
I vantaggi della Peer Nomination sono numerosi: è di facile utilizzo e ha un’alta affidabilità, determinando in genere la convergenza su pochi innovatori che raccolgono un ampio accordo sul loro talento innovativo. Affinché sia efficace devono comunque essere rispettate due condizioni: da una parte, richiede conoscenza reciproca fra i partecipanti all’indagine, i quali devono appartenere allo stesso contesto (team, unità organizzativa, comunità di scopo, territorio ecc.) e devono essere in numero compreso fra 15 e 45 persone; dall’altra, si basa sull’osservazione dei comportamenti e dei risultati innovativi altrui (generazione di idee innovative, sperimentazione, attivazione del consenso): per questo le persone si devono conoscere tra loro (viene indicata una conoscenza derivante da attività di collaborazione svolta per almeno 3 settimane).
La seconda metodologia utilizzata è un assessment questionnaire finalizzato a validare il modello descrittivo del profilo dell’innovatore elaborato nella fase di modellizzazione. La metodologia permette di misurare i fattori di innovatività di un individuo, di un gruppo, di una intera organizzazione (cioè il suo potenziale innovativo). Si basa su un questionario individuale compilabile su piattaforma digitale in circa 20-30 minuti. In base alle risposte fornite su una scala Likert a 5 livelli è possibile elaborare il profilo di innovatività del rispondente in base ai fattori personali considerati (capacità, motivazioni e valori, personalità). Il questionario ha un alto grado di affidabilità in quanto è conforme a questi standard psicometrici: utilizza costrutti scientifici (i fattori del modello sono definiti secondo l’accezione elaborata dalla comunità scientifica); si basa su scale validate a livello internazionale, scelte in base all’accordo di due giudici (le scale di misurazione di singoli fattori derivano da approfonditi e consolidati studi scientifici internazionali); contiene un set di domande di controllo (“Scala LIE”, anch’essa validata scientificamente) che permettono di individuare le compilazioni alterate (ossia, compilazioni condizionate da un’alta o una bassa “desiderabilità sociale” che spinge a rispondere in maniere non fedele). Una parte del questionario è elaborata in forma di opinion survey costruita a partire da 12 istanze, organizzate in 5 dimensioni, derivate da un modello descrittivo degli aspetti ambientali che favoriscono l’innovazione, anch’esso frutto del lavoro di analisi della letteratura scientifica sull’argomento. Ai partecipanti è stato chiesto di porre in ordine di importanza e incidenza sull’operato di chi innova i primi 4 istanze delle 12 proposte.
Una volta costruiti i modelli e preparate le metodologie si è proceduto, a seguito di un test “pilota” in un contesto organizzativo costituito da 40 persone, alla somministrazione su un campione molto ampio (circa 1800 individui). L’invito è stato rivolto a 15 organizzazioni dei tre settori, diverse per tipologia (grande impresa, PMI, startup, ente locale, ospedale, azienda pubblica, camera di commercio, organizzazione non governativa, associazione nazionale, impresa sociale, onlus), numero di dipendenti (da 15 a 60mila) e collocazione geografica (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania). Si tratta di: Slow Food, Action Aid, Gruppo Abele per il non profit; la Camera di Commercio di Milano, l’ospedale S. Orsola di Bologna, il Comune di Torino, T2i – Trasferimento Tecnologico e Innovazione del Veneto, per la pubblica amministazione; IntesaSanPaolo, Assimoco, Alce Nero, Miroglio Group, Dainese, Konica Minolta, Doralab e Mida per il settore profit. Sono stati coinvolti complessivamente poco più di 1800 professionisti dei tre settori, in vari ruoli organizzativi – vertice, management, impiegati – ed è stata raggiunta una redemption di risposte del 67,8%: per un totale di 1237 compilazioni valide.
Il lavoro è stato condotto in due fasi, la prima delle quali ha riguardato una somministrazione “pilota” (a un gruppo di 30 persone) volta a testare l’utilizzo della piattaforma di indagine, in dotazione all’Università di Torino – che ne ha concesso l’uso a scopo di ricerca –, e la costruzione del questionario (comprensione, validità di items e relative scale, durata della compilazione ecc).
La seconda fase, presi accordi con le singole organizzazioni (con le quali sono stati stipulati “contratti” di adesione e condivisa la documentazione sull’uso dei dati da parte della Fondazione), è servita a validare strumenti e metodologie: la Peer Nomination e l’Assessment Questionnaire.
Con la Peer Nomination sono stati individuati 85 innovatori visibili (cioè indicati come “innovatori” dai loro “pari” – colleghi, collaboratori ecc). Gli innovatori nominati sono stati messi a confronto con un gruppo di controllo selezionato con estrazione casuale dal gruppo dei non innovatori: gli innovatori presentano differenze statisticamente significative rispetto ai non innovatori. Ne è derivato il modello definitivo in cui si sono evidenziate differenze significative per 12 fattori.
Infine, l’opinion survey sui fattori di contesto ha messo in risalto una forte convergenza su 5 istanze, ritenute prioritarie per innovare sia dagli innovatori che dai non innovatori.
Il profilo dell’innovatore
Gli innovatori (coloro che sono stati indicati dai colleghi come tali) sono presenti in tutti i contesti sociali, nelle professioni e nelle più varie situazioni di vita. Nella ricerca è emerso chiaramente che gli innovatori condividono alcune caratteristiche di fondo, indipendentemente da chi sono e da cosa fanno (età, condizione sociale, professione, livello culturale), anche se nei nostri dati, come in letteratura, si può notare un effetto del ruolo sulla visibilità. In altre parole, sono descrivibili con uno “schema comune”.
Agiscono secondo pattern comportamentali, cioè sono riconoscibili in quanto ripetono tre tipologie di comportamenti: a) generano e propongono con regolarità contenuti nuovi e idee originali, b) tendono a non fermarsi alla pura ideazione, ma sviluppano lo spunto innovativo in modo sperimentale con un approccio per “prove ed errori”, c) sono orientati a creare consenso e a dare visibilità all’innovazione convincendo, attraendo, motivando.
Possiedono specifiche caratteristiche personali, che stanno “dietro” ai comportamenti descritti e che consistono in: capacità (il saper fare di tipo trasversale: quello che in inglese è comunemente chiamato soft skill); motivazioni (ciò che internamente ci spinge ad agire, ad impegnarci, a porci una meta); tratti di personalità (caratteristiche psicologiche che ci caratterizzano stabilmente nel tempo). Il talento innovativo è il risultato dell’interazione fra questi elementi e risorse personali.
Fattori di capacità
- Agilità sperimentale. Saper trasformare idee e proposte in una innovazione effettiva attraverso la formulazione di ipotesi e problemi, la loro verifica empirica con un processo di apprendimento per prove ed errori, la loro modifica, rielaborazione o abbandono.
- Analisi del contesto. Saper esplorare costantemente l’ambiente esterno di proprio interesse, accogliendo stimoli anche molto diversi fra loro, intercettando tendenze e prospetti- ve future non immediatamente visibili e note.
- Saper attrarre e coinvolgere le persone, dando loro una vision che li motivi a investire energie per il raggiungimento dell’obiettivo d’innovazione.
- Saper utilizzare, ampliare e curare la propria rete relazionale nelle sue due dimensioni principali (privata e professionale) per facilitare il raggiungimento degli obiettivi di innovazione.
- Pensiero laterale. Saper elaborare prospettive originali in quanto “fuori dagli schemi”, connettendo in modo creativo spunti e contenuti provenienti da fonti e contesti diversi.
Fattori di motivazione
- Bisogno di autonomia. Desiderio di poter scegliere, in maniera libera e indipendente, ciò che preferiamo fare, quando, come e con chi. È un desiderio che contiene una doppia esigenza: a) “essere indipendente da”, cioè non essere vincolato o esserlo il meno possibile dalle scelte altrui e dai vincoli esterni; b) “essere libero di”, cioè poter agire e decidere in base ai propri orientamenti, aspirazioni, convinzioni. I processi di innovazione, per il loro sviluppo non prevedibile e non scontato, richiedono a livello individuale libertà di giudizio, discrezionalità, indipendenza.
- Motivazione al lavoro. È la spinta che attiva, dirige e sostiene il nostro comportamento nel lavoro. Tale spinta può essere intrinseca o estrinseca, a seconda dei bisogni cui si lega e degli obiettivi cui tende; la motivazione intrinseca è collegata a un interesse personale, al soddisfacimento di un bisogno interno a noi. La motivazione estrinseca, invece, è alimentata da riconoscimenti tangibili ed esterni all’individuo, quali ad esempio il guadagno economico, la stima pubblica, il successo. Le difficoltà e complessità connesse all’innovazione richiedono una sincera passione per i contenuti della propria attività.
- Propensione al rischio. Preferenza ad accettare una perdita possibile a fronte di un potenziale elevato guadagno e a tollerare l’incertezza connessa; le persone che preferiscono evitare i rischi vengono definite risk-averse e sono generalmente caratterizzate dalla ricerca di sicurezza e stabilità; per altre persone, risk-seeking, è invece più stimolante sfruttare le opportunità incerte ma promettenti. L’innovazione è anche connessa all’errore, alla perdita, all’insuccesso, tutti elementi percepito come rischi.
Fattori di personalità
- Apertura all’esperienza. Tendenza costante a cercare nuovi stimoli, a interessarsi di tematiche non usuali, a interrogarsi su problemi e fenomeni. Questa caratteristica corrisponde, nel linguaggio comune, al termine “curiosità”.
- Processo soggettivo profondo che porta, su una base di realtà, ad apprezzare e valutare positivamente sé stessi, le proprie azioni, le proprie caratteristiche.
- Sguardo di fondo con cui si percepisce il mondo, caratterizzato dalla tendenza a giudicare positivamente il corso degli eventi e i loro possibili esiti.
- Caratteristica stabile che spinge a far fronte a situazioni negative e difficili, ai cambiamenti repentini e alle minacce mantenendo un atteggiamento positivo; le persone resilienti riescono a mantenere fiducia e speranza anche di fronte agli insuccessi, agli errori, alle avversità di vario genere, alle situazioni stressanti.
Il contesto che abilita
Attraverso lo strumento esplorativo dell’opinion survey di cui si è detto prima, sono state raccolte le opinioni dei 1237 individui coinvolti nell’indagine a proposito dei 12 istanze di contesto che facilitano l’innovazione. Le 12 variabili organizzative sono quelle che più di altre, in base alla letteratura specialistica, hanno impatto organizzativo e fanno di un’organizzazione un “luogo di innovazione”, cioè un contesto che favorisce l’espressione del talento innovativo delle persone e dunque l’emergere dell’innovazione. Le risposte fornite segnalano la percezione della capacità del proprio contesto di lavoro di essere realmente innovativo. Qui di seguito le 5 dimensioni e i relativi fattori individuati nella fase di studio della letteratura scientifica sull’argomento e confermati dalla perlustrazione degli studi di management e organizzazione.
Infrastrutture
- Spazi fisici. Lavorare in spazi fisici adatti all’innovazione (luoghi protetti in cui potersi concentrare, spazi aperti pensati per la condivisione e lo scambio, strutture in cui poter fare prove, test ecc).
- Metodologie di innovazione. Avere a disposizione tecniche e metodi su come fare innovazione (generare nuove idee, sviluppare un progetto di innovazione, monitorare innovazioni e novità ecc).
- Nuove tecnologie. Poter accedere nell’organizzazione a tecnologie di ultima generazione di tipo digitale
Organizzazione del lavoro
- Tempo. Disporre di una quota di tempo (settimanale, mensile ecc) libero dall’operatività e dagli impegni correnti per poter riflettere, imparare, sperimentare, creare.
- Struttura organizzativa. Operare in un’organizzazione agile, poco burocratica, con una gerarchia leggera.
- Nuove forme di lavoro. Lavorare con modalità quali team interfunzionali, team temporanei, comunità interne di innovatori, telelavoro o home-office, rotazione di incarichi in altri settori dell’organizzazione ecc.
Openness
- Network. Avere la possibilità di contatti, scambi, incontri con soggetti esterni di ogni tipo (organizzazioni analoghe, fornitori, istituzioni, centri di ricerca, università, associazioni, startup ecc).
- Comunità e territorio. Far parte di un’organizzazione che dialoga con il territorio (si conoscono gli interlocutori locali, si valuta l’impatto sul territorio delle proprie attività, si sviluppano iniziative congiunte con la comunità ecc).
Management
- Capi. Rapportarsi con capi che non sono necessariamente degli innovatori, ma sostengono e incoraggiano realmente chi innova.
- Vertice. Percepire che il livello più alto dell’organizzazione crede nell’innovazione, lo dichiara e agisce di conseguenza.
- Gestione delle persone. Poter contare su modalità di selezione del personale, formazione, crescita e riconoscimento delle persone orientate a creare un’organizzazione innovativa.
Cultura interna
- Cambiamento e apprendimento. Condivisione di valori quali l’apertura al cambiamento, l’apprendimento continuo e la voglia di migliorare.
- Incertezza. Condivisione di valori quali la tolleranza degli errori, la propensione al rischio, l’uso positivo dei conflitti
- Integrazione. Condivisione di valori quali lo spirito di cooperazione, la solidarietà fra colleghi, il lavoro in gruppo.
L’indagine ha mostrato, coerentemente con la letteratura sul tema (Hill et al., 2013), che per gli innovatori i fattori determinanti prioritari per favorire l’innovazione sono: la cultura interna che nutre l’innovazione (69%), la presenza di capi supportivi (48%), la disponibilità di tempo dedicato (46%), il network (46%). Anche i non innovatori hanno posto in cima alle priorità la cultura interna (63%), quindi la possibilità di dedicare tempo all’innovazione (50%), la presenza di capi supportivi (41%); differentemente dagli innovatori, infine, hanno posto prima del network (34%) la struttura organizzativa – flessibile, leggera – (43%), che gli innovatori hanno indicato come quinto fattore (34%). C’è dunque una certa condivisione dei principali 5 fattori di contesto abilitanti per gli innovatori.
Spiriti innovativi e innovatori potenziali
L’analisi degli innovatori “visibili” (84 in tutto) individuati per mezzo della Peer Nomination ha consentito di studiare le loro compilazioni del questionario, elaborando un tracciato dei dati medi aggregati rappresentante un benchmark di riferimento col quale confrontare i valori del profiling.
La prima acquisizione riguarda il fatto che, in effetti, i risultati registrati in seguito alla somministrazione del questionario dagli innovatori sono più alti, per tutti e 12 i fattori del modello esclusi naturalmente i valori, rispetto a quelli ottenuti dai non innovatori (campione di controllo).
In seguito sono stati esclusi dal benchmark 11 questionari i cui dati rappresentavano degli outlier. Tale benchmark consente di delineare 3 fasce di potenziale innovativo: potenziale moderato (in cui si è attestato il 67% del campione); potenziale buono (24% del campione); potenziale elevato (9% del campione). Si può dedurre che, almeno in riferimento al campione dei 1237 professionisti che hanno preso parte allo studio, circa un individuo su tre (il 33%) ha un potenziale innovativo buono o elevato.
Le compilazioni del questionario consentono di generare un report individuale che evidenzia gli scostamenti, per mezzo di radar chart, rispetto al benchmark degli innovatori. Lo stesso report può essere fornito a livello di team o di organizzazione, aggregando le medie dei risultati conseguiti dai partecipanti. Il profilo che si ottiene con il report è un’analisi di potenziale, cioè dà indicazioni attendibili sul livello attuale di talento innovativo, che coniugato con condizioni esterne favorevoli può portare a generare innovazione nel proprio campo di intervento e attività. Le condizioni esterne sono per esempio l’opportunità contingente di innovare, la disponibilità di risorse materiali e tecniche, l’incontro con altri innovatori, il contesto sociale o professionale stimolante.
Applicazioni, eredità e prospettive
Il progetto Spiriti innovativi ha un’intrinseca finalità di comunicazione ed educazione. Già durante le fasi di modellizzazione e validazione e poi nella fase conclusiva di applicazione i risultati (relativi agli avanzamenti e agli esiti definitivi) sono stati presentati in diversi eventi e in varie forme di pubblicazione. Tutti i partecipanti al testing hanno in seguito ricevuto la documentazione di report sui risultati raggiunti nel progetto. Altri momenti divulgativi sono stati organizzati in vari contesti, presso organizzazioni pubbliche, non profit e profit, e presso le università (a Torino, Aosta, Firenze, Trieste). L’applicazione di profiling per la valutazione del potenziale innovativo può essere utilizzata in contesti organizzativi per diverse finalità: lo scouting degli innovatori; il recruiting esterno e interno di personale adatto a determinati processi in cui l’innovazione rappresenti un cardine; il talent management di figure dotate di potenzialità per innovare; progettazione di percorsi di formazione e coaching per team innovativi; aggregazione di talenti innovativi per creare comunità di pratica per l’innovazione.
Ulteriori approfondimenti di ricerca scientifica verranno realizzati dalla Fondazione Human+ nei seguenti campi di studio:
- “innovative behavior”: lo scopo è analizzare e delineare le pratiche messe in atto dagli innovatori per l’idea generation, l’idea implementation e l’idea promotion; lo studio prevede il coinvolgimento degli innovatori individuati tramite la Peer Nomination;
- “fattori di contesto e cultura dell’innovazione”: a partire dall’esito dell’opinion survey, ci si propone di consolidare le conoscenze attraverso un’ulteriore perlustrazione della letteratura scientifica sul tema;
- “team innovativi”: si mira a rinforzare le conoscenze studiando la letteratura e analizzando i principali “casi” organizzativi;
- “innovazione nella scuola”: a seguito di un lavoro di analisi si mira ad avviare una sperimentazione “pilota” in alcune regioni italiane (es. Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino).
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