Uno dei fenomeni che più incide e inciderà sempre più sulle relazioni internazionali, la politica interna e i trend elettorali in Occidente è costituito dalla demografia e dalle migrazioni transnazionali. Secondo le proiezioni del rapporto ONU World populaton prospects: the 2015 revision (ONU, ESA 2015), che fornisce un quadro demografico globale, si evidenzia che, sebbene la popolazione mondiale continui a crescere più lentamente rispetto al passato recente – dieci anni fa la popolazione mondiale cresceva dell’1,24 per cento l’anno, oggi il trend di crescita è dell’1,18 per cento l’anno – le proiezioni sulla popolazione mondiale stimano un aumento di più di un miliardo di persone entro i prossimi 15 anni, raggiungendo 8,5 miliardi nel 2030, per arrivare a 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi entro il 2100.
I dati ONU diventano ancora più interessanti se scorporati per aree geografiche: più della metà della crescita della popolazione mondiale entro il 2050 si verificherà in Africa, continente che ha il più alto tasso di crescita della popolazione tra grandi aree, con un ritmo di crescita del 2,55 per cento; si stima che degli ulteriori 2,4 miliardi di persone che in proiezione si aggiungeranno alla popolazione globale tra il 2015 e il 2050, 1,3 miliardi siano africani. Dall’Asia si prevede il secondo più grande contributo alla futura crescita della popolazione mondiale, con l’aggiunta di 0,9 miliardi di persone tra 2015 e il 2050. Nella variante media, si stima che l’Europa avrà una popolazione inferiore nel 2050 rispetto al 2015.
I dati pongono in evidenza un trend globale, quello dei regimi demografici, che da almeno un secolo compone il quadro della popolazione mondiale e che va posto in relazione alla distribuzione geografica della popolazione e dello sviluppo economico, delineando una situazione in cui il mondo è diviso in due parti: «Da un lato quello delle aree ricche e industrializzate caratterizzate da bassi tassi di mortalità e di natalità. Dall’altro quello delle aree povere dove il calo della mortalità si accompagna al persistere di elevati indici di natalità» (Sabatucci e Vidotto, 2004). Questo squilibrio demografico, frutto delle condizioni socio-economiche nei diversi contesti regionali, è strettamente legato alle migrazioni internazionali. «Nel complesso, tra il 1950 e il 2015, le principali aree dell’Europa, America del Nord e Oceania sono importatori netti di migranti internazionali, mentre l’Africa, l’Asia e Latina e dei Caraibi sono stati netti esportatori, con il volume di saldo migratorio generalmente crescente nel tempo. Dal 2000 al 2015, la media del saldo migratorio annuo in Europa, America del Nord e Oceania media di 2,8 milioni di persone per anno» (ONU, 2015). Questo trend va letto per aree geografiche: tra il 2000 e il 2015, i paesi ad alto reddito hanno ricevuto una media annua di 4,1 milioni netti di migranti provenienti da paesi a minor e medio reddito. In futuro, il saldo migratorio si prevede che possa essere un fattore importante di crescita della popolazione in molti paesi ad alto reddito. Come sottolineato dal Report dell’ONU, «le grandi e persistenti asimmetrie economiche e demografiche tra i paesi rischiano di rimanere potenti generatori di migrazione internazionale nel prossimo futuro».
Spostando l’analisi su scala europea, si nota come la sotto-regione mediterranea abbia costituito uno snodo fondamentale del trend globale costituito dalle migrazioni transnazionali. L’arco delle diverse crisi – dal Maghreb al Mashrek, all’Africa subsahariana – che hanno caratterizzato alcune aree, ha determinato la direttrice Sud-Nord delle migrazioni facendo divenire l’Europa occidentale una delle mete principali. Dal 1990 al 2015 l’Europa (con Asia e Nord America) ha registrato i maggiori aumenti nel numero dei migranti internazionali: la percentuale di migranti sul totale della popolazione europea è passata dal 6,8 per cento nel 1990 al 10,3 per cento nel 2015. Nello specifico, l’Africa e l’Europa sono strettamente interconnesse dai flussi migratori nel loro complesso, sia per ragioni di prossimità geografica, sia per i rilevanti divari socio-economici che permangono tra i due continenti. Secondo i dati dell’United Nations Development Program (UNDP), infatti, 15 dei 20 paesi più sviluppati al mondo si trovano in Europa, mentre i 20 paesi meno sviluppati sono in Africa, di cui più della metà nell’Africa occidentale.
Diverse sono le direttrici dei flussi nel XXI secolo. Nei primi anni Duemila una direttrice importante di migrazione, con 31.600 persone in transito, era costituita dalla rotta Senegal-Mauritania-Marocco-Isole Canarie che costituiva l’asse dell’Africa occidentale; altro corridoio di grandi flussi dei primi anni Duemila era costituito dal Mediterraneo orientale, che ha visto tra il 2008 ed il 2009 circa 40.000 persone utilizzare il percorso che attraversa il Mar Egeo, ovvero attraverso la frontiera greca con la Turchia o attraverso il confine bulgaro (dati Frontex). Nell’ enclave spagnola di Melilla si sviluppava uno snodo storico di migrazioni dal Marocco, che vedeva numerose genti sospinte dai conflitti in Mali, Sudan, Camerun, Nigeria, Ciad. Sin dal 2008 la rotta del Mediterraneo centrale, con 39.800 migranti in transito, costituiva una delle principali del bacino, la cui composizione era costituita, prevalentemente, da tunisini, nigeriani, somali ed eritrei, e con punto di partenza privilegiato la Libia. Un deciso incremento nei flussi si è avuto nel 2011 in connessione con le cosiddette Primavere arabe, con crisi di leadership e modifiche degli assetti istituzionali che hanno caratterizzato paesi come Egitto Libia e Tunisia. Con le “primavere”, fattori sociali e demografici hanno contribuito ad alterare la geopolitica del Mediterraneo. Si sono intensificate fratture di diverso tipo – identitarie, etniche, infrareligiose – accresciute dalla crisi dello Stato e della sua capacità di preservare il monopolio della forza. Questa riorganizzazione politica, sociale e ideologica appare dagli esiti ancora incerti; un trend di interesse pare essere costituito dall’affermazione dei partiti islamisti che si sono imposti in alcuni Paesi del Nord Africa all’indomani delle Primavere arabe, e dalla occupazione di porzioni di territorio da parte di organizzazioni fondamentaliste.
Nella regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa) si assiste quindi a una riorganizzazione spaziale, politica e sociale che ha cause profonde nella struttura demografica ed economica di quelle società. Questo processo sembra sostenuto dalla composizione demografica e anagrafica della popolazione (crescita sostenuta e giovane età), in un contesto di crescita economica ancora relativamente lenta. Alla creazione in atto di un “nuovo ordine” che a oggi appare incerto nei suoi esiti (cfr. Fedele, 2015), è correlata l’intensificazione delle migrazioni dal Nord Africa verso l’Europa. Questo dato di fatto conferma la centralità strategica della regione mediterranea, destinata a restare l’epicentro di tre fenomeni interconnessi, ossia migrazioni, demografia, sviluppo economico, che si sviluppano, per ora, lungo il confine tra due regioni – europea e mediorientale-nordafricana – con trend divergenti.
Le migrazioni, con tutto il carico di complessi problemi di gestione e controllo correlati, sembrano poter incidere su diverse scale. In primis sulla necessità di rafforzare la cooperazione tra gli Stati del bacino mediterraneo per la regolazione delle migrazioni internazionali e di potenziare le politiche su scala europea per la gestione comune del fenomeno migratorio, di cui un recente esempio è costituito dall’approvazione del Regolamento UE che istituisce una Guardia Costiera e di Frontiera (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento UE 2016/399). In secondo luogo, le migrazioni incidono sulle dinamiche interne agli Stati, in particolare sulla capacità di gestire un fenomeno di lunga durata caratterizzato da una serie di dinamiche interne multifattoriali (sociali, linguistiche, identitarie, culturali) che si intersecano con le tradizioni identitarie, i cicli di sviluppo economico e la struttura demografica e anagrafica delle società di accoglienza.
L’insieme dei dati sopra esposti confermano il rilievo del nesso tra demografia migrazioni e cambiamenti sociali. Il Mediterraneo costituisce uno spazio decisivo su scala regionale di questo fenomeno globale, un nodo strategico di un flusso di lunga durata che incide – e inciderà sempre più – sulle relazioni internazionali, le politiche interne, lo sviluppo economico e la dinamica delle relazioni sociali decisivo per le relazioni tra regione europea, Medio oriente e Africa. Allo stesso tempo, il bacino è una faglia storica lungo la quale si sviluppano una serie di conflitti identitari, sociali, infrareligiosi e di distribuzione del potere che rendono il tema della sicurezza nella regione uno degli assi principali attorno cui si potrebbero sviluppare, presumibilmente, forme sempre più intense di cooperazione in materia di sicurezza e difesa, nonché in materia di intelligence, su scala europea ed euromediterranea.
Bibliografia
- Cataldi G. (a cura di), A Mediterranean Perspective on Migrants’ Flows in the European Union: Protection of Rights, Intercultural Encounters and Integration Policies, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016.
- Fedele V., La Tunisia post-rivoluzionaria. Echi del passato e immagini del futuro, in “Futuri” n. 6, 2015.
- Frontex, Migratory Routes Map.
- Merlini C. (a cura di), La politica estera dell’Italia, il Mulino, Bologna, 2016.
- ONU-ESA (Department of Economic and Social Affairs), World Population Prospect, revision 2015, United Nations, New York, 2015.
- Sabatucci A., Vidotto V., Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi, Laterza, Roma-Bari, 2008.