In HyperNormalisation il documentarista britannico Adam Curtis ci accompagna per quasi tre ore nell’esplorazione e nell’approfondimento, entro i limiti permessi dal medium, di alcuni importanti eventi politici ed economici che hanno segnato gli ultimi quarant’anni di storia, con particolare riguardo alle relazioni internazionali tra occidente e medio oriente, il cyberspazio e il crollo dell’Unione Sovietica; questi elementi sono apparentemente del tutto isolati tra loro, ma Curtis mostra abilmente come essi siano invece collegati da un filo molto sottile.
Il titolo del docufilm, prodotto dalla BBC e scritto dallo stesso narratore, ha origine in un testo dello studioso russo Alexei Yurchak. L’HyperNormalisation è quel fenomeno che ha avuto luogo durante gli ultimi decenni di vita del sistema sovietico: era evidente che il sogno socialista fosse prossimo al collasso, ma l’incapacità dei burocrati e del popolo di immaginare una realtà alternativa li spinse a comportarsi come se nulla stesse accadendo, mascherando la nuova cruda realtà con quella precedentemente esperita. Tale fenomeno si riverberò anche sulle produzioni culturali, e Curtis cita il romanzo di fantascienza Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Arkady e Boris Strugatzki, da cui sono stati tratti il celebre film Stalker di Andrej Tarkovski e l’omonimo videogioco. Nel mondo immaginato dai due fratelli esiste una zona caratterizzata da strane anomalie, nel quale è difficile distinguere la realtà dalla finzione. “Eri parte del sistema a tal punto che era impossibile vedere oltre”, recita Curtis, secondo il quale anche noi siamo attualmente vittime di tale fenomeno. L’intento dell’autore, dall’autorevole tono tipicamente inglese, è quello di scavare a fondo nelle relazioni di potere tra e governati e governanti, clienti e banche, opinione pubblica e media, realtà e finzione; di analizzare in che modo le élite del “sistema” mantengano saldamente il potere promettendo stabilità invece di cambiamento, oppure perché tra i tecnoutopisti dei primi anni di Internet come John Perry Barlow che immaginavano una rete libera da gerarchie, e i padri del Cyberpunk come William Gibson che prevedevano una società hi-tech dominata da oscure corporazioni, siano stati questi ultimi ad averci visto giusto.
Al contrario di quanto ci si possa aspettare, Curtis non si abbandona a dietrologie scontate e teorie della cospirazione: dietro questo mascheramento della realtà non c’è un disegno intelligente di una manciata di potenti, ma un processo collettivo che è parte del sistema stesso. Il documentario si apre con la New York del 1975, una cesura storica che segna l’affermarsi del cosiddetto “neoliberismo”, quando gli istituti finanziari prendono il controllo della città ormai sommersa dai debiti. Figura importante della sinistra inglese, Curtis critica i movimenti anarchici e antisistema di quegli anni, che invece di continuare la lotta portata avanti negli anni ’60 si sono ritirati nelle periferie degradate delle grandi città dando vita a quel fenomeno che Edmund Berger chiama “accelerazionismo grunge”, rifiutandosi di combattere concretamente il sistema e dedicandosi esclusivamente all’espressione artistica.
Dagli Stati Uniti, l’autore si sposta in medio oriente. Curtis si concentra in particolare sulla Siria di Hafez al-Assad, padre dell’attuale dittatore Bashar al-Assad, e sulla Libia del Colonnello Gheddafi, salito al potere attraverso un colpo di stato. Vengono esplorati diversi aspetti riguardanti il passato di questi due personaggi; nelle loro relazioni con gli Stati Uniti Curtis vede un esempio del cosiddetto “perception management”, altra parola chiave del documentario. La gestione della percezione da parte di élite e media muta la comprensione che le persone hanno della realtà: gli Stati Uniti e alcuni loro alleati sono riusciti ad assegnare al dittatore libico un’identità, quella di leader del terrorismo globale, che in realtà non gli apparteneva; lo stesso Colonnello è stato al “gioco” per acquisire fama globale. Manipolare la realtà, o meglio, la sua percezione, riduce l’estrema complessità del mondo contemporaneo a spiegazioni semplicistiche di processi, situazioni e problemi che nessuno, anche politici e accademici, può comprendere e ai quali nessuno può trovare una soluzione definitiva.
Una pellicola incentrata sulla dicotomia realtà-finzione non poteva esimersi dal toccare argomenti come il cyberspazio, l’intelligenza artificiale o la realtà virtuale e l’utilizzo di droghe psichedeliche, di cui celebri attivisti della controcultura come Timothy Leary sono stati strenui sostenitori negli anni ’60 e ‘70. Vengono anche sfiorati temi quali il fenomeno UFO, utilizzato come ulteriore esempio del “perception management”, e i programmi di sorveglianza di massa. La colonna sonora electro-ambient dai suoni angosciosi composta da pezzi di vari artisti – tra cui Aphex Twin e Brian Eno – fa da sfondo ai numerosi filmati di repertorio provenienti dagli archivi della BBC. Nell’ultima parte Curtis prende in esame eventi di estrema attualità quali l’intervento russo in Ucraina e in Siria e il successo del magnate Donald Trump in occasione delle elezioni presidenziali americane, investigando anche sul suo passato; il parallelo Trump-Putin è un ottimo esempio di quella che molti studiosi definiscono “post-factual society”, i cui effetti sono amplificati dalle filter bubble in cui ci hanno intrappolato i social network. La società post fattuale vede nelle strategie del candidato repubblicano e del presidente russo la sua più alta rappresentazione: attraverso la diffusione di informazioni false e operazioni di propaganda si da vita ad una realtà alternativa a quella rappresentata dai fatti che è impossibile da contrastare, divenendo, di fatto, una finta realtà parallela, una società in cui il reale ha la stella valenza del irreale. L’autore si concentra su Vladislav Surkov, consigliere di Putin, considerato da Curtis l’uomo dietro la “fiction” messa a punto del Cremlino, attraverso la letterale spettacolarizzazione della vita politica russa, popolata da movimenti di supporto e di opposizione al governo che lui stesso sponsorizza; la trasposizione di questo disegno nel mondo della guerra ha dato vita a quella strategia, utilizzata dalla Russia in Ucraina e più recentemente in Siria, che Surkov ha nominato “non-lineal warfare”, che mira a “creare uno costante stato di percezione incerta per acquisire il controllo della situazione”.
HyperNormalisation è un documentario sul presente che non fa alcun accenno al futuro; è scevro di alcun intento prescrittivo, in quanto l’autore si focalizza esclusivamente nel descrivere la società attuale senza fornire soluzioni alternative. È intriso di un pessimismo che non viene abbandonato nemmeno al termine del film, lasciando allo spettatore il compito di interrogarsi sul futuro e, forse, impegnarsi a cambiarlo. Diamoci da fare, perché sembra che Adam Curtis ci abbia già rinunciato.