Nel 1975 il Centro internazionale di ricerche di mercato promosse un’analisi di scenario dal titolo “Italia +30: l’avvenire visto da 40 leader”, che tentava di utilizzare una delle metodologie tipiche della previsione sociale, il “metodo Delphi”, per saggiare le opinioni di alcune delle più importanti personalità del mondo accademico e scientifico italiano su come sarebbe stato il nostro paese nel 2005. Fu, verosimilmente, l’unico tentativo di analisi di lungo periodo tentata nel nostro paese. Il rapporto conclusivo è andato perso, ma fortunatamente nel 1980 le conclusioni vennero riportate nel volume Previsioni di lungo periodo. Analisi esplorative curato da Giorgio Marabch. Ciò ci permette oggi di confrontare le previsioni e i suggerimenti degli esperti con lo scenario reale dell’Italia contemporanea. E, sorprendentemente per alcuni, meno per altri (per chi, cioè, crede, come l’autore, che la previsione sociale abbia una reale valenza di orientamento per il futuro), le previsioni fatte sono molto vicine alla realtà del 2005.
I dati demografici prevedevano una popolazione mondiale di 7 miliardi e una popolazione italiana di 65 milioni: stime vicine alla realtà, poiché nel 2005 si raggiunsero 6,5 miliardi a livello mondiale e 58 milioni in Italia. Si prevedeva correttamente che «il problema degli anziani tenderà ad assumere importanza sempre crescente», condizionando «pesantemente le scelte di politica economica». Gli esperti indicavano correttamente tra i problemi del 2005 (si badi bene, in pieno bipolarismo), un disordine internazionale a opera di «nuove forze in gioco»; il «tramonto delle ideologie» a livello internazionale; la «diminuzione del potere dei governi centrali», a favore di strutture sovranazionali come l’Unione europea e delle regioni a livello locale; la necessità di un «superamento dell’attuale organizzazione partitica, a livello politico», per il caso italiano. Si prevedeva perfino correttamente, in piena era spaziale, l’attuale era di stagnazione in cui, relegando «in secondo piano le velleità spaziali», si sarebbe rinunciato «a quella parte dell’accelerazione dello sviluppo tecnologico civile» resa possibile dagli investimenti nel settore.
Concentrandosi sui principali problemi che avrebbe dovuto affrontare l’Italia nel 2005, venivano indicati con precisione cinque ordini di problematiche:
- Svecchiamento di istituzioni e leggi, «assolutamente inadeguati ai tempi».
- Miglioramento qualitativo della classe politica, a causa del «diffondersi dell’informazione» che avrebbe reso «impossibile ad una classe politica imbelle di rimanere lungamente al potere»; ciò avrebbe costretto a un rinnovamento della classe politica italiana, che «manca di ogni capacità previsiva» e i cui «ripetuti fallimenti discendono direttamente dall’abitudine inveterata di pensare in termini di 30 giorni invece di 30 anni».
- Riforma della pubblica amministrazione, che finora «ha fatto abortire ogni e qualsiasi tentativo sia di seria programmazione sia di riformarla».
- Ascesa di nuove forze sociali e declino di altre, segnatamente la «piccola borghesia intellettuale».
- Partecipazione dei cittadini alla gestione del potere.
Pare incredibile, ma in quel rapporto di quarant’anni fa troviamo gli stessi problemi di cui soffre l’Italia di oggi e alcuni dei punti all’ordine del giorno dell’attuale governo; segno che, se la classe politica di allora avesse dato ascolto ai 40 saggi di quel rapporto, le cose avrebbero potuto cambiare.
Ma siamo appena all’inizio. Il rapporto prosegue entrando nel dettaglio in diversi settori.
Nel campo dell’istruzione, viene segnalata l’importanza di formare nuovi quadri in grado di «gestire un moderno stato sempre più basato su scienza e tecnica»; senza una reale riforma dell’istruzione, i giovani degli anni Settanta e Ottanta «diventeranno adulti con gli schemi mentali, la incultura, la informazione limitata e la sostanziale inadeguatezza al nuovo che caratterizzano la massima parte degli studenti di oggi». E, a quanto pare, è andata proprio così!
Sul piano economico, le aspettative di un’abbondanza energetica nel XXI secolo sono state frustrate dal fatto che gli esperti erano convinti in un’ascesa dell’energia nucleare, interrotta invece in Italia dal referendum del 1986. L’inflazione sarebbe stata contenuta, ma non eliminata. La scarsità di risorse alimentari nel mondo preoccupava gli esperti del rapporto, che suggerivano una serie di soluzioni che poi sono state adottate a livello internazionale e hanno permesso di «evitare la morte per fame di milioni di perone» (in pratica la meccanizzazione agricola, l’uso intensivo di fertilizzanti, la selezione di specie ad alta produttività, ossia la famosa “rivoluzione verde” che ha allontanano gli spettri malthusiani della carestia globale).
Ma gli studiosi prevedevano correttamente i principali problemi economici dell’Italia del primo XXI secolo:
- la «struttura anelastica dell’economia», con la sua «pericolosa tendenza a prolungare nel tempo i cicli sfavorevoli, e quindi ad invischiarsi in possibili scenari di decadimento, resi addirittura probabili dalla naturale tendenza al corporativismo degli italiani» (sembra quasi una profezia dell’attuale crisi economica, da cui l’Italia non è in grado di riprendersi);
- la «mancanza di pianificazione», che richiede invece di aumentare gli «investimenti sociali, i soli che consentano la soluzione degli annosi problemi che travagliano l’Italia»;
- la necessità di potenziare e ammodernare il settore agricolo, favorendo «un riflusso di giovani da settori a bassa produttività patologicamente gonfiati, quali il terziario tradizionali, verso la nuova azienda agricola», cosa che sta avvenendo proprio nell’Italia oggi, ma non certo grazie a riforme o incentivi di governo, quanto per un naturale mutamento strutturale;
- l’«industria segmentata tra colossi di Stato e medie e piccole imprese», dove i primi vengono correttamente considerati come «colossi dai piedi di argilla» sovvenzionati dal denaro pubblico;
- la «terziarizzazione patologica pubblica», con l’enorme numero di impiegati nel settore pubblico, dalle «caratteristiche prettamente politiche, clientelari e di collusione tra potere politico e burocrazia».
Che cosa sarebbe l’Italia oggi, se le problematiche esposte così lucidamente in quel rapporto fossero state prese in seria considerazione dal governo italiano? Invece, i suggerimenti caddero nel nulla. Si parlava, già allora, di mettere fine alle assunzioni facili nel settore pubblico, che avrebbero portato all’enorme debito pubblico che oggi divora il paese; di favorire il settore agricolo, gli investimenti in istruzione e formazione, di abbandonare le sovvenzioni alle fallimentari industrie di stato, di cambiare la classe dirigente e, soprattutto, di fare più pianificazione. Cosa che invece i governi italiani si sono ben guardati dal fare.
Guardare al domani è l’esercizio che la politica dovrebbe saper fare meglio. Il suo scopo è garantire il benessere comune non solo delle generazioni di oggi, ma anche di quelle di domani. La previsione sociale è lo strumento che ogni governo dovrebbe adottare per individuare correttamente i grandi problemi che il paese e l’ordine internazionale si troveranno a dover affrontare nei prossimi decenni, e in base ai quali individuare le soluzioni da intraprendere. Non stupiamoci, allora, del perché della crisi in cui oggi ci dibattiamo.