«La digitalizzazione rapida e in via di accelerazione porterà probabilmente devastazioni economiche più che ambientali, dovute al fatto che, diventando i computer più potenti, le aziende avranno meno bisogno di certi tipi di dipendenti. Nella sua corsa il progresso tecnologico lascerà a piedi qualcuno, forse tanta gente. Ma non c’è mai stato un momento migliore per essere un lavoratore specializzato o istruito nel senso giusto del termine, perché questo è il tipo di persona che può usare la tecnologia per creare e catturare valore». Così scrivono Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee nel loro libro La nuova rivoluzione delle macchine (2015), tra i più influenti testi dedicati al tema dell’automazione e del suo impatto sul mercato del lavoro. Ma di persone lasciate a piedi dal progresso tecnologico ce ne sono già molte, da decenni; solo che spesso non ce ne rendiamo conto e decliniamo il concetto della disoccupazione tecnologica al futuro. Un tempo esistevano persone appositamente preposte al servizio della sveglia telefonica, per esempio: chi voleva essere svegliato a un’ora esatta prenotava telefonicamente il servizio e riceveva la chiamata all’orario prescelto, con la voce gentile di un’operatrice – non una voce sintetica – a dare il buongiorno. Fino a poco tempo fa si trattava di un semplice fenomeno di trasformazione del mercato del lavoro: alcune professioni, inevitabilmente, scompaiono per essere sostituite da occupazioni nuove e più all’avanguardia.
Ora questo meccanismo si sta inceppando. Prendiamo il caso del lavoro d’ufficio: sempre più mansioni routinarie stanno scomparendo a causa dell’impiego di software che ne automatizzano i processi. Questo fenomeno viene definito Robotic Process Automation (RPA) e consiste nel configurare software e “bot” per eseguire operazioni routinarie su larga scala. «Analogamente a come i robot industriali stanno rimodellando l’industria manifatturiera creando tassi di produzione più alti e migliorando la qualità, i robot RPA stanno rivoluzionando il modo in cui pensiamo e amministriamo i processi di business, i processi di support IT, i processi di workflow, l’infrastruttura remota e il lavoro di back-office», sostiene l’Institute for Robotic Process Automation & Artificial Intelligence. L’obiettivo è risparmiare tempo e “liberare” il lavoratore da mansioni di basso livello e ripetitive. Ma cosa succede se il lavoratore non viene formato in tempo per essere ricollocato in un nuovo settore produttivo? Viene “lasciato a piedi”, per usare il gergo eufemistico di Brynjolfsson e McAfee; finisce in mezzo a una strada, diremmo più direttamente noi.
Perché le cose stanno cambiando
Parliamo di “nuova rivoluzione delle macchine” perché, rispetto ai fenomeni tradizionali di automazione che risalgono alla Rivoluzione industriale, molte cose sono cambiate: l’aumento esponenziale delle velocità di calcolo dei computer (dai teraflop ai petaflop agli exaflop e sempre più oltre), la miniaturizzazione dei processori (uno smartphone contiene oggi un processore di gran lunga più potente di quello che mandò gli astronauti sulla Luna), l’affermazione dei Big data e del web semantico, nuovi modi di processare grandi quantità d’informazione utilizzando gli strumenti messi a disposizione da Internet. I risultati di questa rivoluzione consistono nell’ampia disponibilità sul mercato di software e app prima accessibili solo a grandi compagnie e nella possibilità di automatizzare operazioni e attività impensabili solo fino a qualche anno fa.
Le previsioni dei grandi think-tank, al riguardo, sono ormai ben note. L’Oxford Martin School prevede per i prossimi decenni una probabilità di automazione molto alta (con valori tra 0,6 e 1 su una scala da zero a uno) proprio per quelle mansioni a più alta occupazione, che coprono la metà della forza lavoro mondiale: servizi d’ufficio e attività amministrative, produzione di merci, vendite al dettaglio (con il boom dell’e-commerce), trasporti (con l’avvento imminente dei mezzi senza conducente). Restano per ora al riparo quei posti di lavoro ad alta qualificazione, dal settore del business e della finanza all’insegnamento scolastico e universitario, dalla ricerca scientifica ai servizi sanitari (Frey e Osborne, 2015). Ma le cose non sono destinate a durare. Aree occupazionali da sempre considerate al riparo dall’automazione oggi sono investite dalla nuova rivoluzione degli algoritmi: software di traduzione sempre più avanzati, sia di testi scritti che di registrazioni vocali e conversazioni simultanee stanno raggiungendo livelli molto vicini a quelli umani, servizi giornalistici sono ora scritti da algoritmi (per esempio le notizie di borsa dei quotidiani finanziari) ed esistono sperimentazioni d’avanguardia per affidare a potenti intelligenze artificiali le diagnosi di pazienti affetti da tumore.
Tutto ciò impone un ripensamento generale e ad ampio spettro dell’attuale stato dell’occupazione, con l’obiettivo di anticipare i cambiamenti e favorire le transizioni verso nuove attività prima che la disoccupazione tecnologica spazzi via interi comparti professionali. Il settore bancario e finanziario può rappresentare, in questo senso, un caso studio importante. Si tratta di un settore dove gli utenti hanno necessità di operare h24, 365 giorni l’anno, quindi in orari dove gli operatori umani non hanno possibilità di lavorare; richiede spesso mansioni routinarie, come l’immissione di dati dei clienti sui terminali, la scansione dei loro documenti per richieste di prestiti o mutui; necessita dell’acquisizione ed elaborazione di grandi quantità di dati, per esempio per la profilazione dei clienti. Un settore, quindi, che vede molte attività destinate all’automazione, in affiancamento a quelle già da tempo automatizzate, come la contabilità, la gestione di banche dati, le operazioni di ricerca o l’elaborazione dei testi. Per non parlare degli algoritmi che oggi effettuano sofisticate analisi dell’esposizione ai rischi di un portafoglio o delle ragioni della limitazione del credito di un cliente, che prima erano riservate agli operatori umani più competenti.