La scienza ha sempre emesso cambiali mediche. Nel diciassettesimo secolo, Francis Bacon promise che la comprensione dei veri meccanismi delle malattie ci avrebbe permesso di estendere la vita quasi indefinitamente; Cartesio pensava che mille anni sembrassero ragionevoli. Ma nessuna scienza è stata più ottimista, più basata sulle promesse, della genetica medica. Recentemente ho letto un articolo in cui si prometteva che la genetica medica ci avrebbe regalato «un mondo in cui i dottori vanno dai loro pazienti e gli dicono da quale malattia stanno per essere colpiti». I trattamenti possono iniziare «prima che il paziente avverta i primi sintomi!». Questo promette la “medicina di precisione”, che mira a rendere la medicina predittiva e personalizzata attraverso la conoscenza dettagliata del genoma del paziente.
Il fatto è che l’articolo è del 1940. È un pezzetto di giornale ingiallito negli Archivi Alan Mason Chesney alla John Hopkins University di Baltimora. L’articolo descrive Madge Turlow Mackli, un medico addestrato alla Hopkins che lavorava all’University of Western Ontario. La genetica di Macklin di metà secolo non è la genetica contemporanea. Nel 1940, i geni erano fatti di proteine, non di DNA. I libri sostenevano che abbiamo 48 cromosomi (ne abbiamo 46). Guardando indietro, non sapevamo quasi assolutamente nulla sui meccanismi genetici delle malattie umane.
Queste promesse genetiche vengono a galla nei decenni con una strana risonanza. Nel 1912, Harvey Ernest Jordan – che sarebbe diventato rettore della scuola medica della University of Virginia – scrisse: «La medicina sta diventando con rapidità una scienza della prevenzione delle malattie; della loro cura permanente e non temporanea, della loro eradicazione razziale invece che della cura palliativa» (per “razziale” Jordan intendeva semplicemente qualsiasi grande popolazione i cui membri avessero legami di qualche sorta). “Veloce” è un termine relativo; 99 anni dopo, nel 2011, Leroy Hood ha scritto: «La medicina si trasformerà da una disciplina reattiva a una proattiva nel prossimo decennio».
Il cancro è spesso considerato l’obiettivo più promettente della medicina di precisione. Nel 2003, Andrew C. Von Eschenbach, a capo del National Cancer Institute, fissò l’obiettivo dell’eliminazione della morte e della sofferenza dovute al cancro entro il 2015. Il 20 settembre di quest’anno, Microsoft ha annunciato un’iniziativa per curare il cancro entro il 2026. Jasmin Fisher, ricercatrice senior del progetto, ha dichiarato: «Se siamo in grado di controllare e regolare il cancro allora diventerebbe come qualsiasi malattia cronica e il problema sarebbe risolto».
Queste dichiarazioni riportano in mente il vecchio sketch di Monthy Pyton, “Come farlo”, nel quale Eric Idle spiega come il mondo possa sbarazzarsi di tutte le malattie. «Beh, prima di tutto diventi un dottore e scopri una meravigliosa cura per qualcosa», dice. «Poi – continua – quando la comunità medica comincia a notarti, puoi dirgli baldanzoso cosa fare e assicurarti che facciano tutto bene in modo tale che non ci siano più malattie».
Proprio il giorno dopo l’annuncio di Microsoft, il 21 settembre, Mark Zuckerberg e sua moglie, la pediatra Priscilla Chan, hanno annunciato una donazione di 3 miliardi alla loro Chan Zuckerberg Initiative (CZI). La CZI ha l’obiettivo di «curare tutte le malattie nell’arco della vita dei nostri figli». Ancora una volta, i Pythons ci hanno azzeccato. Con il loro denaro, i dottori possono scoprire cure meravigliose per le malattie. Poi, quando la comunità medica davvero comincerà a interessarsi, CZI può dirgli con una certa sicurezza cosa fare e assicurarsi che facciano tutto bene, in modo tale che non ci saranno più malattie.
Mentre le grandi promesse mediche sono atipiche nella medicina molecolare, questo settore sembra particolarmente propenso alla retorica spicciola. Si può quasi sentire Eric Drexler ansimare mentre scrive, nel suo manifesto Engines of Creation (1986), che nanomacchine a base di proteine «promettono di portare cambiamenti tanto profondi quanto la Rivoluzione Industriale, gli antibiotici, e le armi nucleari tutte concentrate in una grande scoperta».
Grandi annunci, esagerazioni e aspirazioni mascherati da difficili obiettivi non hanno una singola causa. Una ragione, sicuramente, è il senso impetuoso di onnipotenza che accompagna i principali avanzamenti scientifici. La teoria dell’evoluzione tramite selezione naturale di Charles Darwin, la riscoperta delle leggi dell’eredità di Gregor Mendel, la decifrazione del codice genetico, l’ingegneria genetica, lo Human Genome Project, CRISPR, tutti furono seguiti da grandi annunci sull’imminente controllo totale dei processi fondamentali della vita. Ogni generazione di scienziati guarda indietro e scuote la propria testa collettiva con incredulità condiscendente per le poche conoscenze che aveva la generazione precedente, fermandosi raramente a pensare che la generazione successiva avrebbe fatto lo stesso.
Nel nostro particolare momento, la biologia è il re, e il perenne desiderio di soluzioni semplici a problemi complessi porta le persone al determinismo biologico: dipende tutto dai nostri geni. Dipende tutto dai nostri neuroni. Questa nuova scoperta cambierà tutto. Anche la possibilità di enormi profitti nel campo della biotecnologia contribuisce alla propensione per l’hype. Compra le voci, vendi le news. Da nessuna parte è più vero che nel campo delle biotecnologia e dell’informatica. Come ha scritto il biologo molecolare James Watson – lui stesso non estraneo all’hype – nella sua memoria personale Evita le persone noiose (2007): «Niente attrae il denaro come la ricerca di una cura per una terribile malattia». Alla fine, I ricercatori e i loro finanziatori competono per l’attenzione dei media, i quali sono loro stessi in competizione per un’audience ultrastimolata e intontita. Superare l’assuefazione e guadagnare l’attenzione del pubblico richiede salti iperbolici sempre più grandi. È il momento di contrattaccare. Un modo è responsabilizzare la stampa, gli scienziati e i filantropi. Nel 2014, Jonathan Eisen, professore al Genome Center dell’Università della California, ha redatto una lunga lista di articoli sulle aspettative intorno al progetto genoma, molti dei quali critici delle promesse oppure mirati a bucare la bolla delle aspettative gonfiate. Noi dobbiamo e dovremmo continuare a scrivere, raccogliere e condividere pezzi del genere. Finanziare generosamente la scienza, ma premiare la conoscenza più del valore di mercato. Incoraggiare l’alfabetizzazione scientifica, non solo fare il tifo. E insegnare lo scetticismo nella tecnologia, medicina e nei media.
Ora, questo potrebbe sembrare un sogno impossibile. Nonostante ciò, qualsiasi progresso in questa direzione frutterà dei risultati. La scienza conduce a una comprensione migliore, e una nuova conoscenza continuerà a portare nuove medicine e nuove terapie. Ma una miglior comprensione vuol dire anche riconoscere la complessità della natura. Il progresso della scienza è la costante realizzazione di quanto sappiamo poco. Più noi, il pubblico, capiamo questo sulla scienza, più vedremo oltre le aspettative. E più noi andiamo oltre l’hype, più la medicina servirà i diretti interessati piuttosto che gli investitori. Avremo cure migliori. Lo prometto.
L’articolo originale è apparso su Aeon. Traduzione di Bruno Formicola.