Le città contemporanee, che ospitano due terzi della popolazione mondiale ed italiana, sono oramai città in buona parte porose e discontinue, costituite da sistemi costruiti, semi costruiti e aperti, con una grande offerta di aree che nel passato avremmo giudicato potenzialmente trasformabili: aree dismesse, sottoutilizzate, abbandonate, vuoti urbani di varia natura. L’insieme di queste aree forma un’offerta di gran lunga superiore a qualsiasi ragionevole domanda immobiliare, non solo pubblica ma soprattutto privata. Un aspetto, quest’ultimo, che pone il problema dei possibili usi temporanei con funzione anche di presidio e sicurezza contro il degrado urbano.
Le città contemporanee sono state caratterizzate negli ultimi decenni da tre grandi cambiamenti:
- L’aggravarsi dello stato di insostenibilità: uno stato che deriva dalla continua erosione di risorse ambientali richieste dal metabolismo delle città, per gli effetti inquinanti e congestivi, come ad esempio un modello di mobilità ancora troppo dipendente dalla motorizzazione privata, l’enorme spreco energetico dovuto alle condizioni di gran parte del suo patrimonio immobiliare, oltre che alle modalità di uso del suolo indifferenti a tale problematica.
- Un cambiamento, più recente e reso più evidente dagli effetti della crisi ancora aperta, dell’economia della città, con una caduta verticale del settore immobiliare dovuta all’impoverimento della popolazione e alla crisi occupazionale, al restringimento del credito, ma anche alla sovraproduzione degli ultimi decenni, che ha determinato un patrimonio edilizio tanto consistente quanto incapace di soddisfare una forte domanda abitativa ancora presente. Al tempo stesso, si è ridotta la capacità produttiva delle città, in parte per la generale riduzione dell’occupazione specialmente nel settore edilizio e in quello delle infrastrutture, tale da aver provocato finora la perdita di 1,3 milioni di posti di lavoro e la diminuzione del 9% della ricchezza delle famiglie.
- Un cambiamento ambientale: l’eccessivo consumo di suolo agricolo e naturale non riguarda solo il paesaggio, ma problematiche ecologiche profonde, legate alla progressiva impermeabilizzazione dei suoli urbani e alla riduzione della copertura vegetale e quindi della capacità di rigenerazione naturale delle risorse ambientali fondamentali quali aria e acqua.
I cambiamenti ambientali devono essere considerati anche come causa, non secondaria, dei cambiamenti climatici in corso con il conseguente susseguirsi di eventi meteorologici estremi che espongono a rischi sempre più gravi le aree urbanizzate. Esse infatti sono rese fragili da scelte urbanistiche sbagliate, soprattutto quelle relative al sistema idrogeologico superficiale. Una risposta adeguata ai cambiamenti epocali che stanno vivendo le città dev’essere la resilienza intesa come rigenerazione urbana.
In questa direzione nell’aprile 2013 la Commissione europea ha presentato la “Strategia europea per l’adattamento ai cambiamenti climatici”, che rappresenta un primo quadro d’indirizzo programmatico per la definizione di strategie e piani per la resilienza territoriale a livello nazionale, regionale e locale. L’introduzione da parte dell’UE di questi primi strumenti operativi risulta fondamentale per permettere agli Enti locali del nostro Paese, e degli altri paesi europei, di avere un primo quadro di riferimento comune per l’avvio di politiche e azioni in chiave di resilienza territoriale locale. Questo nel mentre che il nostro Governo, come altri stati membri, adotti la SNA – Strategia Nazionale di Adattamento, che nella fattispecie italiana risulta in fase di definizione.
In attesa delle linee guide nazionali e sulla scia del Comune di Ancona che, con il progetto ACT e la collaborazione scientifica di ISPRA, rappresenta una città pioniera in Italia sul tema dell’adattamento, avendo già approvato il proprio piano, il Comune di Bologna ha deciso di dotarsi di un proprio PAL – Piano di Adattamento Locale, grazie alle attività del progetto BLUE AP – Bologna Città Resiliente, finanziato nell’ambito del programma UE LIFE+ (BLUE AP – LIFE 11 ENV/IT/119). BLUE AP vede coinvolti oltre al capofila, il Comune di Bologna, tre partner tecnico-scientifici – ARPA Emilia Romagna, Ambiente Italia, Kyoto Club – e dovrà concludersi entro settembre 2015. Obiettivo del progetto BLUE AP è avviare un processo di comprensione delle politiche e azioni ambientali-climatiche già avviate dall’amministrazione, per riuscire a delineare i punti fondamentali del proprio piano di gestione dei rischi derivanti dai mutamenti climatici e per uno sviluppo sostenibile e sicuro del territorio felsineo.
Il primo passo del progetto è stato quello di definire il Profilo Climatico Locale, strumento conoscitivo essenziale per l’individuazione delle vulnerabilità e dei rischi climatici. Con il supporto di ARPA Emilia Romagna e Ambiente Italia si sono analizzati i dati meteo-climatici in possesso di ARPA dal 1950 ad oggi. Grazie alla modellizzazione delle serie storiche si è potuto andare a valutare i possibili impatti dei mutamenti climatici su scala locale. Dal 1951 al 2011, infatti, sono stati osservati importanti segnali di variabilità climatica sia per le temperature, con un conseguente aumento delle ondate di calore, sia per le precipitazioni. In Emilia Romagna le ricerche svolte sulle tendenze in atto confermano che il clima sta cambiando e ha degli effetti già evidenti sul territorio. Queste evidenze riguardano principalmente le temperature: si registra infatti una loro tendenza al rialzo con anomalie positive nella maggior parte della Regione (0,5-3 °C), e delle precipitazioni, con una tendenza al rialzo con valori e livelli che variano in base alla zona della Regione. A Bologna, come ha evidenziato ARPA Emilia Romagna redigendo le linee guida del Profilo Climatico Locale, sono state osservate delle tendenze significative di aumento della temperatura per tutte le stagioni, con un valore medio di circa 0,3 gradi per decade (dal 1951 al 2011). Oltre al valore medio s’è osservato anche un aumento delle ondate di calore, ossia dei giorni consecutivi con temperature massime giornaliere superiori a 33 gradi, e una diminuzione del numero di giorni con gelo, quando la temperatura minima è inferiore a 0 gradi. ARPA Emilia Romagna ha ricordato, infine, che l’aumento è stato più marcato dopo gli anni Novanta, quando sono state osservate forti anomalie, come ad esempio durante l’estate 2003 e l’inverno 2007-2008.
Le evidenze empiriche e i dati scientifici parlano chiaro e sono confermati anche dai fatti di cronaca, documentati dalla stampa locale, da cui emerge chiaramente un incremento degli eventi estremi legati ai cambiamenti climatici: piogge intense, trombe d’aria, accelerazione dei movimenti franosi sulla collina bolognese, scarsità d’acqua, siccità. Basti pensare che solo nel 2012 si sono registrati diversi fenomeni, riconducibili al cambiamento climatico, che hanno aumentato l’effetto dannoso dell’azione umana: nell’agosto 2012, ad esempio, l’agricoltura emiliano-romagnola ha affrontato un super allarme siccità. Nelle province di Ferrara e Bologna, infatti, le perdite del raccolto sono arrivate al 100%. Nell’aprile 2013, a Bologna e provincia molte strade sono state chiuse a causa di smottamenti e allagamenti per la pioggia intensa e la situazione si è fatta critica anche nella zona collinare della città, dove si sono registrate esondazioni di canali e frane, che hanno causato la discesa di detriti dalla collina. E in seguito all’intensificarsi delle precipitazioni, sempre nello stesso periodo, sui rilievi si sono registrate punte massime tra i 50 e gli 80 mm. A maggio 2013, inoltre, una tromba d’aria che si è abbattuta su parte dell’Emilia ha scoperchiato decine di strutture (case, fienili, capannoni agricoli e industriali) e ha provocato 11 feriti, mettendo in emergenza le province di Bologna e Modena. Nel mese di agosto 2013 si sono registrate temperature massime che hanno toccato i 39,7 °C: il caldo ha impattato anche sulla concentrazione di ozono, rendendo insostenibile l’aria di Bologna. Si sono superati, infatti, i limiti di legge e ad agosto la centralina dei giardini Margherita ha rilevato 215 microgrammi per metro. Va evidenziato, a fini scientifici, come le informazioni raccolte attraverso la stampa locale e nazionale siano state analizzate usando come modello di riferimento la metodologia LCIP (Local Climate Impact Profile) adottata dalla UKCIP – United Kingdom Climate Impact Programme sin dall’inizio del 2000. Questa metodologia permette di avere una prima verifica empirica degli effetti climatici in corso.
Un primo segnale di comprensione dei rischi climatici è stato dato dalla Regione Emilia Romagna nel maggio 2013 con la predisposizione di un “Piano dei primi interventi urgenti di Protezione Civile in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei mesi di marzo, aprile e maggio 2013 nei Comuni del territorio delle Regione Emilia Romagna” con cui la Regione ha concorso, insieme agli Enti locali, le strutture tecniche regionali e i consorzi di bonifica, alla realizzazione di interventi urgenti per un importo complessivo di circa tre milioni e mezzo di euro. Dal documento si legge che il territorio emiliano è stato colpito da due eventi meteorologici estremi: gli eventi alluvionali e le gravi situazioni di dissesto idrogeologico nel periodo marzo-aprile 2013 e la tromba d’aria del 3 maggio 2013. A questo si è aggiunto anche lo scioglimento del manto nevoso che ha messo in crisi il reticolo idrografico del territorio montano. Sono state circa 2000 le segnalazioni di danno: 300 di natura idraulica e 1500 relative a dissesti (126 le persone evacuate, 43 abitazioni civili distrutte o danneggiate, 3 ponti crollati, 56 interruzioni totali di strade e 138 località isolate).
I fenomeni atmosferici intensi impattano sul nostro territorio, provocando già nel presente rilevanti perdite economiche legate alla gestione delle emergenze e dei danni a lungo termine. Basti pensare che su scala nazionale ammontano ad oltre un miliardo di euro i costi dei danni che l’agricoltura ha subito in seguito ai recenti eventi estremi, aumentando la già fragile stabilità idrogeologica del Paese, e portando a ben cinque milioni il numero di persone che vivono in aree di elevato pericolo. La resilienza territoriale assume quindi oggi anche una forte connotazione economica, in quanto il costo degli impatti già evidenti incide in modo evidente sul PIL nazionale; una questione che non si può considerare di poco conto, visti gli shock finanziari ed economici che già subiamo come sistema paese. Settori come la salute, i servizi ITC, l’uso delle risorse e in particolare della terra, l’acqua, l’energia, il commercio e i trasporti, stanno già soffrendo perdite economiche significative. Politiche di resilienza per le città del futuro sono quindi urgenti e imperative, per superare a un tempo l’emergenza idrogeologica, climatica ed economica del nostro paese.